Verità e giustizia per le vittime

Hanno trascorso mesi girando in lungo ed in largo la Serbia per parlare con studenti, autorità locali e gente comune del Tribunale dell’Aja e di crimini di guerra. L’esperienza dei giovani attivisti del YIHR, organizzazione non governativa di Belgrado. Articolo pubblicato sul quotidiano Vreme ed inviato a OB

16/03/2005, Redazione -

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Srebrenica

Di Andrej Nosov *

Mentre lavoravamo al progetto poi risultato in questa pubblicazione di Vreme, noi di YIHR avevamo due obiettivi in mente. In primo luogo ritenevamo necessario offrire sostegno alle vittime di crimini di guerra ed ai loro sforzi di ottenere verità, giustizia e riparazione. Inoltre credevamo fosse necessario superare una serie di stereotipi che si erano creati sul Tribunale penale internazionale dell’Aja il cui lavoro è quello di stabilire i fatti e trovare giustizia per i gravi crimini commessi durante la guerra.

Un altro importante obiettivo era quello di creare un’atmosfera nella quale l’occuparsi del passato sarebbe stato accettato dalla maggioranza dei cittadini della Serbia. Per noi, occuparsi del passato, implica affrontare la verità in merito al coinvolgimento della Serbia, dei suoi soldati e membri di altre formazioni militari nel bombardamento di Sarajevo, nel massacro di Srebrenica, nell’imprigionamento di cittadini di Prijedor in campi di concentramento, nell’uccisione di prigionieri di guerra a Ovcara e nelle espulsioni forzate ed uccisione di albanesi kosovari. Sino a quando il nostro Stato e le nostre autorità, ed assieme a loro la società nel suo complesso, non riveleranno questi fatti completamente e con onestà, noi – come eredi di queste gravi responsabilità – non avremo il diritto morale di chiedere domande su crimini commessi da qualcun’altro.

Ho sentito molte storie raccontate da "ben intenzionati" colleghi della società civile sulla necessità di lavorare in modo meno attivo e forse differente dalle famose "cinque signore" del nostro panorama non-governativo. Abbiamo addirittura ricevuto lettere nelle quali si affermava che "come persone giovani" avremmo "fatto l'[]e di venderci a bassissimo costo", che era tempo di limitare l’operato di YIHR. Ma abbiamo anche ricevuto lettere che ci hanno ulteriormente spinti a creare un’atmosfera affinché la verità emerga e giustizia venga fatta. Contemporaneamente siamo sempre stati consapevoli che era importante sostenere coloro i quali hanno sofferto, coloro i quali sono stati cacciati dalle proprie case, persone private di ogni diritto, in particolare private della loro dignità umana. Nonostante abbiamo fin dall’inizio sostenuto gli sforzi delle organizzazioni non governative nel cercare di raggiungere la verità, siamo stati anche convinti del fatto che il dibattito, a livello locale, doveva essere affrontato in modo diverso, forse anche in modo più energico. E’ questa l’avventura nella quale ci siamo imbarcati. Viaggiare di lungo ed in largo per la Serbia incontrando numerose organizzazioni, individui, rappresentanti delle autorità locali, e discutendo con loro non solo della necessità per la Serbia di collaborare con il Tribunale dell’Aja ma anche di crimini di guerra. E quasi sempre quando ho raccontato una storia individuale riguardante la Bosnia Erzegovina o il Kosovo, il pubblico si è zittito. Qualcuno mi guardava con sguardo incredulo, altri avrebbero voluto ascoltare "storie più belle, in una serata così piacevole", mentre sempre vi è stato qualcuno che ascoltava e chiedeva poi ulteriori informazioni.

Mi è sembrato che il successo maggiore lo abbiamo raggiunto con i giovani. Più di 150 ragazzi e ragazze hanno preso parte alla prima fase dei nostri workshop. "Il Tribunale dell’Aja è una corte anti-serba, creta solo per giudicare noi. Milosevic si è difeso molto bene, ed ha mostrato al mondo che le uniche vittime siamo stati noi. E’ una corte politica e mostruosa. Non credo che questa corte agisca in modo giusto". Queste sono solo alcune delle frasi stereotipate che i giovani partecipanti al nostro workshop esclamano all’inizio di ogni incontro. Naturalmente si riscontrano attitudini molto differenti, ma sino ad ora l’esperienza più drammatica si è verificata a Kraljevo dove un giovane uomo ha parlato un’ora intera con l’intento di persuadere gli astanti che Batanjica (località nei pressi di Belgrado dove sono state individuate 7 fosse comune con i corpi di centinaia di albanesi del Kosovo, ndr), non si era mai verificata, e che "anche fosse, non sarebbe stato poi così male". Ciononostante, dopo ogni sessione di lavoro, il gruppo di persone interessate a collaborare con noi diveniva sempre più numeroso. E dopo ricevevamo chiamate quasi ogni giorno di persone che volevano organizzare eventi con noi.

L’eredità pesante lasciata alle giovani generazioni della Serbia attraverso la negazione degli orrendi crimini commessi ci chiamano a favorire il processo di dire la verità. Ma forse non è stato solo quest’eredità pesante a farci agire ma anche la necessità dimostrata dalle vittime di questi crimini di guerra di parlare, di rivolgersi all’altro lato del confine per far conoscere ciò che è accaduto loro. Abbiamo costruito un’ottima relazione con le madri delle enclaves di Srebrenica e Zepa, desiderose di viaggiare in Serbia e dire la verità.

D’altro canto il progetto è stato anche rivolto alle istituzioni locali. Abbiamo cercato di sfruttare ogni opportunità per lavorare assieme alle autorità locali ed i partiti politici locali per cambiare l’attitudine più diffusa in merito al Tribunale. Poi, quando abbiamo iniziato a sostenere anche la Camera per i crimini di guerra della corte distrettuale di Belgrado ed anche la Procura sui crimini di guerra, anche membri di questi due organismi hanno iniziato a partecipare alle nostre iniziative ed ai nostri dibattiti.

Il governo di Kostunica ed i cambiamenti che ha portato hanno reso difficile il nostro lavoro su questo progetto. Un altro ostacolo che andava superato. Ci siamo allora chiesti che strumenti avessimo, noi cittadini, per far pressione sul governo in modo cooperasse con il Tribunale. Il governo precedente non si è comportato molto meglio, ha però raggiunto qualche risultato. In particolare ci riferiamo al processo a Milosevic, al quale molte domande si riferiscono durante i nostri incontri. Spesso è accaduto che le persone alle quali ci rivolgevamo non avevano sentito parlare di altri indiziati od altri casi presso il Tribunale dell’Aja. Ad esempio, all’anniversario per l’Operazione Tempesta (con la quale nel 1995 l’esercito croato prese nuovamente il controllo della regione delle Krajne, ndr), nessuno ha nominato i processi in atto all’Aja per crimini commessi in Croazia: abbiamo solo sentito i lamenti delle élite politiche serbe.

In collaborazione con il programma Outreach del Tribunale penale dell’Aja YIHR ha deciso di parlare anche di incriminazioni per crimini commessi contro i serbi. E ogni volta che il pubblico veniva a sapere come vi fossero anche indagini di questo tipo dimostrava sorpresa. Perché, ovviamente, "il Tribunale era stato creato solo per giudicare i serbi e non sarebbe interessato ad occuparsi anche di altri crimini". Il pubblico in Serbia non è pronto per parlare di persone comuni, le vittime, ma solo di glorificare gli indiziati e gli accusati.

La campagna dei media che abbiamo programmato a sostegno di questa nostra iniziativa non ha però funzionato. Alcuni video-clip che presentavano le vittime di crimini di guerra sono rimasti inaccessibili alla maggior parte dei giovani della Serbia. ANEM (Associazione per i media elettronici indipendenti) li ha trasmessi sui medi locali in tutta la Serbia, ma le grandi reti televisive non si sono degnate neppure a rispondere alle nostre lettere ed alle nostre richieste di incontri. Abbiamo provato a raggiungere i cittadini attraverso iniziative pubbliche, per strada. Abbiamo distribuito migliaia di volantini in tutta la Serbia ma questo ci ha anche portato ad essere definiti "I mercenari del Tribunale", come ci hanno descritti alcuni media. Ma i video-clip sono ancora lì, e quindi riteniamo non sia mai troppo tardi per trasmetterli, noi stiamo aspettando.

Continueremo a lavorare con le Madri di Srebrenica, con altri gruppi create dai parenti delle vittime, con le organizzazioni non-governative. Come cittadini abbiamo il diritto di chiedere e di ottenere risposta su ciò che è stato fatto in nostro nome.

* Direttore del Youth Initiative for Human Rights

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