Un ponte senza sponde
Inaugurata a Roma l’iniziativa ‘Il Vecchio Ponte di Mostar’. Per raccontare e ricordare cosa ha rappresentato questo ponte nell’immaginario collettivo bosniaco ed europeo.
Alle 17 del 12 novembre "in un momento di lutto in cui si piange la morte di 15 soldati italiani in Irak… gli stessi soldati che hanno lavorato per far finire la guerra in Bosnia Erzegovina" Predrag Matvejevic, inaugura l’iniziativa culturale "Il Vecchio Ponte di Mostar" organizzata a Roma dall’Ambasciata della Bosnia Erzegovina, dalla Comunità della Bosnia Erzegovina in Italia e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) e patrocinata da Provincia, Comune di Roma e ANCI.
Per ricordare e raccontare ciò che ha rappresentato e rappresenta questo ponte nell’immaginario collettivo, durante la manifestazione viene passata in rassegna la storia del Ponte dalle sue origini alla recente ricostruzione. "Il Ponte Vecchio era l’orgoglio della città finché Mostar era vera città. Da tempo non abbiamo più né l’uno né l’altra, siamo stati privati di noi stessi. Non abbiamo più di che andare orgogliosi" ed infine "qualche settimana fa il Ponte Vecchio è entrato nella fase finale della ricostruzione. Si può passare da una riva all’altra della Neretva… ma ora si tratta di ricostruire i rapporti tra la gente sulle due rive del fiume. Senza questo il ponte non serve al suo scopo".
L’inaugurazione della manifestazione si svolge nell’avveniristica sala convegni di Via di Porta Castello, a due passi da Piazza San Pietro, che con le sue forme tondeggianti sembra abbracciare maternamente il numeroso pubblico venuto a ricordare lo Stari Most, crollato sotto le bombe il 9 novembre di dieci anni fa. Lo scrittore-professore universitario mostarino oggi "tra esilio ed asilo" docente alla Sapienza di Roma, sottolinea l’importanza della rinascita di un ponte che era simbolo di tolleranza e convivenza fin dalla sua costruzione nel 1566 ai tempi dell’Impero Ottomano di Solimano il Magnifico.
"Il nostro Vecchio era molto più di un semplice monumento. Serviva a tutti, ci univa tutti" continua Matvejevic "in esso era immutata la memoria collettiva dei nostri avi; era il simbolo di generazioni. Non allacciava soltanto due sponde; su quel ponte l’Oriente e l’Occidente si stringevano la mano". Nonostante questo egli denuncia i falliti tentativi di ricostruzione di questi dieci anni "l’opera è cominciata più volte, ogni volta daccapo… e questo forse perché noi mostarini non abbiamo avuto la forza di raccoglierci intorno al ponte, non siamo stati abbastanza vicini gli uni agli altri" facendo capire che il risultato di oggi è raggiunto per volontà di realtà esterne, internazionali.
Attraverso i sui ricordi d’infanzia "sono nato a 200 metri dal Vecchio, come lo chiamavamo tutti noi" e di gioventù "ci si dava appuntamento sopra al Vecchio, si faceva il bagno sotto al Vecchio, i ragazzi vi si tuffavano a volo di vlasica (rondine) e vi si posavano i bianchissimi gabbiani dell’Adriatico", decanta la bellezza e l’unicità architettonica di una struttura che "era sopravvissuta a quattro secoli di terremoti, invasioni, guerre". Si scusa per il sentimentalismo "sapete, l’abbiamo protetto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale…e poi l’abbiamo distrutto noi stessi" e indurisce il tono di voce quando aggiunge che non è sopravvissuto all’urbicidio perpetrato da coloro che definisce talebani "croati" e talebani "serbi", sottolineando che le virgolette messe ai nomi dei due popoli servono per distinguere i distruttori da quei croati e serbi che ne hanno pianto il crollo.
Breve l’intervento di apertura dell’Ambasciatore di Bosnia Erzegovina in Italia, Luksa Soljan, che dopo aver espresso cordoglio per la morte dei soldati italiani, scorre con le parole concetti simili a quelli di Matvejevic. "La foto del Vecchio distrutto è come il ritratto di una persona amata e perduta", ma secondo Soljan oggi "il Ponte Vecchio è come le stagioni e il vento, non appartiene né agli uni né agli altri. E’ un gesto imperiale che lega e unisce gli uomini. Luogo dell’incontrarsi, ma anche del passare e del perdersi di un uomo…", ricordando che rappresenta anche una frontiera, da condividere e non da difendere.
Interviene poi la consigliera delegata dal Sindaco di Roma alle Politiche della Multietnicità, Franca Eckert Cohen leggendo la lettera inviatagli dal Sindaco di Mostar, Hamdija Jahic, in cui egli si scusa di non poter partecipare all’evento a causa di impegni presi in precedenza. "Auguro che nel luglio del 2004, data dell’inaugurazione ufficiale della ricostruzione del ponte, invieremo messaggi di pace in tutto il mondo, in cui diremo che l’amore ha sopraffatto l’odio, che la convivenza ha vinto sulle divisioni…". Franca Cohen racconta della sua partecipazione al Consiglio d’Europa di due settimane prima, per far comprendere quanto le città possano rappresentare un luogo elettivo per la costruzione di convivenza e legami. "In quella sede è stato presentato il progetto SHARECITY in base al quale tutte le città europee possono costruire percorsi non solo di multiculturalità, ma anche e soprattutto di interculturalità". Ed è in questa direzione che va anche il lavoro di Roma "che vuole essere città che offre pari dignità". Difatti, informa la Cohen, secondo le ultime votazioni avvenute in Campidoglio "è stato deciso che il 15 febbraio prossimo avverrà la votazione di stranieri residenti con regolare permesso di soggiorno per l’elezione di 4 rappresentanti che siederanno in sede di Consiglio, per ora purtroppo senza diritto di voto ma che porteranno in sede di discussione i problemi e i bisogni degli stranieri di Roma".
Predrag Matvejevic annuncia quindi la visione del film-documentario "Lo spirito del Vecchio Ponte" di Nadja Mehmedbasic, realizzato in collaborazione con la Tv Federale Bosniaca.
Il documentario racconta la storia del Vecchio Ponte attraverso le parole dei suoi tuffatori, e della nascita di un blocco di nuovi francobolli con l’immagine di Emir Balic (presente anche in sala) il miglior tuffatore di Mostar. E’ proprio lui che all’inizio del film racconta "a Mostar non esiste casa senza un tuffatore", riassumendo in poche parole quale significato avesse quell’arco a dorso d’asino a cavallo della Neretva "sentivamo il Ponte come fosse un essere vivente, che meritava tutto il nostro rispetto".
Chiude l’inaugurazione l’intervento del neo direttore dell’IOM in Italia, Peter Schatzer, che racconta del suo primo viaggio di qualche anno fa a Mostar in cui incontrò Hans Koschnik, capo dell’EUAM (Amministrazione Europea di Mostar). "Anche se il mio vero primo viaggio in quelle terre è avvenuto che avevo 12 anni, quando i miei genitori mi portarono a capire la storia mitteleuropea, la storia dei Balcani, dove guerre ma anche convivenze avevano caratterizzato un percorso che ci apparteneva". In conclusione illustra le attività dell’IOM nei Balcani, che iniziarono nel 1992, in piena guerra, presso l’ospedale Kosevo di Sarajevo. "Allora riuscimmo a inviare all’estero 22.000 feriti perché venissero curati" e aggiunge "dopodiché ci siamo dedicati alla ricostruzione del sistema sanitario bosniaco e alla formazione del personale medico". L’ufficio di Mostar viene aperto nel 1998, e oggi IOM si occupa principalmente di reintegrazione di profughi, di bosniaci qualificati rientranti dall’estero, e di ex-combattenti.
Il Professor Matvejevic saluta il pubblico con l’augurio che si "apra un periodo di maggior luce e di minor lutto" ed invita a visitare nella sala antistante l’esposizione filatelica, di cartoline commemorative e di documenti storici curata dal giornalista Semsudin Zlatko Serdarevic e da Stefan Sunaric, membri del Centro per la Pace e Multiculturalità della Città di Mostar.
Una domanda resta però inespressa, si libra nell’aria senza risposta: il ponte ha riunito realmente le due sponde? Oppure se ne sta lì, sospeso nel vuoto in attesa che la gente di Oriente ed Occidente si stringa di nuovo la mano? di Nicole Corritore
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