Otpor in politica: intervista con Nenad Đurđević

La scorsa estate è apparsa sui quotidiani belgradesi la notizia che il movimento giovanile Otpor stava per entrare in politica con un proprio partito. Ne parliamo con Nenad Đurđević responsabile di Otpor per i rapporti con l’estero.

22/10/2003, Luka Zanoni - Belgrado

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Il simbolo di Otpor - www.otpor.org.yu

Al secondo piano di un vecchio caseggiato in via Nušićeva, nel centro di Belgrado, abbiamo incontrato Nenad Đurđević, responsabile di Otpor per i rapporti con l’estero. Nenad ci dà il benvenuto nella nuova sede di Otpor, locali che un tempo furono del partito di Milosevic. Edificio che dopo l’ottobre 2000, con la caduta del vecchio regime, venne dato alle fiamme. Una massiccia ristrutturazione ha rimodernato l’intero locale: uffici, sala per le riunioni, e un banco con una barista a disposizione dei membri dell’organizzazione e dei loro ospiti. Ed è con un caffè e una sigaretta, nell’ampia sala per le riunioni, che iniziamo questo colloquio.

Osservatorio sui Balcani: Ormai è noto a tutti che Otpor diventerà un partito politico, e se non sbaglio si era parlato dell’autunno. Pensate di organizzarvi in partito per le prossime elezioni parlamentari? Come pensate di organizzarvi?

Nenad Đurđević : Sì dunque, parteciperemo di sicuro alle prossime elezioni parlamentari, e c’è anche l’idea di iscriversi alle elezioni presidenziali, ma non è stata ancora presa una decisione. Ufficialmente ci registreremo il prossimo anno. Per ora abbiamo un programma scritto, un nuovo statuto, una base parlamentare. Penso che con l’inizio del prossimo anno, ma non prima del mese di marzo, potremo registrarci ufficialmente. Secondo le nostre valutazioni le elezioni parlamentari saranno il prossimo anno, poi c’è la legge che la maggioranza dovrebbe promulgare adesso e la Costituzione che dovrebbe essere varata per il prossimo anno, così che credo le elezioni semplicemente non potranno essere prima della prima metà del prossimo anno. Ma non si sa, questa è una valutazione su una legge che esiste ora.

Noi vogliamo registrare un programma che offriremo ai cittadini e ai nostri membri, un programma piuttosto chiaro che copra differenti aspetti della vita, del lavoro e dell’economia. Si tratta di un programma complesso preparato da un centinaio di nostri colleghi di Otpor. Diverse parti preparate da alcuni esperti che non necessariamente sono membri di Otpor, alcuni lo sono altri no, ma che appoggiano ciò che noi facciamo. Sono persone che hanno detto che prepareranno una parte di programma per noi, e ciò riguarderà la riforma della polizia, la riforma della giustizia, le relazioni internazionali, la collaborazione regionale, ecc. Per ora non posso fare i nomi, dico solo che semplicemente considerano in modo positivo ciò che stiamo facendo, non si interessano di politica, ma vogliono darci il loro aiuto.

Per quanto riguarda questa decisione, lo scorso anno abbiamo realizzato una ricerca tra i nostri membri. Abbiamo stilato una sessantina di domande, su come vedono il futuro dell’organizzazione, cosa vorrebbero fare: chiudere, formare un partito politico, lasciarla com’è… quali sono le loro idee, quali sono i loro desideri relativi alla partecipazione delle attività dell’organizzazione, questa era una parte della domande. L’altra parte delle domande riguardava i valori: cosa pensano della cultura in generale, cosa è importante per loro nella vita, cosa è importante per loro in generale, quale ideologia appoggiano, quale stato appoggerebbero.
Sono risultate due cose: la prima è che la maggior parte delle persone appoggia l’idea che Otpor diventi un partito, la seconda è che lo spazio ideologico di Otpor sia quello di un partito di sinistra, ossia un partito socialdemocratico. E questa è stata una decisione, per far sì che l’intero programma e i valori siano basati sui sistemi socialdemocratici. Ci impegniamo per la maggior partecipazione delle organizzazioni e dei sindacati nelle decisioni riguardanti il processo della privatizzazione, ci impegniamo per il consenso sociale, per un dialogo sociale sulle riforme, che il governo, invece, non è riuscito raggiungere.

La privatizzazione è necessaria, la si deve fare e su questo non abbiamo dubbi, però abbiamo un dilemma, vogliamo che le persone coinvolte nella privatizzazione, quindi i lavoratori e i dipendenti, attraverso le loro organizzazioni di struttura, siano più coinvolti nel modo in cui tale privatizzazione viene fatta, quindi nella divisione del denaro, sapere quali fondi andranno a finire quale capitale entra e quale no. Quindi, queste sono le cose che secondo noi l’attuale governo non ha fatto. Non c’è solo l’idea di vendere tutto, perché nessuno garantisce che chi compra si occuperà di tali aziende, che assumeranno i lavoratori, che entreranno in modo più profondo nell’economia e che invece può rivelarsi una pura speculazione. Noi temiamo questo modello, temiamo che l’intera economia cada, un’economia che è basata semplicemente sui prestiti che non potranno essere restituiti. Questa è l’idea generale di ciò che intendiamo col dialogo sociale. Inoltre, si tratta anche di persone che fanno parte di Otpor, giovani, generalmente disoccupati, che si vedono senza diritti e delusi della DOS a causa di tutti i nuovi scandali che emergono di continuo. Giovani che pensano che la politica debba essere qualcos’altro, così che si sentono attivi in questo modo. Poi c’è un’altra parte di Otpor che non entrerà in politica, perché non le interessa…

OB: Insomma un po’ come ha fatto il G17?

ND: Ma… come paragone preferirei il NDI, ossia il National Democratic Institute e alcuni partiti americani, piuttosto che il G17…
OB: … Sì certo, ma con il riferimento al G17 intendevo la sua divisione in una componente di partito e in una che è rimasta ONG…

ND: Ah sì certamente, anche noi avremo un think tank con il suo centro di analisi, per coloro che non vogliono entrare in politica. Poi ci sarà un’altra componente, sempre di questa sezione legata alla ONG, che riguarderà l’attività volta agli addestramenti alla resistenza non violenta, not violent resistance training. Ciò che noi abbiamo fatto fino la caduta di Milosevic, cioè dare senso ad un’attività che sia indirizzata verso la caduta del regime autoritario e che sia un’attività non violenta. Un’attività che sia contro il regime ma che non ne condivida i metodi violenti. Penso che in ciò abbiamo delle prospettive e il nostro centro di addestramento, già esistente, svolge attività in posti come la Bielorussia, l’Azerbaigian con le altre ONG. Il centro si deve ingrandire, potrebbe avere la possibilità di essere un riferimento mondiale e aiutare gli altri paesi dove esistono movimenti che si battono contro il regime.

OB: Qualche mese fa ho letto un’intervista ad un’attivista di Otpor pubblicata da "Vreme", dove si diceva che avete perso molte persone rispetto al vostro inizio, per esempio rispetto al 2000, è vero?

ND: Be’ ti dico, quando abbiamo iniziato con questi cambiamenti avevamo fatto un accordo dove si diceva che chi era membro di partiti politici non poteva essere membro di Otpor. Si doveva decidere: o tornare nel partito o rimanere in Otpor. Questa è stata la prima decisione, e molti se ne sono andati, erano nei partiti, ma si esprimevano attraverso Otpor, erano attivi. Sono rimaste le persone che non si occupavano di politica. Otpor è stato il simbolo della resistenza alla tirannia e coloro che desideravano la caduta di Milosevic, quando questa è venuta non sono ritornati alla politica ma sono tornati agli studi, per loro non era più interessante, non era lo scopo della loro vita. Così non è che sia andata via tanta gente. Ma allo stesso tempo non noi abbiamo mai pensato che tutta quella massa di persone, che hanno partecipato al movimento contro Milosevic, sarebbe poi rimasta. Siamo un’organizzazione che si occupa di riforme, di verificare come vengono fatte e di indicare una direzione, e su questo siamo giunti ad una grande collisione col potere, che è iniziata con il disfacimento della nostra partnership. Noi critichiamo molte cose che fa il governo, prevalentemente quando si tratta della corruzione, della privatizzazione, delle malversazioni, della mancanza della volontà politica di fare i conti con il passato, con le persone che erano potenti economicamente e politicamente. Di questi pochissimi se ne sono andati, compaiono in pubblico, hanno denaro, finanziano molti partiti, una cosa del tutto inaccettabile.

OB: Dal momento che hai nominato la questione della corruzione, ed è noto l’impegno di Otpor nella denuncia dei casi di corruzione, vorrei sapere come vi rapportate alla gente, con quali attività coinvolgete i cittadini nell’affrontare il tema della corruzione?

ND: Dunque, fino ad ora abbiamo invitato i cittadini a consegnarci le loro denunce di corruzione, di malversazioni nella privatizzazione, ecc. e abbiamo raccolto tutti i documenti. Molti dei quali però non possono essere usati, a volte si tratta solo di stupidaggini, per esempio denunce contro i vicini, ecc. Tuttavia molti documenti sono fondati. Siamo riusciti a raccogliere 250 denunce, ben documentate, che abbiamo consegnato alla procura, ma in nessuno caso si è mai arrivati ad un processo. Un nostro membro di Otpor ha fatto parte del Consiglio dell’Agenzia anti-corruzione, ma dopo un po’ ha dato le dimissioni, non poteva più lavorare. Sono state fatte alcune proposte di legge sul conflitto degli interessi che non andavano bene ai partiti, ma si tratta di questioni molto importanti per iniziare a sradicare la corruzione istituzionale. Soltanto adesso al governo parlano di queste leggi, noi ne parliamo da tre anni. Il nostro membro è uscito dall’Agenzia, ha detto io non posso lavorare, al governo non importa nulla di ciò che noi diciamo. Alla fine molte cose su cui abbiamo iniziato a lavorare rimangono totalmente prive di interesse, si è andati contro un muro. Questo è anche il motivo per cui abbiamo pensato di fondare un partito politico, di modo che possiamo assumerci la nostra responsabilità, e avere una maggiore credibilità verso i cittadini per proseguire ciò che facciamo. Perché solitamente ci si scontra con discorsi di questo tipo: "ma voi siete una ONG, cosa ve ne importa, non avete alcuna responsabilità…". Per essere attivo politicamente in Serbia devi presentarti alle elezioni. Penso che ci sia una grande differenza nel settore civile… e la sua influenza alcune volte è alta altre volte dipende…

OB: Qual è la tua impressione sulla situazione politica della Serbia. Si annunciano spesso riforme, grandi cambiamenti. È qualcosa di reale oppure si tratta di una vuota retorica politica?

ND: Credo che sia una combinazione di entrambi. Molte cose sono cambiate, questo va detto, in meglio, c’è una maggiore stabilità nella politica, nella valuta, ecc.
OB: In particolare dopo l’omicidio Djindjic?

ND: Ma, anche prima direi. Finché c’era come governatore della Banca Centrale Mladjan Dinkic, alcune cose sono andate secondo un certo modello che rispecchia quello della comunità internazionale, il che è anche positivo. C’è stata l’eliminazione della opzione violenta dalla politica. Certo il vocabolario non è cambiato, ma la violenza è stata eliminata. Le cose sono cambiate, c’è una certa visione che indica che le cose non possono essere più come al periodo di Milosevic, il problema è che tale visione non è ben definita e coloro che adesso sono al potere vogliono sempre più infilarsi l’abito del precedente sistema, nel senso che non fanno veramente i conti col passato.

OB: Ti riferisci alla lustracija?

Direi di sì. La lustracija, per esempio, negli apparati di sicurezza e della difesa statale, che devono essere completamente smantellati e rifatti da capo. È necessario che si aprano i file per vedere chi collaborava con chi. Ecco vedi, queste cose non sono state fatte e alcune persone che sono attualmente al potere, indirettamente hanno preso parte al sistema precedente, hanno collaborato, trafficato, ricevuto denaro… Così che questo tipo di combinazione produce un cambiamento piuttosto importante, ma ciò che non è stato fatto è la creazione di uno stato istituzionale e di qualità, cioè basato su istituzioni statali qualificate. Ossia si devono creare delle istituzioni forti, come lo sono il presidente, il governo, il tribunale costituzionale, il parlamento.

Tutto è andato invece nella direzione di privare di senso queste istituzioni. Pensa al parlamento dove la maggioranza butta fuori la minoranza dei deputati… è senza senso! Non si conosce il numero dei deputati, si svuota di senso anche l’elezione del presidente, e la Serbia è ancora senza presidente… Tutte cose che ai cittadini appaiono come la cornice di un gioco. Diciamo che hai semplicemente una élite per la quale le istituzioni non sono importanti. Ti dicono: "noi siamo per le riforme". Sì ma tutte sono riforme! Ci possono essere riforme di destra, di sinistra, possono esserci riforme nel fascismo come nell’autoritarismo. Tutte sono riforme. Così che le riforme sono diventate una chiacchiera che va avanti e indietro. Ma se in questione ci sono le riforme democratiche, progressiste, se si tratta di riforme che danno alla gente una prospettiva, allora è diverso.

OB: Torniamo per un attimo a come intendete il processo di privatizzazione

ND: Per quanto riguarda la privatizzazione, l’idea è quella di raggiungere un accordo con i sindacati, con l’ufficio di collocamento, col governo, e di dire, va bene, qual è il prezzo delle privatizzazioni. Conoscete già un piano per includere la maggior parte della gente e delle organizzazioni nel processo di privatizzazione? Così che domani quando crollerà questo peso della privatizzazione, ossia quando partirà sul serio, la nostra gente sappia cosa deve fare, come sarà la loro qualificazione, se ci sarà un programma sociale? Voglio dire: non possono andare tutti in pensione! si tratta di gente relativamente giovane, sui 50 anni, gente che è ancora giovane per andare in pensione e allo stesso tempo non così giovane per poter ricominciare da zero. Cioè, si trovano in una situazione che richiede la loro riqualificazione e ciò costa.

Tutto questo va svolto in maniera trasparente, di modo che tutti sappiano all’incirca, che il processo inizia oggi e per esempio termina fra un anno oppure tra due anni, che sino ad allora succederà questo e quello. D’accordo sul fatto di vendere, però non in tutti i casi. E il problema è che in molti casi non va bene per niente. Il problema riguarda il testo sulla privatizzazione, che deve contenere la garanzia dei diritti, delle riforme legislative basate sullo stato di diritto, per fare in modo che qui possano venire anche i piccoli investitori. Che non vengano solo i grandi gruppi. I quali, sì, portano parecchi soldi. Pensa alla industria del tabacco… si tratta certo di grandi partner. Ma si tratta di coinvolgere anche le piccole imprese, che non sono in grado di affrontare un grosso rischio, piccole aziende che non possono certo disporre di grosse somme e che hanno bisogno di istituzioni stabili, di un tribunale solido che possa dare la certezza, che se subiranno dei danni potranno essere in grado di rivolgersi ad un organo in grado di rispondere. Anche questo fa parte della privatizzazione.

OB: Sono i punti del vostro programma politico?

ND: Sì certo, questi saranno i punti del nostro programma per quanto riguarda le riforme istituzionali, le riforme del tribunale, gli investimenti esteri, ecc.

OB: Qual è la posizione di Otpor rispetto all’integrazione europea?

ND: Anche questa è un’altra chiacchiera. Anch’io sono per l’integrazione, cosa vuol dire, io vivo sul pianeta Terra, ma anche quelli di New York vivono sul pianeta Terra, e anche quelli in Bangladesh, ma non voglio parlare di come vivono gli altri. No! Noi pensiamo che la strada verso l’integrazione sia una normale integrazione, pensiamo che il primo aspetto cruciale dell’integrazione europea di questa regione, sia la creazione di una zona comune di libero mercato, una zona doganale comune, al massimo della collaborazione nei rapporti che possiamo avere in comune, compresa una difesa comune. Una difesa collettiva, così che se anche gli eserciti non verranno eliminati, almeno che vengano ridimensionati attraverso un sistema di difesa collettivo dei Balcani, per non avere più minacce reciproche, ma la collaborazione Di modo che tutta la regione possa entrare in Europa. E se riusciremo a realizzare un sistema come questo allora potremo entrare stabili nell’Unione europea.

OB: In parte ciò che è previsto dal Patto di Stabilità…

ND: Sì, però il Patto di Stabilità è un framework, che si deve completare con i desideri di un governo, la cui politica va in quella direzione. Ma se tu non hai nessun desiderio e non hai un programma politico, allora il patto di stabilità non serve a niente. Voglio dire: devi avere dei buoni contatti con la gente che vive per esempio in Bosnia, in Croazia, in Albania, in Kosovo, che condivide gli stessi valori, e attraverso questi contatti, quando ognuno di noi avrà la possibilità di decidere andremo in quella direzione. Molte delle persone che sono oggi al potere lo sono state per 50 anni e hanno influenzato le guerre in Jugoslavia. Alla fine, con loro non ci si può aspettare questo grande passo avanti.

OB: Avete collaborazioni con altri partiti o organizzazioni all’estero?

ND: Pochi per ora, e come partiti in Italia quasi non ne abbiamo. Ne abbiamo con il partito SDP della Germania e con la fondazione Friedrich Ebert. Abbiamo collaborazioni con persone del Kosovo, della Macedonia e della Bosnia. Cerchiamo adesso di avvicinarci ad alcuni partiti che hanno un orientamento di sinistra, come per esempio in Italia i DS. Poi, nel mese di ottobre, avremo degli incontri in Kosovo e ci incontreremo anche con persone della regione Emilia Romagna per vedere se possiamo collaborare. L’idea è quella di farci conoscere, di presentarci e poi vediamo cosa succede.

OB: Parteciperete da soli alle prossime elezioni?

ND: Sì, soli. La nostra idea è di andare prima in parlamento con un gruppo di deputati e di lavorare alla formazione del partito e delle sue strutture interne, all’educazione delle persone del Parlamento. Capire cosa significa stare in parlamento, cosa significa essere responsabili e lavorare ad un partito per il futuro. Non abbiamo come scopo andare al potere adesso. Vogliamo andare in parlamento per essere costruttivi, per proporre le nostre idee e sostenere il governo se avrà un buon programma, mentre se non lo avrà di criticarlo. Infine se saremo pronti per le prossime elezioni aumenteremo la nostra percentuale di elettori e non escludiamo di entrare al governo. Ma per ora si tratta di raccogliere la fiducia dei cittadini avendo come obiettivo l’ingresso in parlamento.

Ecco, forse un po’ di fretta, ma mi sembra di averti detto tutto, non credo ci sia altro. Un’ultima cosa posso dirti: esiste un forte desiderio, e questo è importante, una forte motivazione che mira a far cadere moralmente questa élite che è andata al governo. Ci deve essere una resa morale. Per loro tutto è lecito, ma ciò non giova a questo paese e senza la base di certi valori non si può costruire un paese.

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