I Balcani in guerra

La maggior parte dei Paesi balcanici è di nuovo in guerra. Non con il proprio vicino, ma al seguito della coalizione internazionale guidata dagli Usa in Iraq e Afghanistan. Una scheda sui contingenti in campo.

09/02/2004, Andrea Oskari Rossini -

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Baghdad

Baghdad

La Croazia non ha inviato truppe in Iraq. Come avrebbe potuto? Al momento dell’attacco angloamericano, i cittadini croati si sono dichiarati per la stragrande maggioranza contrari alla guerra. E i sondaggi piu’ recenti (Media Metar, gennaio ’04) mostrano che l’opinione pubblica non e’ cambiata: l’84% della popolazione resta contraria all’invio di militari in Iraq.
"Siamo passati attraverso una guerra. Non ne vogliamo un’altra". Per ribadire il concetto, la iniziativa civica "Basta guerra!" (Dosta je ratova) ha convocato sabato scorso (7 febbraio) una manifestazione in Piazza Bana Jelacica, a Zagabria, all’insegna di uno slogan quanto mai esplicito "Non in mio nome".
Mentre infatti non e’ cambiata l’opinione della gente sulla guerra, a Zagabria e’ cambiato il governo. Dopo tre anni di centro sinistra, le elezioni del novembre scorso hanno (ri)consegnato il Paese alla destra dell’HDZ (Unione Democratica Croata), erede del decennio tudjmaniano.
A differenza della socialdemocrazia di Racan – che nonostante alcuni tentennamenti si era infine schierata con la "vecchia Europa" meritandosi le reprimende di Washington – l’HDZ del neo-premier Sanader è l’unico partito croato ad aver apertamente sostenuto gli Stati Uniti in occasione dell’attacco contro Baghdad. La posizione, controcorrente rispetto alla onda prevalente nel Paese, aveva valso all’HDZ l’esplicito appoggio dell’ambasciatore americano a Zagabria, Lawrence Rossin, nel cruciale anno delle elezioni parlamentari. Sanader sembra ora intenzionato a rendere esplicito il feeling con la Casa Bianca e ad inviare un contingente croato in Iraq, anche nell’intento di accelerare il processo di adesione del Paese alla Nato.
Ieri (8 febbraio) è arrivato a Zagabria proprio Donald Rumsfeld. Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti ha incontrato il presidente croato Stipe Mesic – comandante delle forze armate – e il primo ministro Sanader. Al centro dei colloqui proprio la possibile partecipazione della Croazia all’intervento militare in Iraq, e la questione dell’accordo sulla non estradizione alla Corte Penale Internazionale di cittadini statunitensi. Racan aveva rifiutato di firmare un tale accordo, e aveva inoltre negato l’appoggio del proprio Paese alla guerra contro l’Iraq. Ora i rapporti con Washington potrebbero mutare di rotta. All’orizzonte si profila la adesione della Croazia alla Nato: Zagabria, che dal 2000 partecipa al programma della Alleanza di "Partnership per la Pace", spera di ottenere al prossimo vertice di Istanbul, che si terrà nel giugno prossimo, l’invito ad aderire alla organizzazione nel 2006.
In questo momento la Croazia è già impegnata in Afghanistan, nel quadro della forza ISAF. Secondo i dati ufficiali, il contingente croato nel Paese – inquadrato all’interno della missione militare tedesca – e’ composto di 86 soldati, 50 dei quali appartengono alle forze di polizia.
Anche i vicini sloveni, prossimi all’ingresso nella Unione Europea, sono pronti a partire. Il 25 gennaio scorso la prima brigata dell’esercito sloveno a Ljubljana ha tenuto infatti una conferenza stampa, nel corso della quale ha reso noto che 18 soldati e 5 mezzi parteciperanno alla missione ISAF. 6 militari partiranno il 9 febbraio per l’Uzbekistan via Germania, mentre altri 12 il 25 febbraio direttamente per Kabul. La missione durerà 6 mesi, prolungabile su decisione del governo, le paghe oscillano tra i tre e i seimila euri al mese. I soldati sono tutti volontari, l’età media è di circa 32 anni. Il governo sloveno ha stanziato in totale 1,68 miliardi di talleri (circa 800 milioni di euri) per le missioni di pace all’estero, e la Slovenia è attualmente coinvolta in quattro missioni all’estero, con un totale di 175 militari e 42 mezzi pesanti (Dnevnik Slo, 26 gennaio).
Mentre i Bosniaci ci stanno pensando (il Parlamento sta in questi giorni discutendo del possibile invio di propri militari sia in Afghanistan che in Iraq), per i Bulgari la difficoltà maggiore al momento è trovare (altri) soldati disposti a partire.
La Bulgaria ha gia’ un proprio reparto in Iraq, sotto comando polacco. Il contingente – arrivato nel Paese nell’agosto del 2003, in seguito ad una decisione del Consiglio dei Ministri del 22 maggio dello stesso anno – è costituito da 478 uomini ed è stanziato nelle vicinanze della città di Kerbala, la città santa sciita ad un centinaio di chilometri da Baghdad. Compito dei militari bulgari quello di controllare quest’ultima.

La difficoltà principale nel reclutare militari disposti a partire è legata al fatto che, per la legge vigente nel Paese, possono essere inviati in missione solo soldati che diano il proprio consenso. Le paghe non sono alte, i rischi sì, l’addestramento scarso, e molti preferiscono non partire. La situazione – per il governo di Sofia – è ancora più difficile dopo che il 27 dicembre scorso 5 militari bulgari sono stati uccisi e 27 feriti a seguito di un attentato che ha colpito la base "India", presso Kerbala.
In questo momento, il Paese balcanico più esposto è la Romania, che ha inviato un totale di 1.200 militari in Iraq e Afghanistan. In Iraq sono circa 700 i fanti, poliziotti militari, esperti informatici e genieri rumeni, dislocati tra Nassirya e Al-Hillah, che svolgono la loro attività al fianco degli italiani e degli americani.
In Afghanistan il contingente rumeno è invece composto da 500 militari. 400 sono a Kandahar, con l’esercito Usa; circa 100 sono invece a Kabul. Si tratta per lo più di polizia militare e ufficiali di collegamento, che hanno come compito quello di contribuire alla formazione dell’esercito nazionale afgano.
Ervin Dervisci, 21 anni, è la prima vittima albanese in Iraq. Il ragazzo, morto alcuni giorni fa in un’imboscata, non indossava pero’ l’uniforme albanese ma quella dei marines, dato che dal ’99 viveva negli Stati Uniti con la famiglia. Il governo albanese l’ha proclamato "martire della patria".
I soldati di Tirana che in Iraq vestono invece la uniforme dell’Albania sono circa 70. Si tratta di truppe speciali, sotto il comando americano. In Afghanistan i militari albanesi sono invece 30, inquadrati all’interno del contingente turco.
Anche la Macedonia – da otto mesi – partecipa alle operazioni militari in Iraq. Il primo contingente, composto da 28 militari professionisti e due ufficiali di collegamento, è tornato da Baghdad il 10 dicembre scorso. Due giorni prima il governo macedone aveva inviato un nuovo reparto la cui missione, come per il precedente, durerà sei mesi. La Macedonia partecipa anche alla missione internazionale in Afghanistan dove a marzo – come recentemente dichiarato da fonti del Ministero della Difesa – verrà inviato un nuovo contingente.
Per quanto riguarda la Serbia Montenegro infine, la situazione è per il momento ferma fino a quando non verrà nominato il nuovo esecutivo. L’unico dato che sembra essere certo è la scadenza del 15 marzo prossimo per l’invio di una task force in Afghanistan. Per il momento non si parla di Iraq. I reparti che dovrebbero partecipare alla missione sono: Unità Speciale Antit[]ismo (SAJ) (impiegata nella guerra in Kosovo), Gendarmeria e paracadutisti della 63a brigata. Con ogni probabilità faranno parte della missione anche alcuni "berretti rossi", membri della disciolta Unità per le operazioni speciali (JSO) di cui facevano parte Milorad Lukovic ("Legija", principale accusato dell’omicidio Djindjic) e Zvedan Jovanovic, il presunto killer del premier.

Divise su molte questioni, su una cosa le destre vittoriose nella maggior parte delle recenti tornate elettorali nei Balcani non sembrano avere dubbi: in politica estera si segue la Casa Bianca.

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