Riforme bloccate nella Bosnia di Ashdown
Scacco della riforma della polizia, manifestazioni nazionaliste a Banja Luka: in Bosnia Erzegovina le cose non vanno affatto bene, e secondo il quotidiano Oslobodjenije questo triste bilancio è in larga misura quello dell’Alto Rappresentante Paddy Ashdown, giunto al terzo anno del proprio mandato
Di Gojko Beric, per Oslobodjenje, 19 maggio 2005; traduzione dal bosniaco di Ursula Burger Oesch per Le Courrier des Balkans
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta
C’è un passo nel famoso libro La Corte del diavolo (Prokleta Avlija) di Ivo Andric, proprio verso la fine della storia, in cui uno dei protagonisti, Camil-efendija, pronuncia la seguente frase: «Per me, la mezzanotte e l’alba si confondono. È tutto uguale. Il giorno non sorge mai». Mi sono ricordato di questo passaggio del nostro premio Nobel osservando quello che succede in questi ultimi giorni nelle regioni che vanno da Ravna Gora a Bleiburg, dal fiume Drina fino all’Una, e da Banja Luka fino a Sarajevo. Quando si prendono in considerazione tutti questi avvenimenti, ed evidentemente anche altri, è chiaro che in Bosnia Erzegovina il giorno non può sorgere. Mezzanotte o alba, è sempre lo stesso!
Ogni speranza è stata ormai tolta, al punto che ogni resistenza individuale al nostro « lungo viaggio al termine della notte» fa pensare a qualcuno che cerchi di scacciare la notte accendendo un fiammifero. Ma l’uomo non può tacere davanti a una tale mole di stupidità, di primitivismo e di cecità politica e per giunta di egoismo arrivista. La guerra non può essere l’unica spiegazione per tutto ciò. In molti diranno che l’attuale situazione soddisfa la maggior parte delle persone, che la prova di questo sono tutte le passate elezioni e che, di conseguenza, non si può far nulla per migliorare questa situazione. Io non dico che il raduno di 20.000 Serbi che qualche giorno fa hanno protestato a Banja Luka contro l’abolizione dei ministeri della Difesa e dell’Interno della Republika Srpska debba essere ignorato, come se non avesse mai avuto luogo. Non ho dubbi sul fatto che questi 20.000 Serbi riflettano lo stato d’animo in questa entità, dove un trend di «cetnistvo» in simbiosi con una dimensione ortodossa costituisce «l’ideologia di riserva» del dopoguerra, in cui, nel momento stesso in cui questo si rivela necessario per Vojislav Kostunica e Dragan Cavic, sul fuoco della « Grande Serbia » si aggiungono nuovi ceppi.
Euforia nazionalista in Republika Srpska
Ma non spetta al popolo formulare le leggi di una società, benché si dica spesso che esso ha la classe dirigente che si merita. La responsabilità, normalmente, ricade sull’élite: élite politica, intellettuale ed economica. Una élite incapace crea il caos. Perché, al raduno di Banja Luka, si sentiva ancora una volta la gente gridare «Serbia, Serbia…»? Perché la folla non dimentica quello che le ha promesso, sono ormai quasi 15 anni, Slobodan Milosevic. Perché così tanti manifestanti si sono decisi ad ostentare delle magliette nere con le foto di Karadzic e Mladic? Forse perché questi due criminali di guerra, oggi latitanti sotto protezione, sono le loro icone. Questa gente difende la Republika Srpska esattamente come è stata creata dagli «eroi serbi Radovan e Ratko». Una RS differente? Essi non sanno, e non ne vogliono sentir parlare.
Se i Croati avessero conservato la «Repubblica di Herceg-Bosna», difenderebbero allo stesso modo questa creazione fossilizzata, senza porsi la questione di come è stata creata e di come si sentano quei «pochi» Bosniaci o Serbi che ci vivessero.
Gli abitanti dell’Erzegovina occidentale non hanno ancora dimenticato il giorno in cui, da un balcone di Siroki Brijeg, Franjo Tudjman ha spiegato loro che la capitale dei Croati di quella regione era Zagabria. Franjo Tudjman riposa a Zagabria, al cimitero di Mirogoj, ma gli Erzegovesi credono sempre alle sue parole, nell’attesa che esse infine si avverino, come una apparizione della Madonna di Medjugorje.
Parlando con obiettività, la Bosnia Erzegovina è talmente lontana dall’Europa che né i Serbi, né i Croati, né i Bosniaci mostrano alcun vero interesse per questa favola, a parte quello puramente rappresentativo dei dirigenti politici sotto una forte pressione della comunità internazionale. Questa è la campana di vetro sopra le teste dei partiti nazionalisti – fondatori di giri d’affari basati sull’interesse di un solo partito, quello del crimine e della corruzione. Ma questa campana va diventando sempre più fragile.
Riforma della polizia e controllo dei partiti etnici
Quando si tratta di concrete riforme di transizione, la politica bosniaca, incarnata nel Partito d’Azione Democratica (SDA), sembra cominciare ad essere pronta ai compromessi. Esso sostiene oggi sia la riforma dell’esercito che quella della polizia. Ma questo stesso partito ha cacciato dal trono l’Alleanza per i cambiamenti democratici, accusandolo attraverso una campagna martellante di volere creare una specie di «Stato di Polizia», mirato ad arrestare unicamente i Bosniaci.
Non era solo una strategia ben pensata di campagna elettorale, ma anche una manifestazione della volontà di salvaguardare ad ogni costo una delle specificità della guerra – una polizia esclusivamente bosniaca, ma in realtà controllata dal partito. Il suo dovere, secondo l’ordine delle cose, sarebbe di difendere la collettività bosniaca ed il monopartitismo. L’unico problema è che questa interpretazione è opposta non solo alle norme democratiche, ma anche ad una logica di tempo di pace. Inoltre, il problema che resta d’attualità in Bosnia Erzegovina è il fatto che una vera e propria pace ancora non è stata stabilita. Gli anni della sua restaurazione post-Dayton trascorrono all’insegna dell’armistizio. È sufficiente fare un semplice conteggio degli eserciti e delle polizie, aggiungervi gli arsenali nascosti d’armi d’ogni sorta, e presto comprenderete che in molte teste la guerra non è ancora terminata né è stata ristabilita la fiducia perduta.
Eppure, contrariamente all’SDA ed all’HDZ croato, che sono d’accordo nell’allungare con un po’ d’acqua il loro vino etnico, il blocco nazionalista al potere in RS resta immobile sulle proprie posizioni. Quanto a Paddy Ashdown, egli ha da parte sua già alzato bandiera bianca su questo terreno. Deluso dal tradimento di quelli che da tre anni a questa parte erano i suoi alleati, ha dichiarato che non imporrà più nulla a nessuno in questo Paese. I treni per l’Europa sono partiti, ed egli non è riuscito a farvi salire il Paese che governa, neppure sul più lento. Egli non è il solo colpevole di questa situazione ma ne è sicuramente il colpevole principale.
A conti fatti, il bilancio di Paddy Ashdown è molto triste. E da lassù, il nostro Lord non può che dire con tono rassegnato, come il famoso Camil-efendija di Ivo Andric: «Il giorno non sorge mai!»