Riscrivere la storia della battaglia di Sarajevo?
Concluso il processo contro il generale Stanislav Galic, a capo dell’assedio di Sarajevo tra il 1992 e il 1994. Un commento dal Forum per le Alternative Democratiche
Si è concluso il mese scorso all’Aja il processo contro il generale serbo-bosniaco Stanislav Galic, tra il settembre 1992 e l’agosto 1994 a capo del corpo d’armata "Sarajevo-Romanija", dispiegato intorno alla città di Sarajevo. Secondo il procuratore Mark Ierace, vittime dell’accusato erano tutti i 340.000 abitanti della città circondata. Durante i 32 mesi nei quali Galic era a capo delle operazioni, almeno 1.185 Sarajevesi furono uccisi e 4.701 feriti. Galic si è proclamato innocente di fronte alle accuse di crimini contro l’umanità e di violazione delle leggi e costumi di guerra. Il verdetto della Corte Internazionale è atteso verosimilmente tra agosto e settembre
Christophe Solioz, direttore del Forum per le Alternative Democratiche (Sarajevo/Ginevra/Bruxelles), ci ha mandato questo suo commento sul profilo "negazionista" adottato dall’imputato nel corso del processo e sulla strategia difensiva adottata dal suo avvocato ginevrino. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Di: Christophe Solioz
Tradotto da: Caterina Porqueddu
Lungi da noi l’idea di voler limitare il diritto del generale Stanislav Galic a essere difeso, e dell’avvocato Stéphane Piletta-Zanin di difendere gli interessi di chi voglia. Resta il fatto che, anche se il Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia emetterà ben presto il suo verdetto, alcune argomentazioni del Signor Piletta-Zanin – riportate dal giornale "Tribune de Genève" dell’ 11 giugno 2003 – meritano quanto meno di essere messe nella giusta prospettiva . Ricordiamoci, era solo ieri…
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, Sarajevo conosceva l’assedio piu’ lungo del ventesimo secolo: 1350 giorni in totale. E questo sotto gli occhi del mondo intero! Agli ordini – in particolare – del generale Stanislav Galic, la città e i suoi abitanti erano regolarmente e sistematicamente presi a bersaglio, i civili erano nel mirino dei cecchini e le vie esposte ai colpi di mortaio. Obiettivo: uccidere e ferire, certamente, ma anche e soprattutto t[]izzare una popolazione sguarnita, disarmata e abbandonata da una comunità internazionale per lungo tempo composta da assenti.
Le testimonianze, 199 nella fattispecie, sono là. Chi faceva la coda davanti ad un negozio, chi cercava dell’acqua o un po’ di legna da ardere, chi seppelliva un parente. Un tiro di cecchino o una pallottola – vagante, affermerebbe la difesa del generale Galic? – facevano centro. Così il 4 febbraio 1994 , nel quartiere di Dobrinja: delle persone che attendevano sul marciapiede la distribuzione degli aiuti umanitari vengono colpiti in pieno da tre colpi di mortaio provenienti dalle posizioni serbo-bosniache situate a circa 300 metri. Bilancio: 8 morti e piu’ di 20 feriti. Il 12 luglio 1993, una bomba di obice raggiunge un centinaio di persone venute ad approvvigionarsi d’acqua: 12 morti, 15 feriti gravi. La lista dei testimoni è lunga, qui ne citiamo solo alcuni: Jacques Kolp, allora membro della Missione ONU d’osservazione in Bosnia Erzegovina, recentemente chiamato in Tribunale ha così testimoniato: L’armata della Republika Srpska sapeva perfettamente quali fossero i suoi bersagli. Come pretendere che questa armata si limitasse a mirare a degli obiettivi militari? Nella sua deposizione di fronte al Tribunale dell’Aja Jeremy Herme, ufficiale britannico, conferma che gli impatti non corrispondevano a quelli di bersagli militari!
Il Tribunale Internazionale, e con lui il magistrato Carla Del Ponte, ne hanno sentiti altri. Fatto sta che la particolarità del processo al generale Galic consiste nella strategia scelta, volta alla negazione dei fatti e dei crimini commessi: propaganda musulmana o danni collaterali – questo ci vogliono dare a bere. Finora (e ci riferiamo per esempio al processo Krstic sul massacro del 1995 a Srebrenica, o ancora a quello del generale Blaskic sulle atrocità commesse a Ahmici nel 1993) gli imputati avevano almeno avuto la "decenza" di non negare i fatti. Il caso Galic mette in risalto chiaramente un revisionismo che non contribuirà all’accertamento della verità e ancora meno alla necessaria riconciliazione!
Se questa guerra fu senza regole, cio’ non toglie che Sarajevo, città martire, e con lei tutta la Bosnia Erzegovina, è stata vittima di una guerra d’aggressione condotta da chi sappiamo. A Sarajevo, in attesa che giustizia sia fatta, le barzellette parlano piu’ dei lunghi discorsi:
Durante uno dei numerosi bombardamenti di Sarajevo, Huso si affretta a rifugiarsi nella cantina del suo condominio. Nel cortile vede il suo vicino Haso dondolarsi su un’altalena da bambini.
‘Hei, Haso – gli dice Huso senza fiato – tutta Sarajevo rischia di restarci. Salva la pelle finchè sei in tempo…
‘Cosa credi… non mi sto dondolando… – risponde Huso – sto solo facendo diventar matto un cecchino serbo…
Vedi:
L’atto di accusa emesso dal Tribunale dell’Aja nei confronti di Stanislav Galic
Al termine il processo di Sarajevo, di Emir Suljagic per IWPR dall’Aja