Si riteneva che il crollo del sistema produttivo albanese, avvenuto negli anni ’90, avrebbe portato almeno un vantaggio: quello della diminuzione delle cosiddette malattie professionali. Attorno al 1993-1994 sembrava proprio si andasse in questa direzione. Ora invece una smentita arriva da Skender Skenderaj, direttore del Centro malattie professionali della Clinica universitaria "Madre Teresa" a Tirana.
"Negli ultimi anni sono migliaia i nuovi casi emersi, in particolare si tratta di malattie al sistema respiratorio, alla colonna vertebrale, al cervello e vari tipi di intossicazioni. Il maggior numero di malattie si riscontrano nel nord del paese nelle aree di Kukes, Puka, Mirdita, Bulqiza, zone di miniere, poi nel sud-est del Paese, nell’area di Pogradec. Ci si sposta poi a sud nella zona di Memaliaj, sede di miniere di carbone, nella zona di Elbasan dove è collocato il più grande impianto siderurgico del Paese ed infine nell’area di Valona e attorno alle raffinerie di Kucova.
Presso la clinica del dottor Skenderaj vengono trattati circa 3000-3500 casi all’anno. Quasi tutti lavoratori nelle miniere o nelle raffinerie, o, le donne, lavoratrici nel settore tessile e in calzaturifici.
"Alla situazione delle malattie professionali certo non ha giovato la decisione del governo di alzare l’età pensionabile dai 60 ai 65 anni" ricorda Skenderaj "decisione adottata senza tener conto di lavori altamente usuranti". "Si dovrebbe regolare l’età pensionabile alla tipologia di lavoro svolto durante la vita e non seguendo criteri anagrafici. Non è la stessa cosa lavorare in una miniera o fare il boscaiolo", continua Skenderaj.
Altra problematica messa in rilievo da Skenderaj, che ha all’attivo anni di esperienza nelle vesti di ispettore sanitario, la deregolamentazione esistente nel settore privato. "La qualità delle condizioni di lavoro è molto spesso trascurata. Drammatica ad esempio la situazione in merito ai servizi igenici. La legge ne prevede uno ogni due lavoratori o lavoratrici. Nella realtà ve ne è uno ogni centinaia di lavoratori". "Non è tutto qui" aggiunge Skenderaj "spesso i lavoratori sono costretti a turni massacranti e vi sono aziende, sia locali che straniere, che non concedono alcuna pausa settimanale. Nell’orario lavorativo giornaliero è necessaria almeno una pausa di 30-40 minuti".
Secondo gli esperti albanesi le malattie professionali stanno a assumendo caratteristiche diverse rispetto al passato. Colpiscono ora ad esempio anche le nuove generazioni. Questo in particolare nel nord del Paese dove sono sorte molte nuove piccole imprese che trascurano le norme basilari della sicurezza sul lavoro.
Secondo quanto affermato dal quotidiano "Balkan" la maggior parte delle imprese non effettua alcun controllo medico sullo stato di salute dei propri lavoratori e nulla fa per prevenire le malattie professionali. "Magari vi è qualche calzaturificio che ha un proprio medico, ma questo purtroppo interviene solo quando i lavoratori hanno già contratto una malattia", afferma sempre Skenderaj.
In questi giorni il quotidiano "Panorama" racconta la storia di un ex minatore nel villaggio di Nimca, nei pressi di Kukes, nord dell’Albania. Asllan Hoda, padre di otto figli, ha lavorato per molti anni in una miniera di uranio che è poi stata chiusa. "La maggior parte delle famiglie dei minatori ha lasciato il villaggio perché qui è oramai impossibile trovare lavoro" racconta Hoda "comunque solo dieci degli ottanta minatori che lavoravano in miniera sono ancora vivi. Gli altri sono tutti morti tra i 40 ed i 55 anni a causa dell’esposizione alle radiazioni". La miniera di Nimca è stata aperta dai russi nel 1960 per essere poi chiusa alla fine degli anni ’80.
Asllan Hoda ha ora molti problemi ai polmoni. Sa che probabilmente gli toccherà la stessa fine dei colleghi. Anche curarsi è difficile. A Nimca sono scarsissimi i servizi sanitari. Come scarsi sono del resto in tutto il Paese. In Albania vi sono 1,3 medici per 1000 abitanti, contro i 3 della media dei Paesi della UE.