Intervista con Teofil Pančić, editorialista di Vreme

Nostra intervista a Teofil Pančić, editorialista del settimanale belgradese "Vreme", in occasione dell’uscita del suo libro "Boscimani urbani": il futuro della Serbia tra clericalismo, nazionalismo e società civile

23/07/2004, Ilija Petronijević - Kraljevo

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Teofil Pancic

 

Osservatorio sui Balcani: Il tuo ultimo libro "Boscimani urbani" è proprio una sottolineatura dell’aspetto e della retrospettiva degli ultimi dieci anni? Oppure si tratta di una storia senza fine?

Teofil Pančić: Dipende da come si guardano le cose. Inizialmente il libro non è stato pensato in questo modo. Quando ne ho discusso e quando Ivan Čolović mi ha offerto di pubblicarlo, c’era ancora il vecchio regime al potere. È passata la primavera, è passata l’estate, è passato anche l’inverno e poi tutto è decaduto. Poi è arrivato il 5 ottobre (2000, caduta di Milošević, ndt.). Io proprio in quei giorni pensavo sempre più seriamente a come scegliere i testi per la pubblicazione. Se ci sarà una seconda edizione, magari aggiungerò altri testi, così che la storia possa terminare in modo logico. Anche se la sostanza non cambierebbe di molto.

OB: Pensi di trasformarlo in un saggio un po’ più lungo?

TP: Non faccio mai piani a lunga scadenza. Questa forma per il momento mi soddisfa in pieno. Il saggio è vicino alla mia personale forma di espressione sulla carta stampata, è proprio il mio modo di espressione. Evidentemente in qualche modo soddisfa la mia natura. Quando iniziai a scrivere da ragazzino, anch’io cercavo di ritrovarmi in una qualche forma. Credo che un uomo filtri e rigetti poco per volta tutto ciò che non gli piace, e alla fine trova qualcosa che si avvicina a se stesso e alla propria sensibilità. Ciò che mi è più vicino è la scrittura giornalistica, ma non è uguale al giornalismo in senso stretto. Non mi sono mai occupato seriamente di giornalismo in senso classico (come i reporter). Ma di una qualche forma di scrittura giornalistica… e non credo che mi occuperò della prosa come la fiction oppure di pura teoria (nel senso accademico di questa parola). Ognuno si deve concentrare in ciò che meglio riesce e cercare di non essere un dilettante.

OB: Il modello culturale che ha guidato il 5 ottobre riuscirà a sopravvivere e in futuro affacciarsi in forma modificata? Oppure questa è la sua fine?

TP: È ovvio che un giorno solo non può eliminare un modello culturale. Ma, allo stesso tempo, nella nuova élite non esiste affatto un consenso su quale tipo di modello culturale si debba seguire. Io credo che sia molto importante sia a livello politico che culturale, fare in modo che il futuro governo e la futura opposizione escano da ciò che abbiamo chiamato DOS (opposizione democratica serba, coalizione vincente nel 2000, ndt.). Ora abbiamo un’opposizione formale, che definiamo dei partiti legati al vecchio regime. Questi pure portano con sé un modello culturale. Cioè, i radicali e tutti gli altri sfortunati, ossia un qualcosa che non ha assolutamente una qualunque forma di legittimità. Si tratta di qualcosa che rimane ai margini della politica e non vanno presi tanto sul serio. Il futuro governo e la futura opposizione dovrebbero provenire dall’ex DOS. Se riusciamo a raggiungere questo, allora potremo persino parlare di progetti inerenti ad un preciso modello culturale. Dunque, col cinque ottobre non è successo niente, e allo stesso tempo è successo tutto. C’è stato l’inizio e la fine di un’epoca. Questo ovviamente potrebbe condurci verso una qualche forma di fondamentalismo ortodosso, come lo chiamano alcuni. Tuttavia io penso che non ci arriveremo. Alcune persone, semplicemente, si libereranno dei propri fantasmi e allora potremo partire da zero e togliere di mezzo tutte quelle esibizioni di pseudo-sinistra e pseudo-destra. E iniziare ad occuparci delle cose serie.

OB: Quale sarà il ruolo di quei gruppi marginali nella creazione di un movimento verso un sistema pluralistico?

TP: Ovviamente loro faranno il loro lavoro. Ma lo faremo anche noi. Loro cercheranno di prendere più spazio possibile sui media, sulla scena culturale e su quella politica. In Slovenia la scena alternativa della società civile è riuscita a svilupparsi a dispetto dell’allora governativa DEMOS. Là non è mai stata introdotta la religione nelle scuole. Né la chiesa ha mai avuto un ruolo quale ha avuto in Croazia e quale ora si nomina in Serbia. Dunque, con la forza di quel settore civile loro hanno conservato la loro società civile.

OB: Esiste da noi quel tipo di forza del settore civile? E se esiste dove la vedi?

TP: Se prendiamo la Slovenia come esempio si potrebbe dire che da noi non esiste proprio. Perché in qualsiasi caso siamo in una situazione peggiore per un milione di motivi. Ma allo stesso tempo non sono così pessimista da credere che passeremo da un abisso ad un altro. Dovrebbero accadere molte cose pessime per sprofondare di nuovo nel buio. Penso che negli ultimi dieci anni abbiamo provato tutti gli scenari più idioti, tutte le idee folli, tutte le idee omicide, tutte le cose più vecchie di questo mondo. Cioè, abbiamo condotto le cose secondo quella legge di Murphy che dice: "la gente e i popoli si comportano in modo intelligente e ragionevole solo quando non ci sono più alternative". Ecco, noi di alternative non ne abbiamo più. Questo lo si può vedere nel caso della delle consegne al Tribunale dell’Aia. Tutto si sviluppa su un livello retorico, tutto suona come se dicessero: non ci arrenderemo, non lo faremo! Tuttavia, mentre siamo seduti e parliamo, là da qualche parte nelle sale di Belgrado siedono alcune persone e decidono chi è il prossimo per l’Aia. Questo è solo un esempio di come da un lato esista la necessità che ci si sfoghi per dispetto. Anche se, in verità, la pratica politica va in tutt’altra direzione. Quindi non abbiamo più altra scelta che quella di essere un Paese normale.

OB: Però mi sembra che avremo un altro colpo di coda almeno per quanto riguarda la clericalizzazione della società. Penso alla introduzione dell’insegnamento della religione. E magari fra dieci anni quello stesso insegnamento lo dovremo togliere dalle scuole. Come i Croati. Al tempo di Franjo Tuđman, i Croati introdussero la religione, ma quando è arrivato Stjepan Mesić al potere, una delle prime mosse è stata proprio l’eliminazione della valutazione di quella questione. Quindi, la prossima mossa sarà l’eliminazione della stessa religione. Ce la faremo noi ad evitare un altro ritorno al passato?

TP: Ma è questo che voglio dire, cioè che non dobbiamo fare un intero salto indietro. Se saremo docili, se saremo disfattisti, se taceremo, allora ciò si verificherà. Ma non credo che ciò accada. Perché non credo che la forza che spinge in quella direzione sia così forte. In questa società non ci saranno cambiamenti in quel senso, almeno fino alle prossime elezioni, perché la coalizione di governo si controlla e si sorveglia reciprocamente.

Noi dobbiamo attraversare una sorta di purgatorio. Non so dire quando durerà. Potrebbe durare mezzo anno o quattro anni. Ma ad ogni modo dobbiamo passarci attraverso e occuparci delle seguenti cose: la reintegrazione nell’UE, i crimini di guerra, il definitivo confronto con il vecchio regime e con i cambiamenti del sistema economico. Quando passerà tutto questo, ci saranno le nuove elezioni. Allora sarà obiettivamente chiaro chi è tanto forte. Solo allora potremo avere una situazione in cui l’opposizione e il governo si comporteranno come si deve. Come è in Slovenia. Governano quelli a favore della società secolarizzata, ma l’opposizione è forte ed è di quelle che sono a favore della clericalizzazione della società. Ciò in cui credo di poter contribuire col mio lavoro in qualche modo al dibattito pubblico è di evidenziare dei temi definiti. Per far sì che giungano all’opinione pubblica. Di modo che si aprano di continuo dei punti nevralgici e che ci si ricordi che esistono alcuni problemi che non sono all’ordine del giorno ma arrivano proprio adesso.

OB: Come interpreti il fenomeno SSJ (Partito per l’unità serba, un tempo guidato dal defunto Arkan, ndt.)? è possibile che nel prossimo futuro possano rianimarsi e diventare un importante fattore politico?

TP: Non sono andati da nessuna parte. Sono stati qui tutto il tempo. Ed io sono sicuro che rimarranno. Per quanto riguarda in concreto il SSJ ci sono delle spiegazioni particolari. Da un lato c’è il noto potere dei media. Si tratta di media determinati che influenzano una determinata fascia di popolazione. Dall’altro lato, non bisogna dimenticare che la gente che prima ha votato per Milošević possiede ancora una determinata mentalità che non gli permette di votare così facilmente per Žarko Korać, Vesna Pešić o Nenad Čanak. Sono rimasti delusi di Milošević, sono rimasti delusi di Šešelj, anch’egli parte di quel governo. Pertanto adesso sono alla ricerca di qualcuno che non sia compromesso in quel senso, ma che sia di nuovo vicino al loro santo modo di pensare. Non hanno potuto trovarlo nella DOS, e a maggior ragione nella DOS nella sua interezza. Forse lo avrebbero potuto vedere, in modo forzato, in Koštunica, ma non sono stati in grado di separarlo dagli altri. E lo hanno cercato nel famoso partito di Arkan. Sicché questo partito da parassita ha sfruttato tale situazione e la infrastruttura dei media. Dall’altra parte hanno preso diversi voti in Vojvodina. Esiste una parte di opinione pubblica che vive in una patologica paura dell’autonomia della Vojvodina e in una patologica paura della cosiddetta dominazione delle minoranze. Diciamo che più o meno sostengono che dove c’è una popolazione mononazionale, non c’è motivo di avere scontri internetnici. Ma dove c’è una popolazione mista riescono facilmente a smerciare questo tipo di paranoia. E adesso, in Vojvodina puoi sentire dire che dal 5 ottobre la televisione di Novi Sad è piena di trasmissioni in ungherese, russo, romeno, e ci si chiede chi le possa capire. E si lamentano dicendo che adesso ci governeranno le minoranze. Ma non gli viene in mente che hanno altre 15 televisioni sulle quali non c’è una sola parola nelle lingue delle minoranze. Quand’anche la televisione di Novi Sad fosse nelle lingue delle minoranze (ma siamo molto lontani da ciò) ci sarebbero comunque altre 15 o 20 altre tv.

Ma loro si sono fissati proprio su questa tv e per loro adesso c’è qualcosa che non va bene. Ma è fantastico vedere come la gente riesca ad astrarre dalle cose importanti. I seguaci di Arkan sono come parassiti in questo tipo di situazioni. Perché ci sono persone che hanno vissuto il 5 ottobre come una caduta nella schiavitù del Nuovo ordine mondiale.

Lascia che si mostrino i veri patrioti serbi, quelli che ci tireranno fuori da questa situazione. Ma a queste cose non si deve attribuire una grande importanza nel senso che si tratta di qualcosa di terribile, un evidente e costante pericolo.

Tenendo presente che siamo vissuti fino a poco fa in uno stato in cui nel 1997 la superfinale delle elezioni presidenziali si è disputata fra Milutinović e Šešelj. E dove il leader dei radicali ha perso solo grazie alla manipolazione dei voti del Kosovo. Dobbiamo considerare che abbiamo vissuto in un Paese in cui Šešelj è stato scelto come presidente della Serbia A confronto con ciò, quello di oggi non è niente.

OB: Forse si sono solo nascosti e aspettano il momento per fare il loro ritorno politico. Siamo forse minacciati dalla comparsa di un nuovo Milošević?

TP: La storia non ha fine. Non possiamo sapere se il futuro ci riserverà un nuovo Hitler. E se sarà così, chissà quando. Possiamo considerare solo quel tempo che ci proviene dalle informazioni che abbiamo adesso. Io adesso vedo che quel trend è in caduta. Non è nascosto, anzi è veramente in discesa. Perché è un fatto reale che la gente che ha votato per quella opzione non vota più in quel modo. O vota per qualcun altro o non vota affatto. Quella opzione ha fatto il suo corso. Ha fatto tutto ciò che poteva fare. Abbiamo avuto le guerre e tutto ciò che ne è conseguito. Dunque, questa storia è stata già sfruttata per diverso tempo. Ma non sparirà del tutto. Non possiamo aspettarci che all’improvviso spariscano i nazionalisti, i fascisti e gli xenofobi. Finché loro non avranno un qualche potere, una erta forza e non saranno in numero tale da determinare la direzione degli accadimenti sociali, noi possiamo sempre dire di essere riusciti a fare qualcosa.

OB: Vedi in qualche "giovane" forza intellettuale delle persone che vorrebbero e potrebbero cambiare la vecchia scuola degli intellettuali serbi?

TP: I vecchi intellettuali non sono più una minaccia. Il loro ciclo storico si è concluso, ma non possiamo essere tanto preveggenti per sapere se un bel giorno ritorneranno mutati sotto una nuova forma di malignità. Forse fra una ventina di anni avremo una nuova tirannia. Ma si tratta di una forma di speculazione a cui un uomo non dovrebbe pensare.

Ciò che adesso è evidente è che ci troviamo di fronte ad una grande possibilità. La domanda è piuttosto cosa ne facciamo e come la utilizzeremo. Ma non sarei così scettico a priori sul fatto che avremo un semplice cambiamento di élite, in cui sostanzialmente nulla può cambiare. Milošević non volendo ha fatto una cosa utile per questo Paese, ha talmente distrutto e indebolito questo Paese sul piano economico, politico e militare al punto che non ha più, anche volendolo, quel potenziale per creare dei problemi a se stesso e agli altri.

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