Adriapeople. Quando c’è il mare di mezzo
Un braccio di mare, un’antica cultura condivisa, una possibilità di superare le barriere ideologiche e i confini, un esperimento per oltrepassare la dicotomia noi – loro, per una nuova cultura dell’area adriatica
Adriapeople letteralmente significa popolo dell’Adriatico. Un popolo fantastico, mai esistito nella realtà ma che virtualmente e potenzialmente esiste, se esiste un quid, un qualche elemento che accomuna delle persone con lingue, culture storie e religioni diverse. E questo elemento è il mare. Un braccio di Mediterraneo che si addentra fra la penisola italica e quella balcanica.
Attualmente, così come nel passato più o meno recente, la nostra cultura ha preferito enfatizzare le differenze che intercorrono tra le due sponde tanto da farle apparire spesso come abissali: … noi e loro… noi al di qua e loro al di là, senza riuscire a interpretare il mare come una naturale via di passaggio, ma piuttosto guardandolo con diffidenza quale fosse un limite invalicabile, più vicino a una trincea che a un ponte.
Negli ultimi anni qualcosa è cambiato: il desiderio di viaggiare, la mente illuminata di qualche studioso, o il senso di solidarietà scatenato dalle recenti guerre e catastrofi economiche hanno spinto molte persone di qua a recarsi fin "al di là", per scoprire cosa stesse succedendo in quelle terre che, prima così lontane, si stavano rivelando invece così vicine. E molti di là si sono spinti fino a qua alla ricerca di una vita più dignitosa, di un lavoro e magari di un futuro migliore per i propri figli, attirati da una società in grado di realizzare le proprie aspettative democratiche.
Questo nuovo processo di conoscenza e interscambio tende però ancora a svilupparsi in modo piuttosto asimmetrico, come in una sorta di strada a due corsie parallele ma prive di una via di comunicazione, di una vera e propria relazione di biunivocità. Ogni sponda guarda dall’altra parte con un sentimento di curiosità, anche se di natura diversa, sviluppando così rispettivamente una sorta di "Balcanofilia" e " Occidentalismo". Si fa presto però a dire Balcani, così come a dire Occidente.
Paradossalmente si è continuato a pensare la relazione tra le due rive in termini di due categorie separate e ben distinte, perpetuando questo leit-motiv del noi e loro, noi civili loro guerrafondai, noi sviluppati e loro no. Numerosi sono stati i pregiudizi che si sono perpetrati fino ad oggi nel corso della storia, Clinton così come Bismarck era un convinto che un popolo endemicamente violento come quello slavo "non meritasse nemmeno un cannone della Pomerania".
Sarebbe ingenuo negare che le differenze non esistano, ma forse è ora di fare un salto di qualità, o un piccolo balzo in avanti, facendo lo sforzo di adottare un’unica categoria: quella del noi, per far risaltare gli elementi in comune e creare quindi un nuovo modo di concepire le nostre rispettive percezioni per poter creare le basi di una nuova cultura dell’area adriatica.
Da questa idea è nato il progetto Adriapeople, un seminario internazionale a cui hanno partecipato alcune associazioni da vari paesi: Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia e Albania (il Kosovo era assente per il mancato conseguimento dei visti), organizzato dall’associazione Cactus di Forlì finanziato principalmente dalla Commissione Europea (Azione 5 Programma Gioventù). Il meeting si è svolto alla fine di luglio a Santa Sofia, a 40 kilometri da Forlì, nel cuore dell’Appennino romagnolo, luogo accogliente e silenzioso, ideale per incontrarsi e scambiare il proprio punto di vista su alcune tematiche. I temi affrontati insieme sono stati diversi: i diritti delle minoranze, l’identità di genere, il concetto di democrazia e il processo di integrazione europea. La scelta delle associazioni è stata per lo più casuale, per cui esse presentavano caratteristiche molto eterogenee. Sia il Centro Giovanile di Valona che l’Ambasciata per la Democrazia di Zavidovici sono esempi di associazionismo locale, mentre l’AEGEE di Belgrado, il Fade In di Zagabria o Young Voices di Izola (Slovenia) fanno parte di realtà associative più ampie e transnazionali. Nonostante le difficoltà che possono essere sorte dai diversi approcci ai temi affrontati, il dibattito non è mancato sia nei workshops, che durante la seduta plenaria, al termine della quale c’è stata la redazione del "Manifesto dei giovani dell’Adriatico", una sorta di carta delle intenzioni per riempire di significato parole come democrazia, rispetto delle minoranze, pari opportunità e integrazione europea e creare una sorta di base costituzionale per una nuova forma di associazionismo regionale. Sebbene il valore del Manifesto fosse di natura più che altro simbolica, esso ha acquistato una nuova valenza nel momento in cui ci ha spinti a dialogare. Il dibattito e il confronto non sono sempre stati semplici, la messa a nudo di differenze storico-sociali così come la difficoltà ad abbandonare i nostri cliché hanno spesso svelato una lontananza di punti di vista, dovuti sia a retaggi culturali che a esperienze personali. Eppure ciò che ha prevalso è stata la spontanea volontà di condividere gli spazi e i valori comuni, dalla musica popolare alle esperienze personali, dalle aspettative verso l’Unione Europea ai progetti per il futuro, ed è stato sorprendente constatare quanto sia stato semplice. Perciò questa spontaneità può essere vista come una chiave di lettura per il successo del progetto, e dimostra quanto i giovani siano naturalmente predisposti a ricostruire un tessuto culturale da altri lacerato.
Braudel aveva visto nel Mediterraneo una culla in cui si era sviluppata una civiltà fatta di contatti, viaggi, esperienze tra le sue diverse sponde, così anche Adriapeople nel suo piccolo ha messo in luce la vera natura delle acque dell’Adriatico: il trait d’union di una stessa cultura.
di Lucia Pantella e Francesca Rivelli