Mostar, morte di una prostituta

La morte di Olene P., ucraina, scatena in Bosnia Erzegovina la paura per l’Aids e le malattie sessualmente trasmesse. In pochi si interrogano sulla realtà del trafficking e dello sfruttamento di donne e minori nel Paese. Una riflessione da Sarajevo di Valentina Pellizzer (Unimondo/South East Europe)

12/11/2004, Redazione -

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Di Valentina Pellizzer

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Ieri sul tram due bambini rom parlavano con i passeggeri di quanto speravano di "guadagnare" al prossimo Bajram. Il 2 novembre a Mostar moriva Olene P., 21 anni ucraina. In queste due storie si riflette già divisa per genere la storia dello sfruttamento dei minori in BiH. Le ragazze si dedicano alla prostituzione, i ragazzi al lavoro (elemosina). Olene, schiava del sesso per padroni bosniaci-erzegovesi, e’ morta di Aids ma anche di sifilide, epatite, tubercolosi… e’ passata di mano in mano venduta per 50 euro, lavorando ad orario continuato per soddisfare le necessita’ dei suoi padroni e dei suoi acquirenti: uomini e ragazzi, adulti e minorenni… La notizia sui giornali, pero’ non e’ stata tanto la sua morte, ne’ la sua vita disperata ma la paura del contagio. L’AIDS le ha guadagnato un posto di rilievo su molti rotocalchi bosniaci e croati, rafforzato dall’appello della polizia e del dipartimento malattie infettive di Zenica di sottoporsi al test per quanti in qualunque modo fossero venuti a contatto con lei.

I due bambini rom, invece non riescono quasi a fare notizia, ed i passeggeri del tram che li ascoltano raccontare dell’incredibile guadagno di 104 Km (53 Euro) in un giorno di festa, quasi l’invidiano confrontando le proprie entrate. Olene e i due bambini rom rappresentano la punta dell’iceberg dello sfruttamento di minori che ha in questa terra un suo luogo ed un suo mercato e non solamente un transito. Una verita’ provata da una recente ricerca che ha mostrato come la merce, impiegata, seguendo una chiara differenza sessuale, non venga solamente da fuori, ma al contrario condivida il mercato alla pari 50 e 50.

Fino al 1998, nessuno in BiH aveva formalmente affrontata la questione, nonostante il pullulare di night club animati da giovani moldave, ukraine, rumene. Nonostante le vie delle citta’ mostrino chiaramente bambine/i chiedere l’elemosina. Con l’avvio di una serie di conferenze sul tema e l’adozione del Piano di Azione Nazionale nel 2001, la questione del traffiking viene dotata di un quadro legislativo, in massima parte mai implementato.
Il primo atto ufficiale il programma STOP, lanciato nel tardo 2001 dalla Missione delle Nazioni Unita in BiH (UNMIBIH) ha visto una serie di raid nei tanti bar notturni diffusi sul territorio nazionale realizzati dal personale dell’IPTF (International Police Task Force), accusato tra l’altro piu’ volte e da piu’ parti di avere proprio personale coinvolto nel traffico e sfruttamento della prostituzione. Le uniche statistiche rese ufficiali da UNMIBIH parlano di 713 bar visitati e 2091 donne intervistate.

Dal 1999 al 2003 dati ufficiali parlano di 110-160 minori in prevalenza ragazze intorno ai 14 anni destinate alla prostituzione di cui almeno la meta’ bosniache. Con l’unica magra consolazione di non poter dire con esattezza se queste teenager/adolescenti vadano ricondotte all’interno della categoria del traffiking oppure in quella del semplice abuso di minori, quello che appare sempre piu’ chiaro e’ un incremento nel numero di ragazze minorenni bosniache che vengono fatte prostituire. L’abuso di questi minori riflette un modo di vedere e pensare nella/della societa’ che vede la responsabilita’ attribuita alla stessa vittima, quasi identificate/i come artefici del proprio destino: teenager/mercato del sesso, bambine e bambine/lavoro di strada.

Cio’ che emerge dalle interviste fatte e’ una percezione da parte degli adulti maschi (in quanto utenti potenziali) della prostituzione come una scelta volontaria, animata da desiderio di guadagno, e con la sorprendente dichiarazione, da parte di un considereveole numero di intervistati, di essere personalmente disposta se il guadagno fosse "sufficentemente alto" a trafficare le ragazze; mentre la percezione diffusa fra le teenager e’ che capita solo alle altre: quelle disinformate e troppo ingenue…

Piu’ difficile il recupero di dati e quasi "etnicamente" marcata la situazione dei bambini di strada, destinati al lavoro nero, ancora oggi in BiH, non associato allo sfruttamento di minori. Si tratta di bambini sotto i 14 anni, prevalentemente concentrati nelle citta’, di cui una stima del 5-10% li da’ in movimento in BiH o fatti transitare lungo il confine con la Serbia. Gli iniziatori sono prevalentemente membri familiari e in maggioranza appartengono alla minoranza Rom cosa questa che abbassa enormemente la percezione sociale che si sia in presenza di sfruttamento di minori. L’opinione diffusa, che dimostra un generale pregiudizio e discriminazione verso la comunita’ Rom e’ che si tratti di una loro tradizione, una sorta di destinazione naturale e di conseguenza impossibile da combattere o eliminare. Mentre per i nostri bambini o i bambini della nostra citta o ancora i bianchi, la convinzione e’ che si tratti di uno stato transitorio dovuto alla poverta’ e che se aiutati smetterebbero sicuramente.

Questa ricerca sul traffico/commercio di esseri umani in BiH da un volto a questo fenomeno ma ancora di piu’ fa guardare allo specchio la societa’ bosniaca i suoi stereotipi, pregiudizi e discriminazioni. Una societa’ bosniaca che voglia essere piu’ solidale e attenta ai diritti dei minori deve abbattere questa visione che imprigiona future donne e l’essere rom.

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