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Media in Kossovo. Il difficile equilibrio
Da una parte i media kossovari, dall’altra il TMC, organismo internazionale che regolamenta e monitora i media locali agendo per migliorare la loro professionalità. Un dibattito sulla libertà d’informazione nella travagliata Provincia del sud est Europa
Alma Lama, corrispondente da Priština dell’Osservatorio sui Balcani, risponde con questo testo alle puntualizzazioni che le sono state mosse, in merito a due suoi articoli pubblicati da Osservatorio sui Balcani, dal Temporary Media Commissioner
La mia prima osservazione sulle critiche mosse dal Temporary Media Commissioner ai miei due articoli è che ci sono molte inesattezze. Innanzitutto il TMC è un’istituzione che ha competenza di agire solo per i media in Kossovo e non fuori dalla Provincia. E’ testimoniato dal fatto che il rapporto del TMC sugli scontri di marzo non include i media serbi che, in passato ma anche ora, cadono nella propaganda nazionalista. Il TMC ha certo diritto di reagire se il suo nome è citato nell’articolo. Questo è accaduto per "Kossovo e media: tra prudenza e censura" ma nessuna citazione vi era nell’articolo "Kossovo: la verità di Fitim". Non commenterò le critiche al primo articolo, penso di essere già stata esaustiva nell’articolo stesso mentre centrerò di più la mia attenzione sul secondo articolo.
(…) "Lo afferma in un proprio rapporto sia l’OSCE che il TMC (Commissario temporaneo sui media) che stigmatizza il sensazionalismo dei media kossovari che avrebbe portato alle violenze del 17 e 18 marzo scorso" (…) (dalla lettera del TMC inviata all’Osservatorio sui Balcani)
E’ senza dubbio vero che il TMC non ha mai scritto che esiste un collegamento diretto tra media e proteste di marzo, ma tutto il rapporto porta il lettore a questa conclusione. Altrimenti di cosa sarebbero accusati i media del Kossovo? UNMIK ha reso noto che le proteste erano state organizzate, e 217 persone sono finite in carcere per questo. In questo contesto quale la responsabilità che si attribuisce ai media? Nel mio articolo non ho voluto dimostrare se i media kossovari, in particolar modo l’RTK, abbiano sbagliato o no. Volevo solo sottolineare le conseguenze sul mondo dell’informazione dei rapporti del TMC e dell’OSCE. Una su tutte: l’autocensura. Lo affermo io, lo condividono i miei colleghi.
Un esempio: l’articolo su Fitim è tratto da una lunga intervista che avevo fatto per l’RTK, con il bambino sopravvissuto ed il padre. L’intervista non è mai stata trasmessa per paura, perché l’autocensura è cresciuta dopo gli eventi di marzo. E questo ho voluto spiegare nell’articolo Kossovo e media: tra prudenza e censura
(…) In Kossovo e media: tra prudenza e censura, l’autore, in riferimento al recente arresto di un ex membro dell’UCK, scrive che il TMC avrebbe inviato al direttore della rete televisa RTK una comunicazione nella quale si "invitava a stare attenti a come viene riportata la notizia" (…) (dalla lettera del TMC inviata all’Osservatorio sui Balcani)
Io non ho mai scritto nel mio articolo Kossovo e media: tra prudenza e censura che si trattasse di un ordine. Certo, nella mail inviata alle redazioni non appariva mai la parola "censura". Ma la mail stessa non è altro che un atto di censura. Quando è stato arrestato Sami Lushtaku, ex membro dell’UCK, io sono stata inviata al suo villaggio per fare un servizio per l’RTK. C’era un’atmosfera tesa e quasi di guerra, con una massiccia presenza della KFOR. Lushtaku è stato liberato dopo una settimana per insufficienza di prove. Di fatto io non ho potuto raccontare molte delle cose che avevo visto proprio perché in redazione era appena arrivata quella mail.
Chiamiamo questa mail come vogliamo: un consiglio, una pressione, un’avvertenza, non è importante. Quello che a me interessa, come giornalista, è la conseguenza che ha avuto: non è stato detto quanto accadeva, si sono nascosti i fatti. Il mio servizio nei fatti è stato "censurato" o meglio "autocensurato".
E’ vero che le intenzioni del TMC sono quelle di promuovere un giornalismo libero e professionale ma le conseguenze pratiche sono diverse. Non esiste in Kossovo un giornalismo libero e professionale. I giornalisti in questa fase sono portavoce di portavoce. Se qualcuno prova ad andare in profondità nelle cose viene immediatamente punito. Ritengo che anche il TMC abbia delle responsabilità in questo. Lo stesso Robert Gillet, direttore del TMC, ha ammesso, in una conferenza stampa, la responsabilità per un sistema kossovaro dei media molto conformista.
(…) "… la cosa è ancor più grave se si considera che Lama afferma, nel citato articolo, di aver intervistato Fitim dopo che
"A qualche metro dalla casa di Fitim sfreccia davanti a noi la macchina del Primo Ministro. Una visita privata alla famiglia del bambino sopravissuto e anche alla famiglia di Florent, bambino di otto anni il cui corpo non è stato ancora ritrovato"
Il particolare riportato dal testo di Lama rivela – se il fatto è riportato correttamente e non è una mera fictio narrandi – che il giornalista si è recato a Caber la mattina del 17 marzo, assai verosimilmente, per seguire la visita del Primo Ministro del Kosovo, Bajram Rexhepi, alle famiglie dei bambini coinvolti nell’incidente del fiume Ibar.
Risulta al TMC – avendo verificato tale informazione con l’Ufficio del Primo Ministro – che l’unica "visita privata" compiuta dal Primo Ministro avvenne nella mattina del 17 e che il Primo Ministro ritornò solo un’altra volta a Caber, per i funerali delle vittime, la domenica seguente, senza però andare nella casa dei genitori di Fitim o in quella di Florent" (…) (dalla lettera del TMC inviata all’Osservatorio sui Balcani)
Io ho fatto l’intervista a Fitim lo scorso 27 marzo, 10 giorni dopo le proteste. Non è vero, come scrive il TMC, che è stata fatta il 17. Il Primo ministro era effettivamente a casa di Fitim. Ho cercato anche di intervistarlo ma mi ha risposto che era una visita privata. Il primo ministro è infatti cittadino di Mitrovica, abita quindi a pochi chilometri dalla casa di Fitim.
(…) "Il TMC, infine, ritiene che la campagna di disinformazione che la RTK – direttamente o attraverso suoi giornalisti – ha orchestrato per falsificare e mistificare i contenuti del rapporto pubblicato dal TMC nell’aprile scorso, non regga alla prova dei fatti, come i gentili lettori di Osservatorio sui Balcani potranno – se ne avranno il tempo e la cortesia – constatare dalla lettura integrale del citato rapporto del TMC" (…) (dalla lettera del TMC inviata all’Osservatorio sui Balcani)
Vorrei specificare che i miei due articoli pubblicati per Osservatorio sui Balcani non fanno parte di alcuna campagna dell’RTK e, tra l’altro, non sono affatto d’accordo con i commenti del TMC secondo il quale l’RTK avrebbe orchestrato i giornalisti per falsificare e mistificare i contenuti del rapporto TMC. Non riesco inoltre a comprendere come per il TMC possa essere credibile il procuratore Tenslet (ndt. procuratore internazionale che ha seguito le indagini sulla morte per affogamento di due ragazzini albanesi della quale, in prima battuta, erano stati accusati dei coetanei serbi, fato di cronaca che poi ha contribuito a scatenare le violenze in Kossovo lo scorso mese di marzo) che ha chiuso le indagini sul "Caso Qabri" senza sentire il testimone principale: Fitim (ndt. il ragazzino sopravvissuto all’incidente che ha dichiarato che lui ed i suoi amici erano stati aggrediti da un gruppo di ragazzi serbi). Poteva essere affiancato da uno psicologo per capire meglio se il bambino stesse dicendo la verità o meno, e mi sembra debole l’argomentazione di Tenslet che afferma che i parenti del bambino gli hanno impedito di parlargli.
Spero comunque di aver dimostrato, anche e soprattutto nei miei articoli, che non ho alcun approccio nazionalista. Lo riconosce lo stesso TMC quando afferma che l’intervista a Fitim è stata professionale. Per me questa è la cosa più importante.
Vedi anche:
Kossovo: la verità di Fitim
Kossovo e media: tra prudenza e censura