Croazia: import alimentare alle stelle
Nei supermercati ci sono solamente prodotti esteri. Il processo di integrazione europea sembra aggravare la tendenza alla dipendenza. Paradossale la situazione del turismo. La Croazia consuma, ma non produce più cibo
Da Osijek, scrive Drago Hedl
Chi va a fare la spesa in un ipermercato croato si rende conto immediatamente che la varietà di prodotti esposti non differisce molto da quella dei supermercati tedeschi, italiani o sloveni. Gli scaffali sono pieni di prodotti importati: la Barilla domina il reparto della pasta; trovare una cioccolata ‘made in Croatia’, tra Milka e Nestlé, è praticamente impossibile, così come caffè che non sia Jakobs o yogurt altro da Danone. La iniziativa avviata dalla Camera di Commercio Croata nel 1997, dal titolo "Compra croato per sostenere i nostri posti di lavoro" sta annegando nella ondata di prodotti stranieri, e non è riuscita ad offrire risultati significativi.
Per quanto riguarda i prodotti alimentari, ma il discorso potrebbe allargarsi anche ad altri generi di consumo, la Croazia è un importatore gigantesco. Secondo la previsione di "Poslovni tjednik", rivista di Zagabria che analizza le tendenze dell’economia croata, solo quest’anno l’import di alimentari salirà a circa due miliardi di dollari americani (Usd). Nel corso del 2003, la Croazia ha importato 1 miliardo e duecento milioni di Usd di alimentari. Se la proiezione degli analisti è corretta, e l’import in questo settore raggiunge davvero i due miliardi di Usd nel 2004, il deficit nel commercio agroalimentare crescerà da mezzo a un miliardo di dollari!
Quando alla fine di gennaio è venuto alla luce lo scandalo della campagna "Compra croato", mostrando che le mele che rientravano nella iniziativa provenivano in realtà dalla Polonia, importate in Croazia attraverso la Bosnia Erzegovina, il pubblico ha scoperto le cifre dell’enorme import di frutta croato. Si tratta di circa 130 milioni di dollari, che corrispondono esattamente a metà della domanda. I Croati peraltro non sono dei grandi consumatori di frutta – mentre un cittadino europeo ne consuma circa 70 chili all’anno, in Croazia la media è sui 28 chili.
La Croazia però non importa solo la frutta che non può crescere nel Paese a causa del clima, come quella tropicale, ma anche quella che potrebbe produrre facilmente. Il 98% delle pere, il 70% delle pesche, il 50% delle mele e il 40% delle fragole sono infatti importati. Per quanto riguarda i prodotti agricoli, la Croazia può coprire il proprio fabbisogno relativamente a sei soli prodotti: grano, vino, uova, mais, patate e olive. Tutti gli altri prodotti, anche il pollame, la cui produzione un tempo bastava a soddisfare la domanda del mercato, sono ora insufficienti.
"Negli ultimi quattro anni la Croazia ha importato 25 miliardi di kune (circa 4,1 miliardi di Usd) di cibo – afferma Ivo Loncar, parlamentare e per lungo tempo giornalista televisivo, specializzato in agricoltura. Se il Paese fosse organizzato meglio, potrebbe produrre cibo a sufficienza per 25 milioni di persone, ma così come stanno le cose non può far fronte neppure ai bisogni dei propri cittadini, che sono meno di 5 milioni."
Loncar sottolinea poi che, oltre alla cattiva organizzazione, lo sviluppo della economia croata è bloccato da una fortissima lobby di importatori che realizza alti profitti sulle tasse all’import. Questo è il motivo per il quale la Croazia importa praticamente tutto, persino il fieno, di cui i prati del Paese sono strapieni, basta tagliarlo.
Gli analisti dell’economia affermano che il livello di vita in Croazia potrebbe essere straordinariamente più alto se solo lo Stato mettesse in relazione il turismo – una delle più importanti fonti di entrate – con l’agricoltura.
"Ai turisti stranieri che arrivano negli Hotel della costa adriatica offriamo calamari che vengono dalla Spagna, maiale che arriva dalla Cina, burro della Unione Europea, peperoni e pomodori olandesi e vino italiano o macedone – dichiara un famoso economista croato. Sembra che non siamo in grado di offrire niente oltre al mare e all’aria. Se non siamo in grado di produrre automobili come quelle tedesche, o vestiti di qualità e mobili come gli Italiani, possiamo almeno produrre il cibo."
Se da un lato è vero che la Croazia mostra una tendenza all’aumento della esportazione di prodotti alimentari, questo aumento è insignificante se paragonato al livello di import. La Croazia esporta per lo più tonno, zucchero, grano e granoturco, soprattutto verso la Bosnia Erzegovina, l’Italia e il Giappone. I due terzi dell’export croato sono diretti verso questi Paesi. La maggior parte degli alimentari importati provengono invece dall’Italia, dalla Germania e dall’Ungheria.
Uno dei motivi per i quali si prevede che la Croazia importerà circa due miliardi di dollari americani di cibo nel 2004 risiede nel fatto che Zagabria, in accordo con i negoziati condotti con la Unione Europea, dovrà liberalizzare ulteriormente il mercato dei prodotti agroalimentari. Dal primo maggio prossimo, la Croazia dovrà aumentare la propria quota di import, perché in questa data la UE si allargherà di 10 nuovi membri. Al posto della attuale quota di 1.980 tonnellate di salsicce esente da dazi, la Croazia dovrà consentirne un import libero di 4.600 tonnellate, e invece delle attuali 8.030 tonnellate di carne di maiale esentasse, dovrà permetterne una importazione pari a 12.800 tonnellate. Questo significherà più prodotti alimentari di importazione sul mercato nazionale e un ulteriore peggioramento delle condizioni dei produttori locali, già in difficoltà nella competizione con il cibo a poco prezzo che arriva dall’estero.
D’altro canto, alla Croazia non è consentito esportare verso la Unione Europea neppure quei prodotti di cui dispone in abbondanza. I gelati, ad esempio, sono ammessi nella UE solo se il Paese esportatore ha un certificato di qualità degli ingredienti. Nel caso della Croazia, questo significherebbe la importazione di tutto il latte necessario alla produzione dei gelati dall’estero, dato che non possiede il certificato di qualità necessario per il proprio latte.
Anche le grandi catene commerciali come Billa, Mercatone, Kaufland, Mercator o Metro sono responsabili per la invasione di prodotti dall’estero. Gli scaffali di questi ipermercati contengono solo il 20% di prodotti croati, ma la situazione non è molto migliore neppure nei supermercati croati come Konzum o Getro.
In questo contesto, la iniziativa "Compra croato" ha poco senso e sembra corrispondere più a propaganda politica piuttosto che ad un programma organizzato per la difesa della produzione locale. E’ una situazione che ricorda la barzelletta del ristorante che offre "frittelle croate" fatte di latte e farina ungheresi, marmellata tedesca e uova slovene.
Vedi anche:
– Croazia: debito estero a 19 miliardi di dollari
– Prove di sovranità alimentare in Bosnia