Bosnia: ostinata speranza
In uno sguardo di disperata memoria e di sofferta speranza si custodiscono le risposte alle "mafie" balcaniche, si costruisce l’alternativa per un futuro nuovo
Un commento all’articolo di Claudio Bazzocchi da noi pubblicato venerdì scorso con il titolo "Mostar oltre il Ponte"
di Francesco LAURIA
Caro Claudio, ammetto che, dalle nostre conversazioni telefoniche un po’ me lo aspettavo, ma devo confessarti che ho trovato le tue considerazioni sulla nostra iniziativa di Mostar immotivate, un po’ presuntuose e del tutto fuori luogo.
Cercherò di rispondere punto su punto e penso che molti amici mi seguiranno.
Tutti, conosciamo, soffriamo le contraddizioni e le ingiustizie del dopoguerra bosniaco e nessuno, ma proprio nessuno ha creduto o fatto da sponda alla favoletta venduta senza pudore agli ospiti internazionali catapultatisi su Mostar il 23 luglio, sulla riconciliazione della città.
Ma la riapertura dello Stari Most ha un valore simbolico innegabile, è stata realizzata tecni camente nel modo migliore possibile (volevate che invecchiassero le pietre artificialmente?) e finalmente si è, almeno per un giorno, ricominciato a parlare di Balcani e di Bosnia sui maggiori organi di informazione.
Proprio ieri nella maggiore libreria di Parma ho constatato che non vi era nessun libro sulla ex Jugoslavia.
Nessuno.
Sono d’accordo con te quando poni l’accento sull’importanza di analizzare il dopoguerra balcanico, il ruolo delle mafie e quello degli operatori internazionali, siano essi istituzionali o no, sono d’accordo, a differenza di altri, quando difendi totalmente il sistema di welfare state pubblico.
Attenzione, ho scritto pubblico e non statale.
Sinceramente considero un []e affidarsi agli stati etnici, il nostro obiettivo e quello degli amici balcanici deve essere invece quello di svuotarli di ogni risorsa e significato.
Il pubblico, le tutele sociali devono vivere nei contesti locali, regionali, ex federali.
E la presenza dell’Unione Europea, senza la pretesa di esportare alcunchè deve fornire degli appoggi concreti.
Non è un’utopia visto che, so che ve ne state occupando come Osservatorio Balcani, è l’intera struttura politico-istituzionale dei protettorati (bosniaco e kosovaro) che va ridisegnata.
Vengo alle tue critiche all’inizitiva che si è tenuta a Mostar il 24 luglio sull’acqua come bene comune.
In questa occasione è stato fondato, dopo mesi e mesi di preparativi ed incontri, il comitato bosniaco.
Non è stata una passerella per nessuno, non penso che i vari Folena e Musacchio abbiano interesse a farsi vedere in una assolata mattina in una saletta noleggiata alla periferia di Mostar!
Soprattutto, con i limiti di un’iniziativa pensata in gran parte, ma non completamente, da italiani in Italia, vi è stato un sincero, non banale scambio di idee ed esperienze tra noi e i relatori ed il pubblico bosniaco.
Il tema dell’ecologia, della privatizzazione delle risorse idriche è attuale ed importante in Toscana, come in Bolivia, come in Bosnia.
E certamente, in Bosnia, non è avulso dalle tematiche e dai problemi che hai citato nel tuo articolo.
Ma vorrei passare alle tue critiche sull’antropologia del "turista pacifista in gita".
Nelle mie precedenti gite in Repubblica Srpska ho incontrato due persone che con i loro sguardi mi hanno rapito un pezzo di cuore e mi hanno fatto riflettere molto.
La prima è una delle vedove bosniache (vedi nemmeno io riesco a chiamarle "musulmane") che hanno faticosamente costituito una cooperativa per produrre generi agricoli.
Sono tornate, si sono unite, hanno affrontato il mercato gestito dai carnefici dei loro mariti e, forse, dei loro figli.
Quando le ho chiesto del passato lei mi ha risposto parlandomi del presente e del futuro.
Di ciò che faticosamente, in un’ottica di vera comunità, realizza ogni giorno, insieme alle sue compagne.
Il suo sguardo così pieno di memoria, di sofferenza, ma anche di speranza e forse, perdono, vale più di molti indicatori economici.
Infine Sanela.
Poco più di vent’anni.
E’ rimasta a Lubja, il centro minerario oggi fantasma alle porte di Priejdor, quando tutti i "musulmani" erano fuggiti.
Porta ancora nel corpo le conseguenze di questa scelta.
Ma è ugualmente bellissima.
Di una bellezza che ti entra dentro e non ti lascia più.
Oggi Sanela porta avanti il centro giovani di Lubja dove cechi, bosniaci, serbi, croati, ecc. cooperano e regalano un po’ di colore ad un paese grigio, morto.
Nell’anima prima di tutto.
Sanela è rimasta a Lubja nei momenti più duri, quando i tunnel della miniera si riempivano di cadaveri e mi ha confessato che oggi vorrebbe andarsene dalla Bosnia.
Forse il mio ascolto è stato antropologico, sospetto sia stato semplicemente umano.
So solo che mi ha insegnato molto e mi ha spinto e mi spingerà a tornare, lavorare, soffrire, sperare per lei e per la Bosnia.
Partendo, come insegnava qui in Friuli Padre Turoldo e prima di lui qualcun altro in un luogo dove ora invece che ponti si costuiscono muri elettrificati, proprio dagli ULTIMI.
Con affetto,
Francesco
Vedi anche:
Mostar: aspettando ‘Il vecchio’
Mostar, il vecchio nuovo ponte
Sulla giornata dell’acqua: vedi anche:
Mostar, la giornata dell’acqua
Mostar: difendiamo i nostri fiumi
Selim Beslagic: l’acqua di Tuzla
Dal nostro archivio:
Ricostruire il ponte di Mostar seguendone lo stato dello spirito
Mostar e il suo ponte: demolizioni e ricostruzioni
Mostar: rinasce la bianca mezzaluna di pietra?
Srebrenica, Istanbul, Banja Luka. La Bosnia al bivio