Sreten Lukic, un altro generale all’Aia
Continua la collaborazione tra Belgrado e la Procura internazionale dell’Aja, ma diversi media serbi sollevano dubbi sulle modalità dei trasferimenti ‘volontari’ dei ricercati. Attesa per lo studio di fattibilità dell’Unione Europea, primo passo di avvicinamento verso Bruxelles
Dopo diverse settimane in cui si è speculato sul suo stato di salute, lunedì 4 aprile è giunto nel carcere di Scheveningen l’ex capo della polizia Sreten Lukic. L’accusa del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia era stata notificata a Lukic e agli altri 3 generali con lui incriminati, Vlastimir Djordjevic, Vladimir Lazarevic e Nebojsa Pavkovic, nell’ottobre 2003, quando i membri delle forze di polizia avevano manifestato a Belgrado contro l’accusa rivolta contro il loro comandante.
I quattro generali sono accusati dal TPI di violazione delle leggi di guerra, crimini contro l’umanità commessi contro la popolazione albanese del Kosovo nel 1999, deportazione di 800.000 civili albanesi, omicidio di centinaia di civili albanesi, violenze da parte delle forze armate da loro comandate nel 1999, soprattutto contro le donne kosovare albanesi, distruzione di edifici religiosi albanesi.
Sreten Lukic è nato il 28 marzo 1955 a Visegrad, Bosnia Erzegovina, diventato popolare nel 1998 durante il conflitto in Kosovo, quando era a capo della squadra per il Kosovo del Ministero dell’interno serbo. Rimasto al suo posto durante la caduta di Milosevic, grazie alla sua fedeltà al nuovo corso democratico, diventò nel 2001 il capo della pubblica sicurezza. A seguito dell’assassinio del premier Zoran Djindjic, Lukic guidò l’operazione di polizia denominata "Sciabola".
L’allora governo Zivkovic non mosse un dito per consegnare Sreten Lukic al tribunale dell’Aia, quando nell’ottobre del 2003 lo stesso tribunale notificò gli atti d’accusa. L’ex premier Zoran Zivkovic recentemente ha avuto modo di ribadire che "la personale esperienza con Lukic, sia prima che dopo l’omicidio del premier della Serbia Zoran Djindjic, parla di un onorevole ufficiale, cosa poco consueta tra la polizia".
Fino a pochi giorni fa Lukic aveva cercato di evitare la consegna al Tribunale dell’Aia a causa di un intervento al cuore subito di recente, ma dopo il controllo clinico effettuato dai medici dell’Aia, Lukic è stato ritenuto idoneo a lasciare il Paese.
La partenza dell’ex capo della polizia ha suscitato polemiche in Serbia. I quotidiani belgradesi del 5 aprile aprono le prime pagine chiedendosi se sia trattato di un arresto o di una consegna volontaria.
"Sreten Lukic è stato arrestato?" si chiede in prima pagina il quotidiano "Danas", mentre "Blic" apre con "Lukic in pigiama condotto all’Aia". "Glas Javnosti" con una punta di ironia, mette insieme le due cose aprendo con: "Lukic volontariamente è stato condotto in pigiama all’Aia".
Secondo Sinisa Simic, l’avvocato dell’ex capo della polizia, il suo cliente sarebbe stato trasferito dall’ospedale di Belgrado a quello di Rotterdam per poi raggiungere il carcere di Scheveningen, contro il suo volere. L’avvocato Simic ha denunciato una violazione dei diritti umani nei confronti del suo cliente, ma è stato immediatamente smentito dal ministro dell’interno Zoran Stojkovic, il quale ha affermato all’agenzia Beta che "Lukic non è stato arrestato né gli sono state messe le manette".
Sreten Lukic è il dodicesimo ricercato dell’Aia che parte dalla Serbia verso il carcere di Scheveningen, nell’arco di pochi mesi. Il governo serbo sta cercando di dimostrare in tutti i modi un’adeguata collaborazione con il Tribunale internazionale dell’Aia, al fine di ottenere un parere positivo sullo studio di fattibilità dell’UE, primo passo verso l’avvio dei colloqui per l’avvicinamento del Paese all’Unione europea.
Secondo quanto informa l’emittente B92, Rasim Ljajic, ministro per i diritti umani e delle minoranze, nonché presidente del Consiglio per la collaborazione col Tribunale internazionale, sarebbe intenzionato a chiedere aiuto al procuratore capo del TPI , Carla del Ponte, al fine di ottenere una valutazione positiva del tanto atteso studio di fattibilità. Ljajic ha ricordato che Carla del Ponte il 6 aprile consegnerà alla Commissione europea il rapporto concernente la collaborazione della Serbia e Montenegro col Tribunale internazionale, dal quale, "dipenderà la valutazione sullo studio di fattibilità".
Una questione aperta rimane la consegna del generale in pensione Nebojsa Pavkovic, accusato anch’egli dal TPI nell’ottobre del 2003. A Pavkovic è stato dato il termine di consegna entro il 12 aprile, ma da giorni risulta irreperibile. Lo stesso avvocato dell’ex generale afferma di non avere da giorni notizie dal suo cliente e non ha idea di dove si trovi in questo momento.
Nebojsa Pavkovic non ha mai celato le sue intenzioni di resistere alla consegna. Il partito Blocco popolare, di cui l’ex generale è presidente, ha ripetutamente ribadito che Pavkovic non si consegnerà vivo al Tribunale dell’Aia.
Un atteggiamento che ha incontrato forti rimostranze anche negli stessi ambienti militari. Secondo il generale in pensione Ninoslav Krstic, Pavkovic non si sta comportando da soldato né da patriota. "Deve capire che è necessaria la sua consegna, nel nome dello stato e dei suoi cittadini, affinché si comporti come un vero soldato e un patriota. Ciò che sta facendo adesso va nella direzione diametralmente opposta".
Le consegne volontarie, parte integrante della strategia ufficiale del premier Vojislav Kostunica, hanno suscitato anche alcune polemiche riguardo la possibilità che il governo serbo garantisca delle ricompense finanziarie alle famiglie degli accusati volontariamente consegnatisi all’Aia.
Le supposizioni si sono fatte più insistenti anche a causa delle consegne volontarie di accusati provenienti dalla vicina Republika Srpska, entità della Bosnia Erzegovina. Alcuni ex ufficiali della RS, come Milan Gvero, Gojko Jankovic, Drago Nikolic, Vinko Pandurevic, hanno deciso di consegnarsi al Tribunale dell’Aia passando dalla Serbia.
Secondo fonti non ufficiali alcuni degli accusati dall’Aia avrebbero ricevuto aiuti finanziari per un valore di alcune centinaia di migliaia di euro. Come riporta B92, la storia che gli accusati riceverebbero aiuti finanziari non dallo Stato, ma bensì da alcuni uomini d’affari del Paese è stata ritenuta poco attendibile da fonti governative.
Secondo informazioni ufficiali, il governo serbo ha stanziato 40 milioni di dinari per le famiglie degli accusati, ma nemmeno un dinaro è stato ancora destinato alle famiglie. Allo stesso tempo, riporta B92, la Serbia e Montenegro ha stanziato 25 milioni di dinari per gli accusati, che fino ad ora sono serviti per pagare i biglietti arei per i trasferimenti e per gli alloggi dei familiari durante le visite in Olanda.
In una lunga intervista rilasciata per il quotidiano di Banja Luka, "Nezavisne Novine" del 27 marzo scorso, l’ex ministro della giustizia Vladan Batic, presidente del Partito democristiano della Serbia, aveva esplicitamente affermato che "la gente va all’Aia per motivi finanziari e questo accordo è stato fatto col premier Kostunica. Esistono persone che per la consegna all’Aia degli accusati hanno dato del denaro per poter legalizzare i loro soldi sporchi. E sono tutti soddisfatti: quegli uomini d’affari, il premier, ed anche gli accusati".
Secondo l’ex ministro della giustizia, a sborsare ingenti somme di denaro per le consegne degli accusati, sarebbero alcuni uomini d’affari arricchitisi nel periodo di Milosevic ed altri che furono arrestati durante l’operazione di polizia "Sciabola" del marzo 2003.
Va ricordato inoltre che alla fine di marzo è giunta notizia che il tribunale di Belgrado incaricato per i crimini di guerra ha ordinato il congelamento temporaneo dei mezzi finanziari di 13 ricercati dal TPI dell’Aia, ancora in circolazione. Sulla lista compare ovviamente anche il più famoso latitante dell’Aia, Ratko Mladic.