La Storia e la Fiction: intervista a Alberto Negrin
Il regista de "Il cuore nel pozzo" racconta ad Osservatorio sui Balcani il proprio film, replicando alle accuse rivoltegli. La politica è un’arma di distruzione di massa, noi raccontiamo le storie degli uomini. Se oggi potessi girarlo di nuovo, però, farei un’introduzione
Osservatorio sui Balcani: Come è nata l’idea di fare un film sulle foibe e sull’esodo giuliano dalmata?
Alberto Negrin: Ho deciso di fare un film sulle foibe come ho deciso di fare tante altre cose in vita mia. E’ un argomento assolutamente sconosciuto, ricco di moltissime situazioni emotive, umane, fortissime, tragedie personali mai raccontate. Io faccio questo mestiere, racconto storie. Quando mi propongono una storia che non conosco, interessante, dove c’è la possibilità di raccontare l’essere umano, io lo faccio.
L’idea peraltro non nasce in questo momento. Per fare un film, dal momento in cui si prende la decisione di accettare un progetto a quando viene messo in onda e terminato, ci vogliono mediamente dai tre ai quattro anni. Per "Perlasca" ci abbiamo messo dieci anni. "Bartali", che sto girando adesso, lo abbiamo scritto sei anni fa e sarà pronto tra un anno. E’ un processo sempre lungo e complicato.
Osservatorio sui Balcani: Qual è la relazione tra la fiction "Il cuore nel pozzo" e la Storia?
Alberto Negrin: Su questo hanno fatto una grande polemica, hanno detto che il film è fascista, revisionista, una falsificazione, una intossicazione, un avvelenamento dei cervelli, mi hanno detto di tutto, ho letto anche le lettere che hanno scritto sul suo Osservatorio, ho letto su internet l’ira di Dio…
Osservatorio sui Balcani: Per questo glielo chiedo…
Alberto Negrin: Io ho raccontato nella mia professione storie con la S maiuscola perché erano la storia vera di un personaggio, la biografia, oppure un pezzo della sua biografia. Ho fatto un film su Mussolini, su Ciano, su Edda Ciano, ho fatto un film su Perlasca, uno sulla Achille Lauro, un film sulla Rosa Bianca, il gruppo di studenti dell’Università di Monaco, adesso Bartali… Si tratta di un genere specifico di prodotto cinetelevisivo, quello delle biografie storiche, dove la ricostruzione storica deve essere precisa e documentata e non si può inventare né soggettivizzare o fare delle cose secondo i propri gusti.
Osservatorio sui Balcani: E "Il cuore nel pozzo"?
Alberto Negrin: Nel caso de "Il cuore nel pozzo" siamo invece su un altro genere, siamo nella fiction vera e propria. Si tratta di un film di finzione costruito intorno ad un’idea centrale, che è quella di avere un bambino testimone del tempo che sta vivendo, che scrive, legge e racconta in un diario quello che gli è capitato. Questa è la chiave di tutto il film. Quello che lui ci racconta è l’angolo visuale della sua età, della sua infanzia, della sua cultura, della sua intelligenza e della sua mancanza di filtri ideologici, politici, culturali. Quello che lui vede racconta, e questo è il punto di vista del nostro film.
Osservatorio sui Balcani: In Slovenia e Croazia molti commenti hanno messo in rilievo l’immagine negativa che il film riproduce dei partigiani e della guerra di liberazione jugoslava. Secondo lei è vero questo, che il suo film presenta una immagine negativa a tutto tondo della resistenza?
Alberto Negrin: No, questo è falso, non corrisponde affatto. Nel mio film non parlo male né dei partigiani nè della resistenza, ma me ne guardo bene… Il film va visto per quello che mostra, non si possono attribuirgli cose che non ci sono… E’ come se noi oggi facessimo un film su quello che hanno commesso alcuni elementi che erano partigiani, che però hanno ammazzato a sangue freddo dopo la guerra, hanno fatto giustizie ed esecuzioni sommarie… Questo perché non lo dovremmo raccontare, scusi? Questo non vuol dire infangare o dire che la resistenza non ci deve essere e viva il fascismo…
Osservatorio sui Balcani: Però è vero che nel suo film le figure dei partigiani jugoslavi sono tutte negative, sono degli stupratori, alcolizzati, inseguono dei bambini…
Alberto Negrin: Intanto abbiamo la protagonista femminile che è slava come i titini e non è affatto una cannibale o una ammazza civili. Poi abbiamo il gruppo del cattivo, dell’antagonista, che a un certo punto si ribella a quello che sta facendo il suo comandante e dice: "Io con te non ci sto più, non ti seguo, tu stai facendo una guerra personale che non ha niente a che vedere con la nostra guerra di liberazione, io me ne vado a seguire il mio comando generale", e se ne va, il gruppo si spacca in due. C’è anche questo nel film, bisogna saper leggere. Non è un film sul movimento di resistenza, ci sono dei frammenti, dei segnali per far capire che la storia che stiamo raccontando è una storia privata, di un signore che veste un’uniforme e che per ragioni di vendetta personale, di rivalsa e di un altro misto di sentimenti confusi e contraddittori fa stragi, ammazza. Il film è questo. Ma io faccio un’altra domanda: le foibe sono state fatte da chi? Sono state fatte dagli Italiani? No. Sono state fatte dagli Sloveni, dagli Slavi, dal movimento titino sì o no? Sì. Questo è un fatto assolutamente incontrovertibile. Secondo fatto incontrovertibile: prima degli Sloveni c’erano i fascisti che hanno fatto cose analoghe, massacri e ingiustizie nei confronti degli Sloveni o dei Croati o dei Serbi, nessuno lo nega, lo diciamo nel film… A un certo momento il prete dice: "Abbiamo sbagliato tutti, abbiamo sparso tutti del sangue", questo lo dice esplicitamente, lo dicono tutti i personaggi del film, nessuno nega le responsabilità dei fascisti. Il nostro film non vuole tuttavia essere una ricostruzione meticolosa, noi abbiamo preso il punto finale per raccontare un episodio che nessuno conosce, le foibe, che non hanno giustificazione. Io sostengo questo, e questo lo devono capire gli Sloveni, i Croati o quelli che mi trattano come un fascista, che è una cosa che non ha senso… Se poi loro pensano che ci sia il bisogno di giustificare le foibe dicendo che i fascisti hanno fatto cose analoghe per cui la partita è pari, questo mi sembra un discorso aberrante.
Osservatorio sui Balcani: Lei pensa che il suo film contribuisca alla costruzione di una comprensione reciproca, nella prospettiva di una pace duratura tra Italiani e popoli slavi?
Alberto Negrin: Certamente, le spiego perché. Io credo che le persone comunichino molto più facilmente attraverso i sentimenti che non attraverso le ideologie. Io penso che le ideologie o le posizioni politiche siano delle patologie dell’uomo, patologie che hanno provocato più morti che qualsiasi malattia nella storia dell’umanità. L’ideologia, e la politica, sono le vere armi di distruzione di massa, questa è la mia opinione. L’unica cosa che unisce tutti gli uomini è il sentimento, il sentimento di non violenza e di appartenenza reciproca alla stessa categoria, ‘essere umano’. Quando la gente capisce attraverso il dolore, attraverso il sentimento, attraverso delle profonde ferite che questa è l’unica cosa che lega due esseri umani, anche se uno è cinese e l’altro è irlandese, o se uno è slavo e l’altro è italiano, quando si capirà che questo è l’unico elemento in comune, che se io uccido te uccido anche me nello stesso momento, tutte queste polemiche assurde, stupide, legate all’ideologia, queste cose che trovo patologiche scompariranno. Questo è il vero messaggio, e nel film si riconosce che la sofferenza è stata reciproca e non soltanto unidirezionale…
Osservatorio sui Balcani: Molti però sostengono che il film parta dal secondo tempo di una storia senza raccontarne il primo, in questo senso è stato criticato anche sul nostro sito…
Alberto Negrin: Il film non ha la funzione di raccontare tutta la storia, noi raccontiamo una cosa che è assolutamente sconosciuta, e allo stesso tempo diciamo – attraverso i personaggi – che molto sangue è stato versato e che la responsabilità è grandissima anche da parte dei fascisti, quindi io non mi sento colpevole di nulla. Ho raccontato un brano sconosciuto che è stato di una violenza terrificante dove le vittime non erano dei militari, non erano un esercito ma erano civili.
Osservatorio sui Balcani: Il personaggio dell’attore Fiorello è un repubblichino?
Alberto Negrin: No, questo è un altro errore.
Osservatorio sui Balcani: C’è stata appunto polemica su questo… Se nel film siamo nel ’43 o nel ’45… I soldati stanno andando su Trieste…
Alberto Negrin: Siamo nel ’45. Però, punto primo: l’uniforme che veste Fiorello non è un’uniforme repubblichina…
Osservatorio sui Balcani: Per cui quando lui ricorda i suoi amici, con cui ha fatto da poco delle azioni, non sta parlando di azioni fatte dai Repubblichini?
Alberto Negrin: No. Quando lo vediamo all’inizio, è vestito da alpino. Siamo nel ’45, il soldato Ettore era parte di tutta quella gente che era rimasta sbandata, nascosta, che tornava a casa anche dopo due, tre anni. Lo stesso riguarda quei militari che escono alla fine, è gente che era allo sbando, ma nessuno di loro era un repubblichino. Sono gli sbandati dell’8 settembre, rimasti nascosti perché se i Tedeschi li pigliavano li ammazzavano. Insisto, perché sono stato attaccato anche su questo, non c’è nessun repubblichino lì, quelli sono soldati del Regio Esercito che non hanno accettato di andare con la Repubblica di Salò.
Osservatorio sui Balcani: Come mai avete girato il film a Kotor, in Montenegro, e non in Istria?
Alberto Negrin: Guardi, noi adesso facciamo "Bartali", e gireremo le montagne in Romania. Perchè? Perché costa di meno. Gireremo un velodromo in Ungheria invece che in Italia, dove costa tantissimo. Dovevamo girare un film, non un documentario nel quale vedere i posti veri. Dovevamo dare la sensazione di essere in un posto che ricordasse quelli di cui si stava parlando. Abbiamo girato nel posto che ci offriva le condizioni economiche migliori, non soltanto per gli ambienti ma anche per gli attori, le comparse, i mezzi. In Italia è carissimo. Oltretutto lì abbiamo trovato delle situazioni rimaste intatte che in Italia sono introvabili… In Italia hanno ricostruito tutto, è tutto moderno, tutto rifatto, tutto a posto. Anche esteticamente lì c’erano delle cose che da noi sono introvabili.
Osservatorio sui Balcani: Come è stata l’atmosfera della lavorazione e quali i commenti del cast all’esito finale del film?
Alberto Negrin: Mi hanno telefonato da Belgrado, mi hanno telefonato dal Montenegro e sono rimasti entusiasti.
Osservatorio sui Balcani: Chi le ha telefonato?
Alberto Negrin: Mi ha telefonato l’attore Dragan Bjelogrlic, ndr, mi ha telefonato gente che ha lavorato con noi, che ha visto il film… La nostra troupe era composta da attori delle provenienze più diverse, c’erano Serbi, Montenegrini, Sloveni, macchinisti, elettricisti, operai, comparse di ogni genere, persone che avevano vissuto la guerra, quando si sono ammazzati tra di loro, ed avevano dei ricordi terribili, ma nessuno di loro si è mai sentito sotto accusa, imputato o messo lì come se facessimo un film diciamo così di odio etnico. Noi non nominiamo mai nel film "Sloveno", o "Croato", questo è un altro punto importante. Chi reagisce in maniera scomposta sono Sloveni e Croati che si sentono accusati senza che noi li abbiamo mai nominati. Perché? Perché sanno che c’è qualcosa da nascondere. Per quale motivo? Perché le foibe mica le hanno fatte i Greci, questo va detto. Per quale motivo si sono sentiti accusati quando io nel film non li ho mai nominati? E poi, per quale motivo il governo sloveno non apre gli archivi? Questa è una richiesta che è stata fatta molte volte, che facciano vedere le liste, gli archivi, che si sappiano finalmente i nomi e cognomi dei responsabili, perché mica tutti sono stati dei massacratori o degli infoibatori… Io non ho mai fatto un discorso ideologico, sono comunisti, sono fascisti, non è perché sono comunisti che hanno fatto le foibe… C’era odio, nazionalismo, rivendicazioni, vendette per torti subiti prima, come una faida insomma, una volta una vittima era da una parte e una volta dall’altra, si sono massacrati a vicenda e si sono maltrattati a vicenda, questo è detto nel film. Non c’è stata da parte nostra nessuna intenzione di fare un film contro qualcuno. Le dico un’ultima cosa: c’è stato il tentativo da parte di Alleanza Nazionale di appropriarsi del film, di farne una bandiera… Io mi sono ribellato e ho reagito duramente durante le proiezioni, ho detto che non avrei più partecipato e me ne sarei andato…
Osservatorio sui Balcani: A Trieste?
Alberto Negrin: Questo è successo sia a Trieste che a Roma. E questa cosa finalmente l’hanno capita e il tipo di approccio è cambiato, è diventato un approccio istituzionale e non politico, partitico. Io sono assolutamente indipendente e mi rifiuto che si possa pensare che questo film è il risultato della volontà di un partito o di una ideologia. L’abbiamo fatto senza nemmeno sapere quali erano le posizioni di Alleanza Nazionale. Noi siamo dei professionisti, lavoriamo in tutta libertà e non per far piacere a qualche politico.
Osservatorio sui Balcani: A posteriori, dopo le polemiche e le reazioni che ci sono state, lei questo film lo rifarebbe allo stesso modo?
Alberto Negrin: Farei una cosa che da un punto di vista artistico non mi piace molto, un cappello. Prima di tutto, prima dei titoli, prima della musica, prima che il film inizi, due minuti rapidissimi di ricostruzione storica, ma puramente storica, su quello che è stato nei primi 50 anni del secolo il rapporto tra le due etnie, per far capire che cosa è stato. In modo che ci sia quella informazione che la gente ha detto che mancava. Ma prima del film, non dentro il film. Se potessi rifarlo, farei quello. Per far capire che non c’è da parte mia alcuna intenzione ideologica… Io ho fatto un film nel quale un bambino racconta la vicenda di alcune persone, civili, che non sanno nulla di politica, di storia, e si trovano in mezzo, come se oggi improvvisamente nella piazza di una città qualsiasi italiana, francese o slovena, arrivassero dei militari che caricano la gente sui camion e li ammazzano senza che questi sappiano neppure il perché.