Bosnia, la memoria a fior di pelle

Presentato a Sarajevo e Mostar il libro di Isabelle Wesselingh e Arnaud Vaulerin su Prijedor oggi, otto anni dopo la fine della guerra. Nostra intervista con uno degli autori

14/10/2003, Redazione -

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El Greco, 1597

Come si vive oggi a Prijedor, nel nord della Bosnia, una citta` dove nel 1992 la maggior parte dei Bosniaco Musulmani finì nel campo di concentramento Trnopolje, da dove più di 3000 persone sono ancora considerate scomparse? Com’è Prijedor oggi, dove più di 10.000 rifugiati Bosniaco Musulmani hanno deciso di rientrare nelle loro case? Come si sentono le vittime a vivere assieme ai loro carnefici? Sono stati due giornalisti francesi, Isabelle Wesselingh e Arnaud Vaulerin, a provare a dare delle risposte a queste domande. E’ nato così il libro "Bosnia, la memoria a fior di pelle" ("Bosnie, la memoire à vif", 15×23, ed. Buchet Chastel, ottobre 2003). Nei giorni scorsi il libro è stato presentato prima a Sarajevo e poi a Mostar, dove siamo riusciti a parlare con Isabelle Wesselingh. Le abbiamo chiesto come è nata l’idea di scrivere questo libro:
Isabelle Wesselingh: Di solito i giornalisti vanno nelle zone di crisi quando le crisi sono in corso, mentre noi volevamo vedere cosa succede dopo, capire se la gente torna, come vanno le cose… Questo è stato il nostro punto di partenza per scrivere questo libro.
Osservatorio Balcani: Vi siete fermati a Prijedor a lungo, per farvi una vostra impressione di quello che succede. Il libro si basa anche su interviste?
IW: Sì, ci sono interviste con i rifugiati, con la gente di Prijedor rimasta lì durante la guerra, con le `guardie`, con chi faceva parte dell’SDS (il nazionalista Partito Democratico Serbo, ndr) durante la crisi, interviste con internazionali, testimonianze dall’Aja di avvocati, responsabili del Tribunale, con gente diversa. Abbiamo raccolto più di 50 interviste.
OB: Un libro di questo genere può essere considerato un documento?
IW: Abbiamo cercato di fare una cosa di questo tipo dando la parola alla gente che viveva lì, profughi, quelli che non sono ancora tornati perchè si sono stabiliti all’estero o perché hanno paura di rientrare, con i Serbi di Prijedor residenti lì da sempre, con i `nuovi arrivati`, poi abbiamo cercato di capire all’Aja quanto i processi del Tribunale possano aiutare la riconciliazione…
OB: Questo documento potrà servire anche alle organizzazioni non governative?
IW: Speriamo di sì. E’ difficile capire la situazione perchè a volta la gente non vuole parlare. Oggi sono passati già otto anni dopo la fine della guerra e vale la pena esaminare alcune cose anche se a volte fanno male. Però si devono esaminare per poter arrivare a qualcosa che servirà alle generazioni future, per non vivere nei clichè, con l’odio con senso di colpa…
Nelle 300 pagine del libro si possono trovare opinioni veramente diverse, come alcune persone sono pronte a voltare gabbana dal giorno alla notte, come altri riescono a trovare scuse banali per quello che era una vera pulizia etnica, la scarsa sensibilità della comunità internazionale (viene citato un episodio particolare riferito a Paddy Ashdown e così via).
Sfogliando il libro, abbiamo trovato tra gli intervistati e le testimonianze più interessanti anche le opinioni di Annalisa Tomasi, delegata della Agenzia della Democrazia Locale di Prijedor, che parlando del sostegno dato alla comunità di Prijedor dal comune del Trento ha parlato della lotta "per assicurare alla gente delle condizioni per un ritorno normale".

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