Le relazioni turco-bulgare dopo la vittoria di Attack

Un’analisi delle relazioni tra i due vicini alla luce dell’affermazione degli ultranazionalisti di Attack nelle recenti elezioni in Bulgaria. La preoccupazione nella stampa turca è mitigata dal buon risultato del partito turcofono Hoh e da un generale clima positivo tra Ankara e Sofia

07/07/2005, Fabio Salomoni -

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La politica interna bulgara tradizionalmente trova osservatori molto attenti in Turchia. La ragione fondamentale è determinata dalla presenza in Bulgaria di una consistente minoranza musulmana (800.000/1.000.000 circa), per lo più turcofona ma che comprende anche la comunità dei Pomaki, musulmani slavofoni. Popolazioni che nella storia recente della Bulgaria hanno vissuto non pochi momenti di difficoltà.

La Bulgaria socialista ed il clima determinato dalla guerra fredda, oltre all’ostilità ereditata dal passato ottomano, hanno prodotto una forte diffidenza del regime nei confronti della popolazione turco/musulmana, guardata con sospetto a causa dei forti legami che essa manteneva con la Turchia, paese che aveva scelto il campo occidentale. Un clima di diffidenza che periodicamente è sfociato in intimidazioni, discriminazioni e politiche di assimilazione che hanno provocato importanti esodi di popolazioni in Turchia. Il primo grande esodo, che ha coinvolto circa 150.000 persone, si è verificato nel 1950/51. A cavallo tra gli anni 60 e 70 poi, un accordo bilaterale tra i due paesi ha permesso ad altri 130.000 turchi di ricongiungersi ai familiari precedentemente riparati in Anatolia. Il momento più difficile però è coinciso con la svolta nazionalista assunta dal governo Zhivkov nella seconda metà degli anni 80. L’ondata di nazionalismo ha prodotto svariate politiche discriminatorie: divieto di indossare abiti tradizionali e di parlare turco in pubblico, bulgarizzazione dei cognomi, chiusura delle moschee. Misure che hanno portato ad un crescente clima di tensione che ha avuto come conseguenza manifestazioni di piazza con arresti di massa e vittime. La situazione è andata progressivamente peggiorando, e con essa anche le relazioni tra i due paesi, fino ad arrivare all’estate del 1989, quando, di fatto incoraggiati dai due paesi, più di 300.000 turchi e pomaki si sono rifugiati in Turchia.

Il governo di Ankara, che in quel periodo riscopriva il suo ruolo di kin-state e le responsabilità nei confronti delle popolazioni turche e più in generale musulmane in difficoltà nei Balcani ma anche nel Caucaso ed in Crimea, aveva promesso nell’occasione procedure semplificate per l’ottenimento della cittadinanza ed altre forme di sostegno ai profughi provenienti dalla Bulgaria.

Negli anni ’90 poi il progressivo consolidarsi di un clima democratico in Bulgaria ha riportato la situazione alla normalità. La minoranza turca ha così potuto ottenere una serie di garanzie e di diritti, tra i quali la possibilità di usare il turco nelle trasmissione radio-televisive, che hanno favorito l’integrazione della comunità nella vita sociale ed economica del paese. Sul piano politico poi la costituzione di un partito, il Movimento per il Diritto e le Libertà (HOH), ha consentito ai turchi anche una maggiore partecipazione alla vita politica del paese, un contributo piuttosto significativo se si tiene conto che l’HOH ha partecipato a gran parte dei governi di coalizione che si sono succeduti nella Bulgaria post/socialista.

Le modalità di integrazione della minoranza turco-musulmana in Bulgaria sono state considerate da molti osservatori un modello positivo anche per gli altri paesi della regione. A confermare il ritrovato clima di serenità vi è poi il dato secondo cui, a metà degli anni ’90, quasi la metà dei profughi giunti in Turchia aveva fatto ritorno a casa.

Il rasserenarsi del clima interno in Bulgaria ha avuto poi importanti ricadute sulla qualità delle relazioni bilaterali tra i due paesi, che da tempo sono improntate ad un clima di grande distensione. L’ultima prova è arrivata alcune settimane fa in occasione dell’inaugurazione, da parte del Presidente turco Erdogan e di quello bulgaro Simeone Saksoburgotsky, di un nuovo valico di frontiera tra i due paesi, quello di Hamzabeyli-Lesova, resosi necessario perchè l’intensificarsi delle relazioni e degli scambi ha di fatto portato alla paralisi del principale valico esistente, quello di Kapikule. Una cerimonia svoltasi all’insegna della massima cordialità e nella quale sono stati rinnovati i propositi di rafforzare ulteriormente le relazioni reciproche. Nell’occasione poi Erdogan si è anche lasciato scappare l’impegno ad ampliare un piccolo posto di frontiera, attualmente utilizzato solo dai veicoli non commerciali.

In contrasto però con questa fase estremamente positiva delle relazioni turco-bulgare, è spuntata negli ultimi mesi l’incognita ATTACK, il nuovo partito fondato da Volen Siderov, che all’insegna dello slogan "La Bulgaria ai Bulgari" ha impostato la campagna elettorale sull’ostilità xenofoba nei confronti della comunità turca e Rom. Ragioni che hanno fatto si che la stampa turca seguisse con preoccupazione l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, da un lato con un occhio alle prospettive del partito HOH ed anche alla novità rappresentata dalla lista Rom e, dall’altra, alle boutades di Siderov.

All’indomani del voto, due erano le sensazioni prevalenti nei commenti in Turchia: soddisfazione e preoccupazione. La soddisfazione e legata ai risultati del partito HOH che, con i 33 seggi conquistati, ha ottenuto il miglior risultato degli ultimi 15 anni. Un risultato dovuto ad un incremento del 30% dei voti ottenuti. L’aspetto sul quale molti osservatori si sono soffermati è il fatto che il partito ha conquistato seggi e consensi praticamente in tutti i collegi elettorali del paese, esclusa la capitale Sofia, e non solamente nelle circoscrizioni con una forte presenza turca. Un dato che indica come il voto all’HOH non abbia avuto solamente un carattere "etnico" ma abbia anche interessato cittadini bulgari e, come viene sottolineato, Rom. Del resto, sei candidati eletti nelle liste dell’HOH erano bulgari. Alcuni esempi a confermare queste valutazioni: nella città di Blagoevgrad, dove i turchi sono poco rappresentati, il partito HOH ha ottenuto tre seggi su sette. Lo stesso vale anche per Vidin dove, pur non ottenendo nessun seggio, il partito ha ottenuto il 13% dei voti. Più scontato invece il successo in collegi come Burgas e Silistre, tradizionalmente con una importante presenza turca.

Un altro elemento che ha contribuito all’importante risultato elettorale dell’HOH è stato il voto dei bulgari residenti in Turchia, in possesso della doppia cittadinanza e perlopiù appartenenti all’ondata di profughi arrivata nel 1989. Anche se alcuni giornali turchi alle vigilia parlavano addirittura di 300.000 elettori, sono stati 43.000 i residenti in Turchia che si sono recati ai seggi elettorali. Votando largamente per l’HOH, il 98% delle preferenze, hanno permesso al partito di Ahmet Dogan di guadagnare 5 seggi al Parlamento. I commenti di Ahmet Dogan all’indomani del voto, riportati dalla stampa turca, hanno sottolineato come "sia il Partito Socialista che il Movimento Nazionale di Simeone hanno bisogno di noi, siamo la terza forza politica del paese". Pressochè nullo è stato invece il risultato ottenuto da un secondo partito nato dalla comunità turca, la Coalizione delle Rose, di Guner Tahir che ha ottenuto solamente l’1.3% dei voti.

Accanto alla soddisfazione per il risultato dell’HOH, la stampa turca non ha certo nascosto la preoccupazione per il successo del movimento ATTACK. "Shock razzista nel paese vicino" è stato il titolo del quotidiano Milliyet. I giornali hanno riportato con grande evidenza le prime dichiarazioni rilasciate dal leader Volen Siderov nel dopo elezioni, all’insegna degli stessi toni xenofobi che avevano caratterizzato la campagna elettorale. Le prime parole le ha riservate ai Rom, che ha promesso di "trasformare in cittadini rispettosi della legge bulgare". In un programma radiofonico ha poi annunciato di voler smantellare i quartieri Rom ed alla domanda "Dove andranno?", ha risposto: "Vadano dove vogliono, l’importante è che paghino l’affitto". Non si sono fatte attendere neanche le dichiarazioni dirette ai turchi: inizialmente Siderov ha affermato che il partito HOH è "un partito contrario ai principi costituzionali, non è necessario però vietarlo, basterebbe applicare la costituzione. Il bulgaro è la lingua ufficiale in Bulgaria". In seguito ha accusato il segretario Dogan di usare illegalmente la lingua turca e di "inchinarsi davanti alle statue dei terroristi". Nei giorni successivi ha poi rispolverato alcuni temi delle campagne nazionaliste del passato come la bulgarizzazione dei cognomi turchi. "Vuol trasformare Hasan in Hasanov", ha titolato il quotidiano turco Hurriyet.

Siderov, proponendo di aggiungere i suffissi -ov- e -ova- ai cognomi turchi ha fatto esplicito riferimento alle analoghe politiche di bulgarizzazione dell’epoca Zhivkov. Il leader di ATTACK ha poi rincarato la dose affermando che "tutti vedranno presto che la Bulgaria appartiene ai Bulgari", chiedendo che vengano immediatamente interrotte le trasmissioni in turco della televisione di stato. Propositi che, secondo Milliyet, "fanno preoccupare i democratici del paese".

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