Diplopia sui diritti umani in Serbia
Mentre la Serbia Montenegro ratifica la Convenzione sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali del Consiglio d’Europa, permane all’interno delle due Repubbliche una visione diametralmente opposta della questione. Nostro commento
Il ministero degli Esteri della Serbia e Montenegro, Goran Svilanović, il 3 marzo è andato in visita al Consiglio d’Europa per sottoscrivere alcune Convenzioni dell’Organizzazione internazionale. In particolare: la Convenzione sulla salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (entrata in vigore immediata) ed i protocolli 4, 6, 7, 12 e 13, quest’ultimo relativo all’abolizione della pena di morte in ogni circostanza (entrata in vigore: 01.07.2004); la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani e degradanti (entrata in vigore: 01.07.2004); la Convenzione sul riconoscimento delle qualifiche dell’insegnamento superiore nella regione europea (entrata in vigore 01.05.2004).
Un segnale positivo, se non fosse per alcune questioni che vorremmo sollevare. Innanzitutto ricordiamo che l’ingresso nel Consiglio d’Europa giunse nel bel mezzo dello stato di emergenza (marzo-aprile 2003) proclamato in Serbia a seguito dell’omicidio del premier Zoran Ðinđić.
Fu una della concessioni della comunità internazionale alla Serbia, in quel momento scossa dall’omicidio politico del premier. Un’iniziativa d’urgenza con la quale si chiuse un occhio, ed anche due, su alcune contraddizioni ancora aperte.
E’ bene ad esempio ricordare che alla vigilia dell’accoglienza nel Consiglio d’Europa, l’allora ministro della difesa, il leader del Partito democristiano serbo (DHSS) Vladan Batić, non esitò ad invocare la riammissione della pena di morte. La cosa suscitò imbarazzo, meno però di quanto ci si potesse aspettare.
Buona parte dei cittadini della Serbia è infatti favorevole alla pena di morte. Altrettanto numerosi sono coloro i quali si dichiarano contrari alla consegna al tribunale internazionale di connazionali ritenuti responsabili di crimini di guerra. Inoltre, ad eccezione di pochi casi, vi è una sorta di oblio nei media del Paese sui crimini commessi negli anni ’90; senza dimenticare che la commissione che doveva indagare e fare chiarezza su un decennio tragico per Serbia e Montenegro, costituita dall’allora presidente federale Vojislav Koštunica, oggi premier, è svanita nel nulla, dopo un anno poco produttivo. Nel nulla è finito anche lo scandalo dei camion frigorifero coi quali si trasportavano i morti albanesi dal Kosovo alla Serbia: quattro anni fa, a Batajnica, furono trovati in fosse comuni circa 700 corpi di albanesi kosovari. A tale vicenda l’etnologo e saggista Ivan Čolović dedicò un libro, ma chi lo ha mai letto?
Oggi il Paese vara invece un governo con l’appoggio del partito di Milošević, una coalizione governativa composta da "nazionalisti moderati" (qualche anno fa alcuni intellettuali belgradesi si chiesero cosa significasse "nazionalista moderato"? "Nazionalista o lo si è, o non lo si è", affermarono in quell’occasione), un gruppo di filo-monarchici, nazionalisti pure loro, e una minoranza di esperti economisti liberisti. Ciò che sembra accomunare un po’ tutti è l’indifferenza per i crimini commessi dalla propria gente, e per estensione un’indifferenza per l’elaborazione del recente passato. Niente lustrazione, niente elaborazione del passato, la collaborazione con la giustizia internazionale messa all’ultimo posto dell’agenda politica nonostante sia purtroppo accertata l’impreparazione dei tribunali locali alla conduzione di processi per crimini di guerra.
Per quanto riguarda la possibilità di spostare nei tribunali locali della Serbia i casi di competenza del Tribunale internazionale dell’Aia, il Consiglio d’Europa, nel suo rapporto relativo al terzo quadrimestre (novembre 2003 febbraio 2004) sottolinea l’impossibilità di realizzare un tale accordo, dal momento che i tribunali locali e gli organi della procura non sono ancora pronti per processare i casi relativi ai crimini di guerra, in particolare – si legge nel rapporto – per via del fatto che l’indipendenza del Procuratore speciale per i crimini di guerra e del Tribunale per i crimini di guerra possono essere messe in discussione piuttosto seriamente.
Inoltre il Consiglio d’Europa ha espresso una particolare preoccupazione dal momento che in Serbia dall’inizio di novembre non è stato consegnato o arrestato alcun sospettato dal tribunale dell’Aia.
Ci si scandalizza per le preoccupazioni occidentali su tale esecutivo? Per fortuna a mostrare preoccupazione è pure una fetta di cittadini serbi, quei cittadini che appartengono all’"altra Serbia", che pur amando il proprio Paese, ne criticano la guida e le ingiustizie (a dire il vero un po’ meno presenti durante le ripetute violazioni dei diritti umani durante lo stato di emergenza).
Sembra dunque, come accade in altri Paesi dell’area, che vi siano due immagini del Paese: una ad uso esterno, guidata dalle diplomazie politiche (la firma delle Convenzioni legate al Consiglio d’Europa rientra in quest’ultima), l’altra ad uso interno, attenta ed in sintonia con le sensibilità dell’opinione pubblica.
Questa dicotomia fa sì che il ministro degli esteri si appresti a ratificare l’abolizione della pena di morte, quando non solo l’ex ministro della giustizia, ma buona parte della cittadinanza è del parere opposto.
L’osservatore intenzionato a far luce sul paese deve sottoporsi ad una sorta di diplopia fenomenologica. Con uno sguardo si tiene ferma l’immagine che il paese cerca di proiettare verso l’esterno, con l’altro si prende di mira la realtà politica e sociale interna. A volte le due immagini non combaciano.
Di queste incongruenze si è accorta anche l’organizzazione internazionale Amnesty International, la quale ha sollevato delle riserve sul rispetto dei diritti umani in Serbia.
Nel rapporto di Amnesty sulla Serbia e Montenegro viene sollevata una certa preoccupazione per via del fatto che la Serbia e Montenegro non sembra rispettare gli impegni relativi alla consegna degli accusati dal Tribunale dell’Aia, ma anche perché vengono condotte torture da parte della polizia e perché un pessimo trattamento viene riservato ai detenuti malati (questioni ampiamente sollevate durante lo stato di emergenza dello scorso anno, durante il quale circa 10.000 persone furono arrestate).
Amnesty International ha invitato il Consiglio d’Europa a far sentire la propria influenza sulla Serbia e Montenegro al fine di far rispettare gli obblighi riguardanti i diritti umani. Profonda insoddisfazione Amnesty ha espresso anche in merito al rifiuto del governo di consegnare i quattro generali accusati dall’Aia di crimini contro l’umanità. Mentre un accento particolare è stato posto sullo scandalo di Batajnica, di cui dicevamo prima, per il quale ancora non è stata emessa alcuna accusa ufficiale.
Anche le ONG serbe in questi giorni hanno detto la loro. Le rappresentanti delle "Donne in nero" hanno richiesto al parlamento della Serbia e Montenegro la consegna al tribunale dell’Aia di tutti i suoi accusati. Le "Donne in nero", a nome di 70 ong della Serbia e Montenegro, hanno lanciato la campagna "Non nel nostro nome, non con i nostri soldi" con la quale si richiede che ai reclusi nel carcere internazionale e alle rispettive famiglie non vengano pagate le spese legali col denaro statale.
Vedi anche:
Serbia: detenuti affermano di essere stati torturati
Human Rights Watch scrive al premier serbo Zivkovic