La difficile decisione del premier serbo

Uno sguardo alla delicata situazione politica e sociale in Serbia dopo il rientro dagli USA del premier Zivkovic

06/08/2003, Željko Cvijanović - Belgrado

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Zoran Zivkovic

Nel pacchetto di sostegni offerti da Washington, Zoran Zivkovic porta con sé anche il sostegno ad apportare un taglio profondo nel proprio partito, del quale una parte è stata valutata come ostacolo alle riforme serbe e alla stabilizzazione politica

Il premier della Serbia Zoran Zivkovic rischia che il sostegno alle riforme e alla stabilità politica in Serbia, che ha ottenuto durante la visita di una settimana a Washington, diventi il suo più grande incubo notturno, dopo il suo ritorno nel paese all’inizio del mese di agosto.

I media filo governativi di Belgrado hanno accompagnato Zoran Zivkovic a Washington annunciando in modo esagerato la nuova "partnership strategica" fra gli USA e la Serbia, intesa come "la più grande potenza dei Balcani", e lo stesso premier ha ripetuto ancora una volta che i rapporti fra i due paesi in questi ultimi anni non sono mai stati così buoni.

Al ritorno in Serbia il premier ha detto che, per quanto riguarda Belgrado, è giunta la fine della decennale politica americana del condizionamento, meglio nota con il nome di: "il bastone e la carota".
Benché nessuno abbia valutato la visita come un fallimento, la maggior parte degli analisti di Belgrado ha mostrato però una certa discrezione confermando che si tratta solo di un passo verso il miglioramento dei cattivi rapporti del trascorso decennio, che hanno avuto un’escalation nel 1999 con i bombardamenti NATO sulla Serbia.

Secondo i rapporti che giungono da Washington, Zivkovic si è impegnato per far sì che entro la fine dell’anno venga arrestato e consegnato al tribunale dell’Aia il generale Ratko Mladic, il comandante dell’esercito dei serbi della Bosnia accusato dal tribunale internazionale per i crimini di guerra.
Allo stesso tempo, una fonte diplomatica occidentale dell’Osservatorio sui Balcani, afferma che il premier serbo ha accennato alla possibilità che Belgrado possa ritirare l’accusa contro la NATO presso il Tribunale della giustizia internazionale dell’Aia, sollevata per il bombardamento della Serbia nella primavera del 1999.

La stessa fonte inoltre afferma che Belgrado ha promesso che mostrerà la massima astensione politica e poliziesca nei comuni misti serbo-albanesi del sud della Serbia, dove da oltre due anni si cova lo scontro fra il potere serbo e gli albanesi armati che non lo riconoscono.
Dal canto loro, gli Stati Uniti mostreranno di trattenersi dal sostegno all’indipendenza del Kosovo, richiesta dai politici albanesi locali, ed insisteranno affinché venga garantita la sicurezza della minoranza serba che vi abita prima di risolvere lo status politico finale del Kosovo.

Al contempo, gli USA finanzieranno anche le riforme politiche e l’avvicinamento di Belgrado all’Unione Europea e alle integrazioni militari euroatlantiche, mentre entro il mese di settembre saranno rinnovati i rapporti commerciali interrotti con la introduzione delle sanzioni al regime di Milosevic nel maggio del 1992.
Infine, Washington ha promesso a Belgrado che ancora per qualche tempo non insisterà sulla offerta di sottoscrizione dell’accordo bilaterale con il quale si eviterebbe la competenza del Tribunale penale internazionale per i cittadini americani che eventualmente potrebbero commettere crimini sul territorio della Serbia.

La maggior parte degli analisti di Belgrado ha notato che sia le richieste che le concessioni hanno un unico scopo: la stabilità politica nei Balcani e in Serbia.
Dunque – come afferma Obrad Kesic, un noto analista dei rapporti serbo-americani – Washington, messa di fronte alla difficoltà del posizionare le proprie truppe in tutto il mondo, necessita della stabilità balcanica per ritirare le forze dal Kosovo e dalla Bosnia ed Erzegovina, e per distribuirle in punti più importanti come per esempio in Iraq.

Il proseguimento delle riforme in Serbia e, ancora di più, la stabilità della situazione politica sarebbe la condizione più importante per far sì che Washington sostituisca la sua presenza militare nei Balcani con le truppe europee.

Il problema però è che la maggior parte dei diplomatici occidentali ritiene che, cinque mesi dopo l’omicidio del premier Djindjic, la Serbia stia soffocando negli scandali provocati dai leader della coalizione riformista DOS, un tempo omogenea, che riuscì a cacciare Milosevic dal potere.
Due anni dopo che la DOS, dopo lo scontro con Djindjic, è stata abbandonata dal suo partito più forte – il Partito Democratico della Serbia, DSS, di Vojislav Kostunica, è avvenuta un’altra scissione nell’ala riformista, poiché il mese scorso il governo ha sostituito Mladjan Dinkic l’efficace governatore della Banca Centrale Serba.

Con la sostituzione di Dinkic si è aperto un forte scontro, da una parte fra il resto della DOS e il Partito Democratico (DS) di Djindjic e Zivkovic, come leader di tale partito, e dall’altra parte il partito di Dinkic G17 plus, che raccoglie influenti economisti orientati sulle riforme.
Dal momento che è stato sostituito, Dinkic ha attaccato fortemente il Governo, accusando Nemanja Kolesar, ex capo del gabinetto di Djindjic e Zoran Janjusevic, consigliere del premier per la sicurezza, accusandoli di essere immischiati nello scandalo di corruzioni del valore di 1,02 mln di euro.

Vale a dire, Dinkic li ha accusati di aver spostato i soldi, ricevuti come provvigione illegale della privatizzazione di un cementificio serbo, dal conto della ditta di Janjusevic sulle Isole Vergini ai loro conti di Belgrado.
Sebbene negli scontri e negli scandali accaduti fino ad ora la comunità internazionale è sempre stata incline a vedere come colpevole il democratico conservatore Kostunica, la novità è che adesso come principali freni alle riforme e alla stabilità vengono considerate quelle persone che per lungo tempo si sono scontrate fortemente con l’ex presidente.

Si tratta di un gruppo del DS o molto vicino ad esso, persone per le quali si crede che abbiano stretto alleanza con i ricconi di Milosevic, i quali nella nuova situazione stanno diventando l’oligarchia della transizione serba.
Il politico con la posizione più alta per il quale si crede che appartenga a tale gruppo è il vicepresidente del governo serbo Cedomir Jovanovic, accusato dagli avversari politici di aver avuto rapporti stretti con i membri del sottosuolo considerati responsabili per la morte di Djindjic.

Oltre a lui, c’è il caro amico di Djindjic, Vladimir Popovic, fino poco fa alto funzionario del governo, accusato nel mese di maggio dall’ambasciatore americano William Montgomery per le pressioni fatte sui media e per aver compromesso gli avversari politici.
Vicino a tale gruppo, oltre a Janjusevic e Kolesar, si crede ci sia anche il potente businessman Miodrag Kostic, sospettato dall’opinione pubblica serba di essere il maggior responsabile per l’esportazione illegale dello zucchero dalla Serbia nei paesi UE.

Siccome si crede con fondatezza che tale gruppo controlli la grande parte dei movimenti di denaro in Serbia, oltre che la polizia pubblica e quella segreta e la maggior parte dei media, non gli è stato difficile fino ad ora fare i conti con quelli che gli si sono trovati di fronte.
Per loro i problemi sono iniziati soltanto all’inizio dell’estate, quando la comunità internazionale ha iniziato a considerarli dei potenti oligarchi, i cui interessi privati stanno diventando il freno alle riforme e alla stabilità del paese.

Siccome Washington crede che la fonte della stabilità in Serbia sia data dal consenso e dal nuovo incontro delle forze riformiste (DOS, G17 Plus, DSS), tale gruppo, che conduceva gli scontri con Kostunica e Dinkic, è diventato un grosso ostacolo.
Benché Zivkovic abbia detto che a Washington non si è parlato dei rapporti interni al suo partito, gli è stato concesso di proseguire le riforme e di aumentare le forze che sono contrarie al conflitto con gli altri gruppi riformisti.

Mentre ci si aspettava che già lunedì venissero destituiti Kolesar e Janjusevic, e che ciò sarebbe stato l’inizio della resa dei conti, Zivkovic però non lo ha fatto.
È possibile che ciò non sia accaduto perché il premier non è ancora così forte per entrare in guerra con il più potente gruppo politico in Serbia del dopo Milosevic, benché esso sia poco numeroso.

Ma, se non dovesse entrare in questo scontro nelle prossime due o tre settimane, il primo ministro serbo potrebbe aspettarsi che già a settembre continuino gli scandali e i conflitti, che potranno rendere ulteriormente più debole il suo governo.
Nonostante che il governo per adesso abbia una maggioranza stabile, negli ultimi mesi in più occasioni garantita dalle file del partito degli ex collaboratori di Milosevic, ci si potrebbe aspettare che il proseguire degli scandali possa condurre ad un suo ulteriore crollo.

Dal momento che la DOS rifiuta tutte le richieste del G 17 Plus e del DSS rivolte ad indire le elezioni anticipate, in tali circostanze non si potrà far conto sulle riforme e sulla stabilità politica se non alla fine del 2004, quando si aspettano le elezioni parlamentari ordinarie.

In tali circostanze è poco probabile che Zivkovic sarà in grado di pronunciare quella dichiarazione, ripetuta così spesso negli ultimi mesi, sui migliori rapporti tra Washington e Belgrado dell’ultimo mezzo secolo.

vedi anche:
Serbia, sondaggi d’opinione
Chiamatemi Berlusconi
La Unione Serbia e Montenegro respinge l’accordo con gli Usa su TPI?
Serbia e Montenegro tra gli USA e la UE
Le accuse di Dinkic contro il governo Zivkovic – Notizie Est

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