Croazia: la società civile contro il terminal petrolifero
Un oleodotto che porti petrolio dalla Russia sino alla costa dalmata. E’ il progetto Družba Adria, duramente contestato dalla società civile croata. Il governo aveva promesso di rendere pubblico uno studio di impatto ambientale, ma, in questi giorni, temporeggia. Una lunga e dettagliata intervista a Vjeran Piršić*, uno dei principali animatori delle proteste ambientaliste.
Il progetto Družba Adria, che prevede la costruzione di un porto terminale per il petrolio russo a Omisalj sull’Isola di Krk ha causato forti proteste da parte della società civile croata…quando è cominciato il tutto?
Ci troviamo nei locali della mia piccola agenzia turistica, e questo è importante per capire come è iniziata tutta la storia. Nel giugno del 2002 arrivarono da noi alcuni compaesani molto preoccupati perché sui giornali croati era apparsa la notizia che Omišalj sarebbe diventata la stazione terminale per il trasporto di grandi quantità di petrolio russo.
Nel mese di settembre dello stesso anno questa notizia cominciò ad apparire sempre più spesso e su più quotidiani. Così nell’ottobre ci riunimmo proprio attorno a questo tavolo, una ventina di persone di professioni diverse, un esperto di informatica, uno che lavora nel settore della nafta, un terzo ingegnere edile, il quarto nell’ambito della petrolchimica e tutela dell’ambiente e così via, con lo scopo di capire come attenuare i rischi di un trasporto di petrolio attraverso Omišalj. Nei due mesi successivi studiammo a fondo tutto ciò che si poteva reperire su internet rispetto alla questione…più studiavamo e più la nostra preoccupazione aumentava. Perché ci rendevamo conto dell’estrema pericolosità di un progetto del genere, considerato poi che negli stessi giorni si verificava l’avaria della petroliera "Prestige" (ndr: naufragata il 15.11.2002 al largo delle coste della Galizia). Ci fu chiaro però che più delle avarie dovevamo temere lo scarico delle acque delle zavorre delle petroliere, perché le avarie sono possibili ma non la regola… mentre lo scarico della acque delle zavorre è necessario.
La "storia" del progetto Družba Adria inizia in realtà già nell’aprile del 2002, quando Mesić andò a Mosca ad incontrare Putin per discutere di collaborazioni nell’ambito dell’energia e del trasporto. In quell’occasione Putin nominò proprio il progetto di integrazione degli oleodotti Družba Adria. Poche settimane dopo, sempre a Mosca, avvenne la firma dell’accordo di collaborazione tra la Janaf e le altre compagnie coinvolte nel progetto. Ma in Croazia venne tutto alla luce solo in dicembre…
Infatti, in Croazia l’accordo venne firmato in presenza di diversi politici croati il 21 dicembre del 2002. Ero presente alla firma in qualità di giornalista, per un quotidiano che in seguito dovette chiudere. Scrissi un articolo che non potevo scrivere con obiettività perché compresi che dietro questa storia venivano tenuti nascosti troppi fatti. Lo scrissi quindi firmandolo in qualità di gestore di un’agenzia turistica e non di giornalista…
Andai anche alla presentazione pubblica della firma del contratto, presso il terminal petrolifero di Omišalj. In quell’occasione si tenne una protesta organizzata dall’associazione Zelena Akcija di Zagabria. I manifestanti vennero brutalmente picchiati dalle forze speciali della polizia, sebbene avessero semplicemente provato a mettere di fronte all’Hotel, luogo della firma, uno striscione che diceva "Sos – salviamo l’Adriatico" e nessuno di loro avesse intrapreso alcuna azione violenta. Non si era mai verificata prima, nella storia della società civile croata, che la polizia intervenisse così duramente…solo per non rovinare "il bel paesaggio" ai politici che erano lì per firmare l’accordo.
Avete quindi deciso di fondare la vostra associazione e di organizzare un’opposizione…
Solo due giorni dopo la firma dell’accordo Družba Adria, fondammo l’associazione ambientalista "Eko Kvarner ", sebbene nei tre mesi precedenti avessimo già lavorato per reperire più informazioni possibili, anche grazie ad esperti del settore, sui rischi del progetto in questione. Il 25 gennaio del 2003 apparimmo per la prima volta in pubblico con una petizione realizzata localmente, che coinvolgeva quindi solo gli abitanti della nostra cittadina (Omisalj), firmata da ben 2.100 su 3.000 abitanti. La petizione scritta allora non era radicale, conteneva una serie di richieste che rappresentavano le condizioni minime perché qui si potesse continuare a vivere. Alla petizione è poi seguita la campagna invernale che è stata a tutti gli effetti l’inizio di un’opposizione organizzata. Ciò che poi è accaduto è stato assolutamente imprevisto…
Dal febbraio la petizione superò i confini della nostra municipalità e cominciammo a ricevere firme da tutto il mondo. Dal Canada, dalla Germania e tanti altri, più da tutta la Croazia. In quel periodo ricevevamo una media di 30 e-mail all’ora. Tutti avevano capito che il progetto era pericoloso ma prima di allora nessuno aveva mai organizzato un’opposizione articolata, né la comunità locale né i soggetti dell’industria turistica, né il mondo degli intellettuali…eccetto le associazioni non governative, soprattutto il Zeleni Forum (ndr: Rete di associazioni ambientaliste, fondata nel 1998).
Eppure, sebbene abbiate ottenuto tutto questo sostegno, sembrava che in Croazia nulla si muovesse…
Alla presentazione della petizione chiedemmo anche di essere ricevuti da Mesić, ma invano. Capimmo che raccogliere un milione di firme in Croazia non voleva dire nulla, perché il vero potere decisionale era a livello politico, dal quale la società civile era esclusa.
Il progetto era nato nel mondo politico e dovevamo quindi cominciare a fare "lobby" all’interno dei partiti politici a Zagabria. Dalla primavera del 2003 lo abbiamo fatto, ed in maniera trasparente. Siamo riusciti a coinvolgere circa il 30% della realtà politica croata, con tutto che il maggior partito di allora – l’SDP – era a favore del progetto Družba Adria, mentre l’altro grande partito attualmente di maggioranza – l’HDZ – non si era pronunciato e non l’ha fatto nemmeno oggi.
Poi siamo riusciti a raccogliere il sostegno della "crema" degli intellettuali e della Chiesa. In dicembre ci ricevette il Cardinale, mentre i Vescovi – l’intera comunità vescovile croata – mandarono una missiva dai toni preoccupati a tutti coloro che avevano sostenuto il progetto.
Nel frattempo, presso il Parlamento, il partito del Diritto Croato (Hrvatska Stranka Prava) presentò richiesta di far entrare in vigore l’accordo Družba-Adria, ma non ci riuscì. Mentre in quei giorni Ivo Banac (ndr: presidente del Partito Liberale) dichiarò che la Croazia doveva tirarsi fuori dal progetto perché controproducente per il paese, venendo anche da noi in visita.
Il 13 gennaio del 2004 il Presidente Mesić – il maggior sostenitore del progetto, finalmente accettò di riceverci dopo aver svicolato per quasi nove mesi qualsiasi possibilità di incontro…inaspettatamente eravamo diventati "importanti", portavoce nazionale della società civile che si opponeva al progetto.
Realizzammo lavoro di lobby anche a livello internazionale. Sono stati da noi due volte i rappresentanti del Partito Europeo dei Verdi da Bruxelles, è venuto l’ex Ministro per l’Ambiente Ucraino ed in futuro ci aspettiamo un grande sostegno dei partiti dei Verdi di tutta Europa. Due settimane fa c’è stato un incontro con Legambiente Italia. E’ importante sottolineare che abbiamo il sostegno dell’ex Presidente di Legambiente, ora deputato del Parlamento italiano, che ha richiesto la ratifica della Convenzione di Espoo (ndr: Convenzione Internazionale sulla valutazione dell’influenza ambientale in un contesto transfrontaliero, firmata ad Espoo – Finlandia – il 25 febbraio 1991) per il progetto Družba Adria.
La nostra azione ottenne anche un altro risultato, in realtà per noi prioritario. La Janaf aveva "schivato" l’obbligo, previsto per legge, di realizzare lo studio di impatto ambientale. Avevano dichiarato che lo studio non era necessario perché il progetto prevedeva il trasporto sul territorio croato di una quantità di petrolio che rientravano nelle capacità permesse dalla legge. Ma in realtà "dimenticandosi" che il porto di Omišalj da porto di importazione qual era, diventava anche di esportazione…e con questo si incappava nel problema, appunto, dello scarico delle acque di zavorra.
Lo studio di impatto ambientale era la prima richiesta che avevamo fatto e nell’aprile del 2003 la società civile ottenne la prima vittoria: la Janaf dovette realizzare tale studio.
Rispetto ai rischi ambientali voi insistete sulla questione delle acque di scarico. Ci spiega perché?
Tra gli otto problemi maggiori insiti in questo progetto, il più importante è quello dell’acqua di scarico delle zavorre delle petroliere. Con la realizzazione del progetto Družba Adria si arriverebbe ad un quantitativo di queste acque doppio di quanto è adesso in generale nell’Adriatico, contando tutti i porti da Venezia, Trieste, Koper/Capodistria, Rijeka/Fiume, a Ploče che ad esempio ha il problema legato al trasporto del legname dalla Bosnia Erzegovina.
In queste acque di scarico si trovano fino a 7.000 microorganismi tra i quali vi è anche il vibrione del colera…nel 1991 l’epidemia di colera che colpì il Perù (ndr: circa 250.000 infettati e 2.500 morti) venne causato da acque di scarico delle petroliere…
Se si facesse il reblasting di 5 milioni di tonnellate di queste acque a sud di Palagruže (ndr: isolotto nei pressi dell’isola di Vis – Dalmazia del sud) – come previsto dal progetto – a causa delle correnti marine verrebbe colpita tutta la costa meridionale dell’Italia, quella del Montenegro e dell’Albania, portando alla contaminazione dell’ambiente marino. Per cui la ratifica della Convenzione Espoo proposta dal parlamentare italiano è un ottimo ambiente di lavoro per bloccare il progetto.
Lo studio di impatto ambientale realizzato dalla Janaf è già stato analizzato?
Attualmente la Janaf ha concluso lo studio di impatto ambientale ed è stato consegnato al Ministero per la tutela dell’Ambiente, il quale lo consegnerà alla Commissione di valutazione dello studio (ndr: che deve essere ancora istituita) seguirà quindi il dibattimento pubblico con il quale verrà deciso se otterrà la licenza legale. Lo studio conta 1.500 pagine è costato 7 milioni di kune, cioè circa 700 Euro a pagina e questo dato parla da solo. Inoltre è stato realizzato da decine di soggetti che lo hanno scritto in maniera congruente ai desideri degli investitori. Abbiamo una copia della lettera del Ministero per la tutela dell’ambiente che risale al maggio dell’anno scorso… in essa si ammoniscono le facoltà e coloro che avrebbero dovuto lavorarci che se tale studio fosse stato "fatto male" avrebbero perso la licenza…
Rispetto alla Commissione di valutazione dello studio, quando andammo ad un incontro presso il Ministero per la tutela dell’ambiente, la stessa segretaria governativa di tale ufficio – Višnja Jelić Muck – sottolineò che sarebbero stati benvenuti nostri suggerimenti su soggetti da prendere in considerazione per la formazione di tale commissione. Ma noi intendiamo innanzitutto controllare che la Commissione sia di qualità e non formata da un gruppo di burocrati che non faranno nulla. Controlleremo poi che l’intero studio venga reso pubblico sul sito del Ministero per la tutela dell’ambiente. Esso doveva essere pubblicato entro l’estate, ma per ora non è stato fatto.
A noi conviene che passi del tempo, perché maggiore è la possibilità che il progetto non si realizzi…potrebbero nel frattempo nascere altri oleodotti per il porto di Murmansk e altre tratte asiatiche…e diminuire le pressioni affinché il progetto si realizzi.
Terzo, e forse questo è il punto più importante, nel marzo di quest’anno abbiamo formato il Consiglio per la Tutela dell’Adriatico, del quale faranno parte tutte le organizzazioni della società civile croata e importanti intellettuali, accademici, scienziati del paese. L’intento è di raccogliere la crema dell’intellighenzia croata affinché durante il dibattito pubblico noi si pongano domande qualificate sullo studio. Se la Commissione verrà istituita con intenti onesti, i nostri suggerimenti verranno accolti, se invece essa sarà sottoposta a diktat politici non raccoglierà ovviamente le nostre proposte. In questo caso il Consiglio si attiverà per dire pubblicamente che il dibattito non è legittimo…e andare a Bruxelles a dire che la Croazia non si comporta correttamente.
Un’altra vostra richiesta è che il progetto venga dibattuto in sede parlamentare…
E’ un punto sul quale continuiamo ad insistere. Lo stesso Slavko Linić, Vice Presidente del Governo (ndr: nonché Ministro per l’Economia e le Finanze) ai tempi della firma dell’accordo Družba-Adria, ed oggi Presidente della Commissione parlamentare per la tutela dell’ambiente, non lo permise. A proposito di Linić, proprio quattro giorni fa abbiamo presentato un’istanza alla Commissione Parlamentare per il controllo del conflitto di interesse, facendo osservare che nel caso di Linić si ha a che fare con un caso duplice di conflitto di interesse. Spiego perché.
Linić, in qualità di Presidente della Commissione parlamentare per la tutela dell’ambiente in questa legislazione, non accetta il dibattito parlamentare appellandosi alle decisioni prese dal precedente governo di cui lui stesso era vicepresidente! E Linić è stato anche direttore delle finanze delle Raffinerie INA a Rijeka per undici anni (ndr: dal 1979 al 1990) nonché presidente del Comitato di vigilanza dell’INA. Per cui secondo noi ha sicuramente interessi privati, commerciali e politici con le lobby del petrolio.
Si è sentito parlare di pressioni internazionali sulla Croazia affinché il progetto si realizzi…
Risponderò in base alle informazioni di cui siamo in possesso, per capire quanto queste voci siano affidabili. La Federazione Russa è ovviamente interessata all’esportazione del proprio petrolio, ma Druzba Adria ha previsto una quantità iniziale di 5 milioni di tonnellate di petrolio esportato, finale di 15, a differenza della capacità del porto di Murmansk (ndr: porto del nord della Russia) e di Baku (ndr: porto dell’Azerbaijan sul Mar Caspio) di 80 milioni di tonnellate ciascuno. Quindi quella di Omišalj sarebbe una tratta che aiuterebbe in minima parte l’esportazione del petrolio russo.
Ciò che semmai si deve considerare è il prezzo al quale Druzba Adria prevede di concedere il trasporto di tale petrolio, che è meno della metà di quello fissato in media in tutta Europa. Si parla di 0,64 dollari/ 100 Km / tonnellata, mentre la nostra INA paga alla Janaf 5,7 dollari per lo stesso servizio! Ciò significa che la nostra compagnia statale pagherebbe nove volte di più di quello che pagherebbero i russi…
Ciò che è scandaloso di questo accordo è da un lato il basso costo per unità di trasporto, previsto anche in Ungheria e Ucraina, dall’altro il rischio di inquinamento non solo dell’Adriatico ma anche delle fonti di acqua potabile del Gorski Kotar dove passerà l’oleodotto. Per non dimenticare che il progetto non prevede alcuna voce di spesa per la tutela dell’ambiente e quindi eventuali bonifiche in caso di disastro ecologico.
Rispetto a Putin.. Se in Croazia la Janaf è arrivata a pensare di far venire il Presidente russo in visita ad Omišalj, come forma di pressione politica, significa che noi abbiamo lavorato molto bene e abbastanza a lungo da metterli con le spalle al muro…
E della voce che se la Croazia non avesse realizzato il porto terminale a Omišalj il progetto sarebbe stato realizzato a Trieste?
Su questo
punto il maggior responsabile è il Presidente Mesić. Egli per ben tre volte ha dichiarato pubblicamente che se il progetto non fosse andato a termine, sarebbe stato trasferito nel porto di Trieste e che ciò avrebbe messo la Croazia di fronte ad una perdita economica pagando lo stesso le conseguenze di eventuali rischi ambientali.
Secondo noi ciò non è concretamente possibile, per tre motivi. Innanzitutto perché la profondità dei fondali del porto di Trieste non permette il passaggio di grandi petroliere, perché in prossimità della costa è di 11 metri contro i 32 di Omišalj. Poi a Trieste non ne verrebbe alcuna convenienza, perché guadagna già molto con l’importazione di 35 milioni di tonnellate di petrolio per la tratta Transalpina che va verso la Bavaria, l’Austria e il Nord Italia. In ultimo, la Slovenia non darebbe così facilmente il permesso di passaggio dell’oleodotto attraverso il suo territorio, innanzitutto per l’esistenza di fonti di acqua potabile nella zona carsica del paese.
Pensiamo sia un’informazione senza fondamento, che viene continuamente piazzata qui o lì per altri motivi…viene anche detto che noi siamo pagati dagli italiani…informazioni errate per manipolare l’opinione pubblica, messe in giro addirittura dall’ufficio del Presidente Mesić in maniera pianificata e sistematica.
Rispetto all’Italia… in generale siamo sicuramente sottoposti a varie pressioni politiche, vi sono degli ambiti nei quali noi possiamo farci niente ed in altri di più. Siamo coscienti che esiste una lotta, oltre i nostri confini, nel mondo del petrolio…ma siamo sicuri di non essere oggetto di manipolazione da parte italiana. Con l’Italia non abbiamo altri contatti oltre che con Legambiente. Ci sono stati solo due tentativi da parte di alcuni soggetti poco chiari che ci offrivano alcuni servizi, ma abbiamo capito che costruire una coalizione con loro sarebbe stato inopportuno.
Quali collegamenti avete con realtà della società civile fuori dal territorio della Croazia? E quali sono state le reazioni dell’opinione pubblica?
La nostra è un’associazione molto piccola e possediamo una capacità organizzativa minima. Cerchiamo pertanto di usare le infrastrutture già esistenti tra diversi organizzazioni, partiti, associazioni croate con l’estero. Nel senso che se, ad esempio, Zelena Istra (ndr: Istria Verde – associazione ambientalista croata che dal 14 ottobre 2004 è membro dell’Adriatic GreeNet , network internazionale fra Italia, Slovenia e Croazia di cui fanno parte anche Zveva Ekoloških Gibanj per la Slovenia e Legambiente Friuli Venezia Giulia per l’Italia) ha buoni rapporti con Legambiente – e così è – noi non costruiamo rapporti ex-novo con Legambiente ma vi entriamo in contatto tramite Zelena Istra. Molto importante sarebbe entrare in contatto diretto con associazioni ambientaliste e municipalità del Sud dell’Italia. Perché è un progetto che li colpirebbe in maniera indiretta, ma sicura e pesante.
Del rischio è cosciente anche l’opinione pubblica croata: il 70% è convinta che il progetto sia controproducente per la Croazia, ma anche che il 62% di questa è convinta che non si può fare nulla per fermarlo a causa di interessi e grandi pressioni… importante dunque che venga raccolta la nostra richiesta di un referendum popolare in parallelo alle prossime elezioni presidenziali, per dare alla popolazione la possibilità di esprimere liberamente il proprio parere.
La gente è contro questo progetto ed è comprensibile il perché. Basti ricordare che il 65% della popolazione del Quarnaro vive di turismo, direttamente o indirettamente. In base ai dati più reali lo scorso anno l’indotto della regione del Quarnero grazie al turismo è stato di 800 milioni di dollari, mentre il massimo guadagno previsto dal progetto Druzba Adria è di 80 milioni di dollari. La domanda è "vale 1 dollaro di guadagno da petrolio contro 10 dal turismo?". Se noi dovessimo perdere solo il 10% dei turisti a causa di una perdita di immagine per la presenza di un porto terminale di petrolio, perderemmo tutto il guadagno derivante dal progetto Druzba Adria, senza considerare il danno ambientale che ne deriverebbe.
Per concludere, pensiamo che lavorando su tutti i fronti di cui ho parlato si possa riuscire a bloccare il progetto Družba Adria. Oltre ad essere un progetto dannoso per tutti se venisse realizzato rappresenterebbe un duro colpo per la società civile croata. Si dimostrerebbe che in Croazia tutto è permesso, tutto può succedere. Se invece il progetto venisse bocciato, per l’intera società civile croata significherebbe una grande vittoria, l’inizio di una nuova era, dove molto di più si può fare. Ecco perché pensiamo sia un momento decisivo per lo sviluppo della democrazia in Croazia.
* Vjeran Piršić è portavoce dell’associazione ambientalista Eko Kvarner di Omišalj
Vedi anche:
Pericolo petroliere in Adriatico
L’Adriatico, frontiera di ogni pericolo