Il Kosovo è uno stato in fasce
Un’intervista col filosofo e analista politico kosovaro Shkelzen Maliqi realizzata da Ivica Ðikić del settimanale croato "Feral Tribune"
Il testo originale dell’intervista, curata da Ivica Ðikić, è stato pubblicato sul settimane croato "Feral Tribune" il 29 agosto 2003.
Traduzione di Luka Zanoni
Feral: Signor Maliqi, negli ultimi tempi in Kosovo le violenze etniche hanno subito un’escalation. Secondo lei si tratta di violenze organizzate guidate da gruppi di albanesi armati oppure si tratta di una situazione caotica nella quale gli omicidi (come l’uccisione di due ragazzi serbi a Gorazdevac) sono il risultato di attacchi di singoli o individuali desideri di vendetta?
Maliqi: Non direi che le violenze stiano subendo un’escalation, piuttosto direi che c’è un’escalation dei discorsi sulle violenze. Le violenze in Kosovo sono permanentemente presenti nel periodo post bellico. Noi siamo ancora una società post bellica, malata e le violenze sono in un certo senso iscritte nella situazione caratteristica, solo che le analisi più serie vedono anche la diminuzione delle violenze. Oggi ci sono molte meno violenze di quanto non ce ne fossero nel 1999 o nel 2000, per non parlare del 1990 o nel periodo della guerra. Si comprende che, crimini come questo di Gorazdevac, che periodicamente appaiono e che, purtroppo sono difficile da impedire e mostrano che in Kosovo nulla è risolto. Nessuno ha assunto la responsabilità per il crimine e a nessuno non è stato esplicitamente attribuito. Certo si tratta di t[]ismo, ma chi sta dietro tutto ciò non lo possiamo ancora dire con esattezza.
Feral: Possiamo però porre la domanda sul perché proprio adesso accade una nuova ondata di violenza in Kosovo. Possiamo chiedere, inoltre, dove sono secondo lei le cause di queste violenze?
Maliqi: Non farei speculazioni su questo, perché comunque ho pochi dati rilevanti sul solo crimine. Quello che a me sembra è che indubbiamente si tratta di un atto t[]istico con delle conseguenze. Non sono sicuro che si tratti di un crimine organizzato o pianificato oppure di una qualche vendetta personale. Vedete, in quel posto dove si trova Gorazdevac – gli Albanesi lo chiamano Dukagjin e i Serbi Metohija – durante la guerra ci sono state molte vittime, sono state sterminate intere famiglie, sono stati uccisi principalmente civili, bambini, donne, vecchi. Non è da escludere che qualcuno abbia sparato ai bambini serbi per odio o vendetta, come non è escluso che sia stato pianificato da un gruppo estremista di t[]isti, per diffondere la paura tra i Serbi e impedire il loro rientro… Ma su questo piano speculativo esistono anche altre teorie cospirative, che considerano il crimine alla luce dello scontro di grandi interessi… Secondo queste teorie, il crimine di Gorazdevac è stato pianificato in centri nei quali si dosa la crisi kosovara. Non andrei più a fondo in queste speculazioni, perché da esse non c’è via d’uscita. Quando vi spingono in quella direzione, vi perdete e dimenticate i fatti elementari, e da soli rimanete vittime di quella costruzione.
Feral: La questione principale degli incidenti dalle sanguinose conseguenze è la Dichiarazione sul Kosovo, che aspetta di terminare la procedura al parlamento della Serbia e Montenegro e che dà un’autonomia al Kosovo nel quadro della Serbia? Oppure i motivi sono più ampi e profondi?
Maliqi: La situazione è in ogni caso complessa ed io la sola reazione della Serbia, che prepara la Dichiarazione sul Kosovo e la nuova Costituzione, la interpreto come un discorso sbagliato rispetto alla risoluzione delle questioni del Kosovo, che ormai inevitabilmente va verso l’indipendenza dalla Serbia. La politica serba è nel panico perché i diplomatici internazionali non vedono più come reale la possibilità che il Kosovo venga trattato come una parte della Serbia. Intanto la sovranità della Jugoslavia e della Serbia sul Kosovo è sospesa per un tempo indefinito. Qui abbiamo un protettorato internazionale e una missione dell’ONU il cui mandato principale è la costituzione di locali istituzioni di governo, il che nei fatti significa la sospensione della sovranità sui cittadini del Kosovo, ma non della Serbia.
Feral: Ritorniamo ancora una volta alle violenze, perché, mi sembra che ne abbiamo discusso poco. Se le violenze e il t[]e nei confronti dei cittadini serbi sono organizzati, chi ci sta dietro? Chi, in realtà, ideologicamente e finanziariamente sta dietro i gruppi albanesi estremisti, i quali – come affermano molti analisti indipendenti – diffondono la paura in Kosovo? E come si relazionano rispetto a ciò i politici kosovari moderati, come Ibrahim Rugova, e l’opinione pubblica kosovara?
Maliqi: Voi stessi dite: se sono organizzati… sì ma, non so se sono o non sono organizzati. Prima di tutto, non sappiamo chi sono, né come si chiamano. C’è una fantomatica organizzazione, che si chiama AKSH, Esercito di liberazione albanese, la quale ha assunto la responsabilità per alcune azioni in Macedonia, nel Sud della Serbia e nel Kosovo. Ci sono indizi sul fatto che sono ben organizzati ed esercitati. Tuttavia, alcune circostanze conosciute indicano che si tratta di un’internet-organizzazione, la quale pubblica i comunicati e che in fondo funge solo da cortina di fumo per le vere organizzazioni t[]istiche che sono appoggiate da diversi servizi segreti e per le quali l’interesse è controllare il livello di crisi del Kosovo e della regione. Io su questo non posso dire nulla, perché non dispongono di fatti rilevanti. Mi sento un po’ più competente nel commentare la vostra posizione quando dite che queste organizzazioni "diffondono la paura in Kosovo". Credo che sia una constatazione un po’ troppo forte. Presso il pubblico kosovaro non esiste il problema della paura di queste organizzazioni (se esse, come tali, esistono), per quanto sia reale il problema lo ignora. Fuori dal Kosovo si considera che qui si taccia sul t[]ismo per via della paura. Mentre io credo che si taccia perché queste cosiddette organizzazioni non vengono prese sul serio. Nemmeno i politici le considerano un fenomeno serio. Preso realmente, l’estremismo in Kosovo ha una scarsa influenza. Politicamente esso è pari a zero. Alle elezioni non è passata nemmeno una delle organizzazioni politiche estremiste. Diciamo che la maggior parte degli albanesi del Kosovo non si cura minimamente dei punti principali del programma dell’AKSH – l’unione di tutti i territori albanesi nei Balcani.Con questa piattaforma non potete prendere nemmeno l’un percento di voti in Kosovo. Ma, se i politici li ignorano, l’AKSH e le altre formazioni estremiste non si devono ignorare, proprio per il t[]ismo a cui fanno ricorso. La maggioranza è indifferente forse perché non si sente direttamente colpita e anche perché i media e i politici manipolano i crimini. Se il premier serbo Zivkovic o Covic vengono in Kosovo per rendere rispetto alle vittime del delitto di Gorazdevac e prima di ciò tengono discorsi politici, il pubblico kosovaro non può andare oltre il confronto umano con le vittime. Alle Le organizzazioni della società civile kosovara è stato impedito di andare a Gorazdevac, per esprimere le condoglianze alle famiglie e portare il rispetto alle vittime del crimine.
Feral: Come sono gli attuali rapporti nella scena politica del Kosovo?
Maliqi: Dopo la guerra, i rapporti tra l’ala militante dei comandanti di guerra che sono diventati politici (Hashim Thaci, Ramush Haredinaj…) e l’ala del movimento di Rugova, che si è impegnato per una nonviolenta resistenza alla Serbia, sono stati molto tesi fino alla intolleranza e all’aperta inimicizia. Nell’inverno del 2002, dopo le elezioni comunali, si è arrivati alla formazione di una coalizione di governo di ampio spettro e alla moderazione dei rapporti, che ora sono più cooperativi, anche se esistono pur sempre delle tensioni, in particolare ai livelli più alti – Rugova che rifiuta ancora il diretto contatto con i suoi rivali – e a livello dei comuni. Il fattore che ha placato ulteriormente le tensioni è stata la necessità di una mobilitazione e di una avanzata comune verso la Serbia e la comunità internazionale. I kosovari hanno iniziato ad imparare il mestiere della politica e del compromesso, che è un buon segno.
Feral: In Kosovo oggi c’è circa il 5 percento di abitanti serbi. Com’è, secondo il suo punto di vista, essere un serbo in Kosovo?
Maliqi: I serbi in Kosovo storicamente hanno in più occasioni manipolato e abusato dei cittadini. Essi sono vittime delle ambizioni del grande stato. Buona parte di coloro che sono stati portati in Kosovo tra le due guerre mondiali, ancora oggi ha la mentalità ereditata dai colonizzatori, con un inculcato sentimento di superiorità verso gli albanesi. Essi sono sempre stati al potere e non hanno mai imparato la lingua della maggioranza albanese. Gli anni ottanta e novanta nella ex Jugoslava e nella Serbia di Milosevic sono stati tragici per i serbi del Kosovo, perché sono stati tutti a favore di Milosevic. Anche nelle elezioni con cui Milosevic è caduto dal potere, i serbi del Kosovo sono stati in maggioranza a suo favore. Dopo la sua caduta, loro dicono di non essere stati a favore di Milosevic, ma di Belgrado, perché devono stare col potere di Belgrado. Non riusciranno ad adattarsi alla nuova realtà finché comunicano con Pristina attraverso Belgrado. Se si dovessero relazionare direttamente con Pristina e con gli albanesi, avrebbero meno disagi nella comunicazione locale, la quale è ora piuttosto appesantita e con grandi rischi. Non possono liberamente muoversi in Kosovo perché gli albanesi li vedono come nemici e come la quinta colonna di Belgrado. Ma Belgrado di nuovo non fa abbastanza per far sì che si adattino alla nuova situazione.
Feral: Com’è invece essere albanese in Kosovo, in senso politico e sociale?
Maliqi: Gli albanesi dopo molti anni di pesante repressione sentono che è giunta la rivolta e che sono liberi. Ma, siccome questa libertà è limitata, essi in una certa misura sono anche frustrati. Ad ogni modo, non hanno i problemi che hanno i serbi, eccetto alcuni casi, non vivono nelle zone a maggioranza serba, diciamo nel Nord del Kosovo. Essere albanese al Nord di Mitrovica è lo stesso che essere serbo nelle enclavi albanesi in Kosovo.
Feral: Ci descriva la scena intellettuale kosovara. Come reagiscono gli intellettuali (se comunque reagiscono) agli scontri su base etnica che hanno iniziato ad accadere?
Maliqi: Riguardo la scena intellettuale direi che è in grande fermento e in un qualche tipo di rigenerazione, che crea l’impressione di un’anarchia. I vecchi valori e le vecchie autorità cadono e perdono di significato, mentre i nuovi non si sono ancora costituiti e imposti. Dopo la guerra si è investito poco nella cultura, mente la riforma della scuola si è conclusa con il trionfo del conservatorismo e della incompetenza. Mi fa piacere che oggi non ci sia una scena intellettuale monolitica, la quale avrebbe un potere politico. La scena intellettuale è debole tanto quanto la scena politica. Entrambe in quale modo si emancipano, comprendendo anche l’emancipazione dalle relazioni con le ideologie collettive, quali sono il nazionalismo o il nazional-fascismo.
Feral: È d’accordo con le valutazioni che dicono che il Kosovo tra poco sarà l’unico narco-staterello etnicamente pulito in Europa? Primo, crede che il Kosovo a breve sarà per intero etnicamente pulito e cosa pensa di ciò; secondo, crede che il Kosovo sarà presto uno stato (se non pensate che il Kosovo diventi uno stato, cosa potrebbe essere, allora, il Kosovo); terzo, che idea avete della criminalità organizzata che, si dice, impera in Kosovo?
Maliqi: Non mi piace, proprio, la costruzione di un Kosovo come "narco-staterello etnicamente pulito". Mi sembra di leggere la stampa estremista serba. Innanzitutto, in Kosovo anche prima la concentrazione della popolazione albanese era marcatamente ampia, circa il 90 percento, e questo è semplicemente un fatto, così come è un fatto che in Sumadija vive il 95 percento o più di serbi. Quanto il Kosovo sarà "etnicamente pulito" non dipende solo dagli albanesi, bensì anche da coloro che non desiderano vivere là dove gli albanesi sono in maggioranza, se tale maggioranza è al potere. Anche la "purezza" è una categoria che si proietta. In questo caso non si dovrebbe valutare la situazione solo sotto l’aspetto delle "vittime" che si dice siano "perseguitate" da uno stato etnico in fasce, anche se pure la loro motivazione in sostanza è etnica, perché ha a che fare con le idee sulla purezza o meno di determinate nazioni, così che sono loro che non desiderano vivere con i "non puri" albanesi e scelgono più volentieri la "Serbia più pura", quando valutano che il Kosovo non può essere serbo. Per quanto riguarda la domanda se il Kosovo sarà tra poco uno stato, potrei dire che il Kosovo è già adesso uno stato in fasce, dal momento che ha una Costituzione, un presidente, un parlamento, un governo, ecc. anche se con limitate competenze e limitato potere esecutivo. Se diverrà interamente indipendente, non lo so. Ma mi sembra che finalmente e in modo irreversibile sarà indipendente dalla Serbia, che Belgrado non amministrerà più in Kosovo, così come non amministra più in Montenegro.
Infine, il crimine organizzato in Kosovo all’incirca è proporzionale a quello degli altri paesi della regione rimasti dopo la dissoluzione della Jugoslavia. E questa criminalità è di un tipo cooperativo: i criminali collaborano là dove non ci sono rapporti o controlli degli organi legali o sono gli stessi alti poteri corrotti e collusi con la criminalità.
Feral: In tutta questa storia qual è la posizione dell’Albania? Il ministro della difesa albanese tempo fa ha dichiarato che non desidera sedersi allo stesso tavolo col ministro serbo della difesa perché "a Belgrado si prepara il disegno della Costituzione nel quale il Kosovo è definito come una parte del territorio della Serbia". Cosa pensa di questa dichiarazione?
Maliqi: L’Albania a lungo ha condotto una politica molto riguardevole nei confronti dei vicini della regione, tra gli altri anche verso la Serbia, così da non essere accusata di avere aspirazioni territoriali e di desiderare l’annessione del Kosovo o di una parte della Macedonia. Credo che la politica ufficiale albanese continuerà ancora a tenere questa cauta tendenza a non scontrarsi e a mantenere attive le collaborazioni. Tuttavia, Tirana adesso ha una visione decisamente migliore sulla situazione in Kosovo e alcuni politici e analisti comprendono che non è solo interesse del Kosovo ma anche della Serbia e della regione accettare la nuova realtà, che si è creata in Kosovo dopo l’intervento della NATO nel 1999. Il ministro della difesa albanese Pandeli Majko ha solo ricordato che la Serbia sta andando lungo un avventuristico corso di inasprimento, pregiudicando lo status del Kosovo.
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