Pericolo petroliere in Adriatico

Quale l’impatto d’un oleodotto che sbuca nell’alto Adriatico? A che punto lo stato del progetto Druzba Adria? Quali le attività congiunte delle associazioni ambientaliste? Un’intervista ad Elia Mioni, della segreteria di Legambiente Friuli Venezia Giulia.

02/09/2004, Davide Sighele - Rovereto

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Petroliera

Osservatorio sui Balcani: A fine agosto Goletta Verde ha fatto tappa a Monfalcone. Un’occasione per approfondire questioni che non riguardano solo il tratto di costa italiana …

Elia Mioni: A Monfalcone abbiamo fatto il punto sui rilevamenti nelle acque regionali del Friuli Venezia Giulia e Legambiente ha colto l’occasione per affrontare anche altre due questioni. Una è stata quella che riguardava una bandiera nera assegnata al Presidente della Regione Illy ed al sindaco di Lignano Sabbiadoro per l’autorizzazione data a costruire una piscina ed un centro conferenze all’interno della pineta di Lignano distruggendo così l’ultima pineta litoranea nella regione. L’altra riguardava la nostra stretta relazione con Istria Verde, un’associazione ambientalista che opera all’interno della contea istriana in particolare attorno alla questione del terminal petrolifero di Druzba-Adria che esiste già ma rispetto al quale è in programma un notevole potenziamento della sua operatività.

OB: Druzba Adria, a che punto siamo?

EM: A Monfalcone era ospite dell’incontro anche Dusica Radojcic, presidente di Istria Verde che ha fornito un aggiornamento sullo stato dell’arte. Il prossimo autunno è prevista la presentazione di uno studio di impatto ambientale sul progetto, sottolineato che questa è stata una vittoria delle associazioni ambientaliste in quanto all’inizio l’ipotesi del governo croato era di non realizzare alcun studio di valutazione d’impatto proprio perché il terminal petrolifero già esisteva. Il terminal attuale è però utilizzato per importare petrolio per i fabbisogni croati ed in parte per esportarlo nell’Europa centrale. Il progetto Druzba Adria consiste nel rovesciamento del senso di marcia. L’ipotesi è quella di fare arrivare 15 milioni di tonnellate all’anno di petrolio dalla Russia con un notevole incremento ad esempio del traffico di petroliere. I dati in passato parlavano di una sessantina di petroliere circa transitate ogni anno per Omisalj. Se il progetto va in porto aumenterebbero ad almeno 200. Inoltre Dusica Radojcic sottolineava come la legislazione croata in materia preveda sia l’investitore quello che cura il finanziamento e la realizzazione della valutazione di impatto. Questo naturalmente lascia ampi margini di dubbi sulla obiettività dello studio. Sino ad ora non è stato coinvolto nei lavori alcun esperto terzo né questi ultimi sono stati resi pubblici. Le associazioni croate continuano comunque a seguire la vicenda aspettando di poter entrare nel merito anche sugli aspetti tecnici del progetto.

OB: Un progetto sino ad ora gestito in modo del tutto unilaterale da parte del governo croato …

EM: Si, e lo sottolineava la stessa Dusica. Istria Verde ha sempre voluto sottolineare come questa non sia una questione bilaterale tra Russia e Croazia e che l’impatto negativo del progetto non riguarda solo le coste croate ma tutti gli Stati rivieraschi dell’Adriatico. Basta aver presente la cronaca degli ultimi anni per capire cosa significhi un incidente ad una petroliera per le coste non solo vicine al luogo dove l’incidente si verifica. Inoltre la Croazia è in ritardo rispetto alle misure di sicurezza sul trasporto marittimo. Non esistono ad esempio norme per quanto riguarda l’utilizzo di doppi scafi né limiti di età per le navi petroliere. La Croazia inoltre non è dotata di una guardia costiera e quindi di mezzi per sorvegliare il traffico e non ha piani di intervento nel caso di incidenti di questo tipo.

OB: Quali sono invece le iniziative messe in atto da Legambiente?

EM: Da parte nostra Ermete Realacci, ex presidente nazionale di Legambiente, oggi parlamentare, ha presentato un’interrogazione alla Camera dei deputati il 30 luglio scorso. In quest’ultima viene riassunta l’intera vicenda ed in particolare viene ricordato che in Adriatico esiste già una grossa attività attorno al petrolio ed all’industria petrolchimica. Al di là di Marghera il primo porto italiano per traffico di petrolio, con trentatre milioni di greggio all’anno, è proprio Trieste. Si ricorda questo per richiedere venga applicata la convenzione di ESPOO del 1991. Quest’ultima, sottoscritta anche dall’UE, dall’allora Jugoslavia e ratificata nel 1994 anche dall’Italia, riguarda la valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero. L’applicazione della convenzione di ESPOO consentirebbe di acquisire anche da parte italiana tutta la documentazione relativa al progetto Druzba e di avviare commissioni bilaterali di approfondimento sull’impatto sull’intero alto Adriatico. L’attuale presidente di Legambiente, Roberto Della Seta, ha recentemente incontrato Ministro per l’ambiente Matteoli al quale ha sottoposto l’intera questione.

OB: Un progetto che rischia di mettere a repentaglio alcuni settori cruciali per l’economia croata, in particolare la pesca ed il turismo …

EM: La presidente di Istria Verde ha rapportato in modo significativo due cifre. Da un parte la valutazione che viene fatta in termini economici delle attività di turismo e di pesca in Croazia: 4 miliardi di dollari all’anno. Le risorse create dall’allargamento del terminal petrolifero: 80 milioni di dollari all’anno. Cifre che se si dimostrano veritiere e rapportabili metterebbero in risalto i paradossi di questo progetto.

OB: Perché allora continuare sulla strada della realizzazione dell’oleodotto?

EM: La mia impressione è che questo progetto di terminal petrolifero è molto legato a quello che sta succedendo in Medioriente e dall’insicurezza geopolitica di molte rotte degli attuali oleodotti. La Russia vuole arrivare direttamente sui mercati europei attraverso un percorso tutto in aree considerate sicure. Valutazioni politiche che prescindono da un ritorno esclusivamente economico.

OB: In Italia siete stati i primi e siete ancora gli unici ad occuparvi di questa questione?

EM: Che sappia io sì. La nostra attività si è articolata attorno alla costituzione di un network con associazioni slovene e croate. Per Legambiente questo tipo di rapporti stanno diventando sempre più connaturati alla normale attività. Così come è accaduto in merito al Druzba Adria ci sono molte questioni che implicano una dimensione di cittadinanza europea, di "non rispetto" dei confini statali per affrontare in modo significativo problemi di gestione delle risorse naturali e del territorio. Tra queste, rimanendo nella nostra Regione, la questione dell’Isonzo o del turismo invernale sul versante alpino e della Carinzia. Proprio per questo l’ultimo congresso regionale da noi organizzato la scorsa primavera si è svolto a Nova Gorica. Abbiamo ospitato rappresentanti delle associazioni ambientaliste slovene e croate e cominciato a consolidare questo tipo di rapporti che cercheremo di trasformare nel tempo in una relazione il più possibile stabile. Parlando di euroregione o di Unione Europea si tocca il tema della cittadinanza che ha risvolti e sfumature anche rispetto ai temi dell’ambiente. Il nostro è un tentativo di contribuire al processo di integrazione, coesione e gestione del territorio.

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