Telekom Srbija, si guarda il dito e non la luna
Un commento di Michele Nardelli in merito alla vicenda Telekom Srbija, che sta imperversando sui media italiani. " … la questione di fondo è che l’affaire Telekom Srbija è stato prima che un malaffare un esempio di cattiva politica".
Sulla questione "Telekom Srbija" si misura un male ben più profondo dei possibili contorni di malaffare che riempiono, in maniera spesso strumentale, le cronache di questi giorni. Si misura cioè tutta l’incapacità, la disinvoltura ed il cinismo con i quali le cancellerie europee si sono rapportate alla vicenda balcanica negli anni ’90, ovvero il considerare questa parte d’Europa come terra di conquista su cui misurare i rapporti di forza fra le potenze del vecchio continente. In altre parole, l’assenza di un disegno europeista che avrebbe potuto evitare la tragedia seguita alla disintegrazione della Jugoslavia, preferendo la strada della spartizione a quella dell’integrazione.
In questo quadro, l’interlocutore privilegiato dell’Italia era Slobodan Milosevic, considerato il personaggio chiave nell’area, uomo della pace di Dayton ed insieme signore della guerra. Mentre le piazze di Belgrado erano gremite di gente che cercava di mettersi alle spalle il peso di una nomenclatura disposta a tutto pur di succedere a se stessa e un moderno nazionalismo che aveva portato la Serbia nel vicolo cieco della criminalità organizzata e della guerra, lo sperimentato realismo del nostro paese non trovava di meglio da fare che sostenere operazioni spregiudicate pur di affermarsi come paese influente nella crisi del sud est Europa.
Non so se nell’affare Telekom Srbija ci siano state o meno tangenti. Sappiamo invece che tutto l’affare Telekom Srbija rappresentò un maxi finanziamento occulto dato da un’azienda controllata dal Ministero del Tesoro del nostro paese al presidente serbo e al suo establishment, denaro fresco con il quale lo stesso Milosevic, in piena campagna elettorale, pagò gli stipendi dei dipendenti statali senza stipendio da mesi, riaccreditandosi in questo modo, lui e il suo partito, come soggetto affidabile. Una boccata d’ossigeno alle finanze dello stato, che contribuì a far rimanere in sella la leadership di Milosevic al cui cospetto (o a quello della moglie, signora Markovic) si muovevano i soggetti più diversi della politica nostrana, dall’estrema destra all’estrema sinistra.
Sostenere Milosevic significò nel concreto dar credito alle politiche di repressione e criminal-affaristiche del gruppo di potere cresciuto all’ombra di "Slobo" e nei fatti all’aggressione verso la maggioranza albanese del Kossovo.
Con analoga disinvoltura, solo qualche mese più tardi, quell’interlocutore privilegiato divenne il simbolo del male assoluto contro il quale scatenare – senza alcun mandato dell’ONU e dunque nell’illegalità internazionale – una guerra alla quale partecipò, contro il dettato della Costituzione Italiana, anche il nostro paese. Una guerra priva di ogni giustificazione, se è vero, come è vero, che gli accordi di pace di Kumanovo seguiti a settantacinque giorni di bombardamenti contro le città jugoslave e di pesanti ritorsioni serbe in Kossovo erano più svantaggiosi per la parte albanese di quello accettato da Milosevic a Rambouillet prima dei bombardamenti. E che ebbe conseguenze devastanti in Serbia come in Kossovo, se pensiamo ai bombardamenti sul petrolchimico di Pancevo, all’uranio impoverito, alla pulizia etnica contro gli albanesi o alla contropulizia etnica che determinò l’esodo di almeno 250 mila persone di nazionalità serba dal Kossovo e la parziale distruzione dei monasteri ortodossi in quella regione.
La vendita delle quote acquisite da Telecom Italia in Telekom Srbija nel gennaio 2003 per 195 milioni di Euro a fronte dei 900 miliardi di Lire che erano costate nel ’97, dimostra che si trattò anche di un malaffare, con una perdita superiore al 50% dell’intero investimento, rispetto alla quale qualche responsabilità anche sul piano politico si dovrebbe effettivamente accertare.
Ma la questione di fondo è che l’affaire Telekom Srbija è stato prima che un malaffare un esempio di cattiva politica. Se Milosevic fosse caduto nel ’97, l’intero corso degli avvenimenti sarebbe cambiato e il nostro tempo avrebbe forse conosciuto una guerra in meno.
E se ora la destra al governo fa la voce grossa contro i responsabili politici di allora, la cosa appare davvero strumentale, visto e considerato che quella cattiva politica e quella guerra scellerata fu ampiamente condivisa a destra e a manca. Ecco perché oggi si fa un gran polverone sulle presunte tangenti e non su quella cattiva politica, si continua a guardare il dito e non la luna. Forse interrogandosi sulla cattiva politica, italiana ed europea, degli anni ’90 si potrebbe riflettere sull’attuale politica e sul vuoto che la caratterizza, riempito dall’egemonia nordamericana anche quando quest’ultima mira a demolire la nuova Europa.
I polveroni servono solo ad intorpidire le acque. Anche quelle del Danubio, che la prossima settimana farà incontrare la società civile e le città di un’Europa oltre i confini, indicando l’urgenza di un percorso politico di integrazione che vicende come quella di Telekom Srbija hanno contribuito ad allontanare.
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