Tirana: summit sulla (in)tolleranza nei Balcani
Nei giorni scorsi Tirana ha ospitato un summit dei paesi della regione balcanica. Temi del vertice il dialogo interetnico e la tolleranza, due parole che a fatica sono emerse dalle voci dei capi di stato riuniti nella capitale albanese
Un summit sul dialogo e la tolleranza interetnica ha riunito a Tirana il 9 e 10 dicembre i capi di Stato di sei Paesi Balcanici. Al contrario di quanto ci si potesse aspettare, i primi a rivelare i propri problemi sull’argomento sono stati gli stessi partecipanti. Infatti, nonostante la retorica sul bisogno del rispetto per i "diversi", i rappresentanti dei Paesi dell’Europa del sud est non sono riusciti a trovare un linguaggio comune per la dichiarazione finale: le controversie sulla questione del Kosovo hanno portato all’omissione totale del tema.
Un altro problema, a cui non tutti hanno prestato attenzione, era l’assenza del Presidente greco. Atene partecipava al summit di Tirana a livello di rappresentante e nella dichiarazione finale ha chiesto due righe di rimprovero per le autorità albanesi sulla questione della minoranza greca nel Paese.
Alla ricerca del dialogo che non c’è
Organizzato dal Presidente della Repubblica d’Albania, Alfred Moisiu, e dall’UNESCO, il summit "I rapporti interetnici e interreligiosi – Un fattore importante per il progresso dell’Europa del sud-est" ha portato a Tirana il Presidente bosniaco Paravac, quello bulgaro Parvanov, quello croato Stjepan Mesic, il Presidente dell’Unione Serbia-Montenegro, Svetozar Marovic ed il capo di Stato macedone Branko Crvenkovski. Inoltre, tra gli altri, al vertice hanno partecipato anche il Premier norvegese Bondevik e il Coordinatore del Patto di stabilità sui Balcani, Erhard Busek.
Il tema era quello del dialogo e della tolleranza tra le diverse etnie che popolano la regione. Ma nonostante le belle parole piene di speranza che avevano speso durante i due giorni dei lavori, i partecipanti hanno mostrato, in prima persona, che la strada che porta al traguardo è ancora lunga. Un acceso dibattito sul futuro status del Kosovo ha coinvolto le diverse delegazioni che dovevano stilare la dichiarazione finale.
La parte serba, appoggiata da quella greca, ha chiesto che nella dichiarazione venisse scritto che il problema dello status finale del Kosovo doveva essere lasciato nelle mani delle istituzioni europee, in cooperazione con Belgrado. Ma questa idea ha trovato un forte dissenso da parte della delegazione albanese. Per Tirana, lo status della provincia a maggioranza albanese è una questione che deve essere risolta dalle autorità kosovare e da quelle internazionali, appoggiando anche il dialogo tra Pristina e Belgrado. Una formula che non esclude un ruolo dell’Albania, da Belgrado rifiutato categoricamente. Dopo lunghe ore di dibattiti si è riusciti a trovare un finale "rosa": il Kosovo è stato completamente omesso. Nonostante la convivenza tra albanesi e serbi rimanga uno dei problemi maggiori nella regione, nella dichiarazione finale del summit, del Kosovo non c’è traccia: neanche una riga su una questione ancora troppo scomoda per quella finta tolleranza che viene propagandata con piacere.
L’eloquente assenza greca
Uno dei tanti invitati del Presidente albanese Moisiu era l’omologo greco Kostandinos Stefanopulos. Ma quest’ultimo, che aveva visitato Tirana ad ottobre, sembra aver declinato l’invito. Al vertice organizzato nella capitale albanese, Atene ha partecipato a livello di rappresentante. Un assenza che è passata in sordina, ma che in realtà la dice lunga.
I motivi che potrebbero aver giustificato la decisione greca non mancano: secondo gli analisti, a prescindere dalla posizione geografica, la Grecia si considera un Paese membro dell’Unione europea e della Nato e perciò fuori dalla mappa (e dai problemi) dei Balcani. Atene non riconosce di avere in casa sua problemi di intolleranza verso le diverse minoranze etniche e religiose, anche se alcune recenti dichiarazioni degli organismi europei sui diritti umani affermano il contrario.
Anche se le pretese elleniche fossero vere, nessuno, finanche in Grecia, può negare i problemi con i Paesi confinanti. Attualmente, Atene è in crisi aperta con ben tre dei suoi vicini di casa: al primo posto c’è la perenne questione di Cipro; poi, c’è quella con la Macedonia riguardo il nome dell’ex repubblica jugoslava, che in un certo modo è correlata alla crisi con le autorità albanesi.
La questione della "Cameria" e la dichiarazione del Presidente Moisiu di voler riconoscere la Macedonia con il suo nome costituzionale, seguendo l’esempio degli USA, ha fatto precipitare i rapporti tra Tirana ed Atene in una crisi profonda.
Ed è proprio in questa crisi che gli esperti di geopolitica vedono il vero motivo dell’assenza greca. Il rifiuto di Stefanopulos, a quanto pare, ha voluto dare un colpo alla figura da protagonista di Moisiu nella politica interna albanese, specialmente per quel che riguarda i rapporti tra i due Paesi, dove il Presidente albanese si è mostrato assai più coraggioso del Premier Nano, da sempre molto vicino alle autorità greche. Un’audacia, quella di Moisiu, che ha incontrato sempre le minacce di Atene di "rivedere i rapporti bilaterali".
Nel vertice di Tirana di pochi giorni fa è arrivato il primo esempio. Il rappresentante greco ha chiesto che nella dichiarazione finale ci fosse un rimprovero alle autorità albanesi riguardo la discriminazione delle minoranze in Albania, con un particolare accento su quella greca. Anche in questo caso il dibattito non è mancato ma alla fine la parte greca ha dovuto fare marcia indietro. Al contrario di quanto chiesto, nella dichiarazione firmata da tutti i partecipanti si recita che "le minoranze (in Albania, ndr) hanno sofferto di problemi economici, ma non della discriminazione che poteva essere messa in atto a causa della loro appartenenza etnica".