Scandalo in Albania, Premier accusato di traffico d’armi
Uno scandalo dai contorni poco chiari vede coinvolto il premier Fatos Nano, accusato di traffico d’armi da un deputato, Nikolle Lesi, editore del quotidiano "Koha Jone". La vicenda finisce in parlamento e il premier in procura
Il Premier albanese Fatos Nano è stato coinvolto negli ultimi giorni in uno scandalo di traffico d’armi senza precedenti. Le accuse arrivano dal deputato-editore Nikolle Lesi, per il quale Nano aveva chiesto al Parlamento che gli venisse tolta l’immunità per poterlo processare per calunnie nei suoi confronti. Durante la sua difesa davanti ai deputati, Lesi ha letto la trascrizione di una cassetta audio nella quale il Primo ministro veniva intercettato durante un colloquio con l’allora capo della commissione Giustizia del Parlamento, Fehmi Abdiu. La Procura generale ha aperto subito un’inchiesta, interrogando anche Nano. Mentre gli scandali si susseguono, non sono mancate persino le intimidazioni nei confronti di Lesi, la cui redazione è stata messa sotto sopra con la scusa di una telefonata avvertente una bomba.
La storia
Nel maggio di quest’anno Lesi aveva pubblicato sul suo quotidiano "Koha Jone" dei documenti secondo i quali il Premier Nano prendeva per sé e i suoi collaboratori 5 stipendi "premio" "per il buon lavoro che avevano fatto nelle trattative con l’Unione europea". Come fa spesso ultimamente, Nano ha denunciato l’editore per calunnie e la Corte suprema ha chiesto al Parlamento di togliere l’immunità del deputato-editore. L’8 novembre il Parlamento, scioccato dal contenuto del materiale letto in aula, ha votato a favore di Lesi.
Il Premier ha chiesto alla Procura generale di aprire un’inchiesta sulle affermazioni del deputato, mentre il suo portavoce Aldrin Dalipi ha rivelato che quel 15 dicembre 1997 (data sul documento trascritto) Nano si trovava in visita ufficiale in Gran Bretagna, esibendo anche i documenti del viaggio. "Quella compiuta da Lesi è una speculazione pericolosissima a danno della sicurezza nazionale", ha detto. Da parte sua l’editore ha replicato dicendo che quella data corrisponde alla trascrizione dell’audiocassetta, e non alla data dell’intercettazione. In aula aveva precisato che i servizi segreti e la Procura disporrebbero anche della cassetta, della quale, però, fino ad ora non c’è traccia. Il capo dei servizi segreti di allora, Fatos Klosi (avversario di Nano), ha negato l’esistenza di questa cassetta escludendo di aver mai avuto notizie di una tale intercettazione. Ma un colpo di scena è stata l’identificazione sul documento trascritto della firma del procuratore della repubblica in quel periodo, Arben Rakipi.
L’intercettazione: Facciamo i soldi!
Secondo Lesi, una copia della cassetta gli è stata data da un’ambasciata occidentale a Tirana, della quale però non ha voluto fare il nome. Si tratterebbe di un’intercettazione ambientale effettuata in uno degli hotel più lussuosi della capitale (Rogner) al tavolo n. 20 al quale erano seduti a parlare il Premier Nano e l’allora capo della commissione Giustizia del Parlamento, Fehmi Abdiu. Quest’ultimo propone a Nano di modificare una legge del Codice penale per agevolare il traffico d’armi. Legge, infatti, che nel gennaio del 1998 fu cambiata dal Parlamento.
"Inizialmente dobbiamo modificare una legge di Sali Berisha – dice Abdiu – perché ogni cosa sia sicura, specialmente per il problema delle armi, al quale lei è interessato signor Primo ministro. Così, se capita qualcosa, nessuno sarà responsabile e rimarrà solo una storia di giornali". Nano gli dà ragione e aggiunge: "Siamo stati abbastanza all’opposizione, ora ci servono soldi". In cambio, Abdiu gli chiede il consenso dei deputati socialisti. "Così poco chiedi? – gli risponde Nano ridendo – Quelli non hanno le palle. Se tutto ci va bene, e se non si intromette qualcuno, ci scommetto che rimarremo per altri 50 anni al potere". Abdiu, inoltre, gli confessa di temere l’allora ministro della Giustizia, Thimio Kondi. "Anche tu hai paura di quel pederasta che si piscia addosso quando mi vede? "- gli domanda il Premier, e aggiunge – "Non posso fargli niente perché è una spia… e tu sai bene che mi hanno costretto a farlo capo". Infine una promessa: "Se questa faccenda la consideri chiusa, considera pure chiusa anche quella del capo della Corte costituzionale". Posizione che, successivamente, Abdiu avrebbe occupato realmente con una decisione del Premier.
Oltre alla questione del traffico, ciò che sconvolge è l’etica del Primo ministro del Paese. Scandalistici sono anche i passaggi del testo con le battute di Nano alla cameriera, la stessa che poco dopo avrebbe mandato brutalmente "a quel paese": "Portami un buon caffè, buono come te"!!! Oppure quando definisce "bestie" l’ex Presidente, ora a capo dell’opposizione, Sali Berisha e quello mandato alla presidenza da lui stesso, Rexhep Mejdani. O quando usa il termine "culattone" per chiamare l’ex ministro della Giustizia, Thimio Kondi. Il colmo sembra essere quando Abdiu chiede a Nano il suo intervento per assumere una sua conoscente al Ministero della Giustizia. In quel momento, Lesi salta le parole di Nano, dicendo di vergognarsi di leggere. A cosa alludeva il Premier, lo mostra la reazione di Abdiu, che gli dice: "Che sono quelle parole?! Io sono un uomo anziano, non le posso fare quelle cose".
Poi, un altro scandalo nello scandalo, è il fatto di chi possa aver sorvegliato e intercettato i colloqui di un Primo ministro, visto che la legge albanese lo vieta categoricamente per tutti i ministri, i deputati e gli uomini politici. Ma di questo elemento nessuno ha voluto occuparsi.
Le intimidazioni
Insieme all’opposizione del centro-destra, Lesi ha raccolto le firme per la creazione di una commissione parlamentare che avrà il compito di fare luce su questa storia così ingarbugliata. Intanto, gli inquirenti hanno chiamato in Procura per un’interrogazione anche il Premier.
Circa 24 ore prima che anche Lesi attraversasse quella porta, la polizia ha fatto sapere di aver ricevuto un messaggio minaccioso nei confronti dell’editore e della sua redazione. Un Sms sembra essere arrivato sul cellulare del capo della polizia di Tirana: "Alle 2 dopo mezzogiorno una grande quantità di esplosivo esploderà nell’ufficio del deputato Lesi. Sara un macello. Il palazzo andrà in aria, solo questo ti dico. Nikolle (il nome di Lesi, ndr) lo uccideremo stasera nel nord. In gioco c’è l’Uck". L’Sms era scritto in dialetto del nord, lo stesso che si parla anche in Kosovo, dove l’Uck (Esercito per la liberazione del Kosovo) è rimasto per lungo tempo attivo anche dopo il conflitto del 1999.
Subito dopo, la polizia ha messo sotto protezione il deputato. Tuttavia, dopo un controllo alla redazione di "Koha Jone" l’allarme è risultato falso. Lesi ha accusato i servizi segreti di aver inventato tutto per mettere delle cimici nei locali del quotidiano. Per molti, invece, le 3 ore di controllo hanno mostrato il nervosismo dello Stato.
Tra i tanti interrogativi di questa faccenda dai contorni oscuri, uno proprio assilla: che c’entra l’Uck in tutta questa storia? Le prove ovviamente mancano, ma se chiedete agli Albanesi dove finirono le armi uscite dai magazzini dell’Esercito nel 1997, la stragrande maggioranza risponderà: in Kosovo, per la guerra che si preparava.