Albania: il confine minato che uccide ancora
Un fatto di cronaca porta a galla la presenza consistente di mine sui confini albanesi. Mortali eredità dei conflitti passati, con le quali si confrontano ragazzini e bambini, principali vittime di questi ordigni a basso costo
Sabato scorso la tragica morte di 4 persone, delle quali 3 ragazzini, ha riportato agli occhi dell’opinione pubblica albanese la questione delle mine anti-uomo che infestano da anni il confine del Paese con il Kosovo e la Macedonia. Quattro corpi finiti a brandelli che hanno attirato l’attenzione dei media, ma non quella dello Stato o delle tante ONG che di questo problema si sono occupate sin dal 1999, quando il conflitto in Kosovo annunciò anche la sua nascita. Un serio problema, aggravato ancora di più nel 2001 dalla guerra civile in Macedonia, che a distanza anni non si è ancora riusciti a risolvere e che continua a spargere morte.
Tra i pascoli della morte
Le vittime – i fratelli Luan, Skender e Mevlan Rrapi, rispettivamente 20, 15 e 13 anni e il loro vicino di casa Shaban Matranxhi (38) – in quel momento fatale si trovavano a 800 metri dal confine con la Macedonia, sui pascoli del distretto di Kukes dove, mentre stavano raccogliendo delle erbe medicinali, uno di loro ha calpestato una mina. A giudicare dalla portata dei danni e dalla profondità del cratere creato dall’esplosione, gli esperti hanno detto che probabilmente si trattava di una mina anti-carro.
I pascoli del villaggio di Caj, dove è accaduta la tragedia, si trovano nel triangolo formato dal confine tra Albania, Kosovo e Macedonia e fino ad ora non erano stati identificati come territorio minato. La zona veniva usata dai guerriglieri albanesi nel conflitto kosovaro del ’99 e quello macedone del ’01 per passare illegalmente da un Paese all’altro. Per questo, l’esercito serbo prima, e quello di Skopje dopo, hanno infestato i rispettivi confini con l’Albania di mine anti-uomo, entrando anche per diversi chilometri in territorio albanese.
La notizia ha trovato ampio spazio sui media di Tirana, ma forse l’unica ad andare oltre l’accaduto è stata la Tv "Top-Channel". L’emittente ha mandato in onda un reportage su un gruppo di circa 15 adolescenti albanesi che vivono vicino al confine in alcuni villaggi sperduti del distretto di Kukes. Gli adolescenti ogni giorno per andare a scuola devono illegalmente percorrere a piedi, per 2 ore, un sentiero tra campi minati per raggiungere la scuola più vicina in territorio kosovaro. I loro genitori hanno spiegato davanti alle telecamere che la scuola più vicina in Albania è molto più distante da casa loro e per questo preferiscono portare i figli a studiare in Kosovo, "così non rimangono analfabeti". Secondo gli abitanti della zona, i passaggi ufficiali del confine sono molto lontani e per questo preferiscono i sentieri pericolosi e minati.
Ma il fatto che colpisce di più, è il totale silenzio da parte degli organi dello Stato o di quelle ONG che spesso non perdono l’occasione di far vedere quanto hanno fatto "in aiuto alla popolazione locale". L’unica reazione arriva da parte del deputato della zona, Muharrem Ukperaj. "Questa è l’ennesima tragedia", denuncia. "Noi abbiamo chiesto da tanto tempo che la zona venga bonificata, ma da parte del Governo tutto rimane al livello di chiacchiere".
Conflitti che fanno ancora vittime
Il problema delle mine in Albania risale alla guerra in Kosovo del 1999, quando larga parte del confine settentrionale venne minato sia dalle milizie serbe che dalla guerriglia albanese: una zona di 120 km del bordo che divide i due Paesi e fino a diversi chilometri dentro il territorio albanese fu infestata da ordigni esplosivi. Le cifre spesso sono discordanti, ma, secondo il più recente rapporto (del 2003) dell’Unicef, durante e sin da questo conflitto 48 persone hanno perso la vita mentre 376 sono rimaste ferite in vari incidenti con mine antiuomo e altri tipi d’ordigni.
Nonostante il 75 per cento dell’area di frontiera sia stata bonificata, a 5 anni dal conflitto, parte del confine settentrionale dell’Albania continua ad essere contaminato. Le zone più a rischio riguardano 39 villaggi dei 3 distretti più poveri di tutto il Paese: Kukes, Has e Tropoje.
Vista la gravità del problema, il Governo ha formato anche una Commissione albanese contro le mine (Amae), che in questi anni si è occupata in primis di identificare le zone infestate, in collaborazione con diverse ONG internazionali, e poi di bonificare queste aree. Secondo l’Amae, per il momento non è possibile identificare con certezza tutte le località e su una parte di queste permangono ancora dei dubbi. Per questo, le autorità di Tirana hanno chiesto diverse volte a Belgrado le mappe precise di cui l’esercito serbo è in possesso, ma fino ad oggi non hanno avuto nessuna risposta soddisfacente.
La situazione non è migliore al confine con la Macedonia dove si ripete lo stesso scenario ma con attori diversi. Una tragedia di dimensioni simili a quella di sabato scorso è avvenuta più o meno nella stessa regione nel luglio del 2001 dove l’esplosione di un ordigno causò la morte di 5 guerriglieri albanesi dell’Uck i quali stavano tentando di oltrepassare il confine con l’ordine di attaccare le milizie macedoni nella zona di Gostivar.
Purtroppo, tutti concordano che la maggior parte delle vittime siano bambini e adolescenti ed è anche per questo che subito dopo i conflitti diverse organizzazioni, tra le quali la Croce rossa internazionale, l’Unicef, la Care, e Human Rights Watch, hanno cercato di sensibilizzare la popolazione locale sui rischi delle mine. Ma nonostante la persistenza degli esplosivi, ormai sembra che questo problema sia passato in secondo piano, per non dire dimenticato. Basta dare un’occhiata alle pagine web di queste organizzazioni dove la mancanza di informazioni o di iniziative recenti parla chiaro.
Per saperne di più sulle mine anti-uomo vedi:
Campagna italiana contro le mine – ONLUS