Frammenti d’arte contemporanea, Belgrado e dintorni – III

Una rassegna di manifesti realizzati dagli studenti della Accademia di belle arti di Belgrado per celebrare i 400 anni di Don Chisciotte ed un caffè con Zoran Blažina, designer ed uno dei loro professori. La terza di cinque puntate di un reportage attraverso l’arte contemporanea di Belgrado e dintorni

22/08/2005, Redazione -

Frammenti-d-arte-contemporanea-Belgrado-e-dintorni-III

Prima puntata, Petar Dobrovic

Seconda puntata, Marmo ghiacciato

Di Luca Arnaudo

Risalita Kralja Petra fino all’incrocio con Knez Mihailova, l’isola pedonale al centro di Belgrado si rivela un curioso mercato a cielo aperto di occasioni commerciali e culturali, offerte da polverosi relitti dell’era titoista – esemplificati al meglio da un incredibile grande magazzino e dall’ancor più inverosimile galleria dell’Accademia delle Scienze, luoghi dove tutto viene accumulato senza alcun apparente criterio espositivo, si tratti di scarpe, elettrodomestici o pitture delle epoche e stili più disparati – in fallimentare concorrenza con i grandi negozi di abbigliamento, istituti di credito e cultura disposti con accuratezza scacchistica dai paesi più ricchi dell’Europa occidentale. Proprio nella centralissima sede dell’istituto culturale spagnolo è in corso Don Kihot – 400 godina Don Chisciotte – 400 anni, una divertente rassegna di manifesti realizzati dagli studenti della locale Accademia di belle arti per celebrare l’anniversario della pubblicazione del capolavoro di Cervantes. La persona intenta a osservare i poster, a cui chiediamo informazioni sulla mostra, si rivela essere un professore della facoltà di arti applicate presso la stessa Accademia, venuto insieme alla moglie a vedere i lavori di alcuni suoi allievi: con grande disponibilità – peraltro assai comune da queste parti – Zoran Blažina ci invita poi a prendere un caffè dalle parti della facoltà, in Kosančicev Venać, per fare conoscenza e discorrere con calma.

Di Blažina, oltre all’aspetto sportivo che lo fa sembrare assai più giovane dei suoi cinquant’anni, colpisce la grande modestia associata a una notevole chiarezza d’intenti: designer noto a livello internazionale ed esperto teorico di identità visuale, tiene a mantenere distinta la sua professione dalla generica figura dell’artista, in cui dice di non riconoscersi. Traspare, nelle parole del professore, una considerazione assai netta del lavoro grafico e della specifica etica dello stesso, con un’attenzione estrema alla dimensione operativa della professione nei suoi potenziali effetti sociali: si tratta di un profilo, del resto, che già Gyorgy Kepes aveva ben in mente quando negli anni quaranta considerava come "ogni esperienza visuale, indipendentemente da quello che vuoi, è un atto di formazione" (1), formazione che, nel caso di un grafico, riguarda sia la propria persona sia i ricettori delle sue creazioni. L’importanza e il carico di responsabilità del design nella società contemporanea, troppo spesso sottovalutate, si mostrano ancor più evidenti quando la committenza dei progetti grafici sia pubblica, espressa cioè da soggetti i quali – spesso combinando in sé tanto il profilo dell’impresa che del servizio sociale – hanno un interesse particolare a che il messaggio giunga con estrema chiarezza alla collettività e, insieme, la educhi richiamandosi a valori (che dovrebbero essere) condivisi. Seduti a un tavolino del bar davanti a un’ansa del Danubio, discutiamo in particolare di questo argomento perché Blažina ha da poco tenuto presso il Museo di Arti Applicate una mostra di alcuni suoi recenti progetti per committenze pubbliche. Nel catalogo dell’esposizione, che mi lascia il giorno dopo quando ci ritroviamo in un’aula spoglia dell’Accademia, ho modo di studiare un percorso creativo di grande suggestione, dove dai cartelli pubblicitari che lo costeggiano si dipartono continui sentieri narrativi, assolutamente sorprendenti. C’è, in primo luogo, una forte attenzione all’aspetto teorico del progetto grafico, condensata in acuti commenti sui rapporti che nel design si sviluppano tra segno e attitudine o sulle tendenze della pubblicità contemporanea: Blažina, ad esempio, annota che "la moda è effimera mentre la sensibilità durevole. Percepire la sensibilità dei tempi nella creazione del design significa sentire il colore, il suono, l’odore e il gusto di cose che non hanno colore, suono, odore né gusto" (2).

Intrecciata a questi appunti professionali si svolge però una riflessione più ampia, squisitamente esistenziale, dove i ricordi personali legati a un vecchio amico attore si mescolano a quelli di un dipinto del padre osservato nell’infanzia, l’appello per avere notizie di un altro amico scomparso senza lasciare traccia si alterna a buffi proverbi serbi. Più di tutto mi colpisce una storia, visivamente disposta accanto al manifesto ideato per un festival di musica da camera: riporto il racconto così com’è, in tutta la sua assorta essenzialità.

"Nel 1192 Enrico Dandolo venne eletto doge di Venezia all’età di ottantacinque anni. Pochi anni dopo, ebbe l’opportunità di realizzare i suoi sogni: stipulò un accordo con un gruppo di baroni francesi e fornì loro l’assistenza di una flotta da guerra veneziana nella conquista di Zadar, in cambio di aiuti militari per il suo attacco a Costantinopoli. E così fu. Nel 1204, Dandolo, saldo sulla prua della nave ammiraglia, armato di tutto punto e con la bandiera di San Marco sventolante davanti a sé, entrò vittorioso nel porto di Costantinopoli. Inviò enormi ricchezze a Venezia, e, tra le altre cose, le sculture dei quattro leoni prese dall’arsenale di Costantinopoli, che si trovavano in quel posto da sei secoli. Oggi i leoni sono collocati dinanzi alla chiesa di San Marco. Dandolo morì a Costantinopoli nel 1205. Venne sepolto all’interno della chiesa di Santa Sofia in una tomba di marmo, sulla cui sommità furono scolpite le armi di San Marco e il cappello del doge. La tomba venne distrutta nel 1453, quando i turchi sottomisero Costantinopoli al loro dominio. Tieni vive le tue speranze, alle volte la vera vita può iniziare a ottantacinque anni."

… continua

Note:
1. Gyorgy Kepes, Il linguaggio della visione, Dedalo, Bari 1971.

2. Zoran Blažina, Design concept and abstraction, Muzej Primenjene Umetnosti Beograd, Belgrado 2004, s.p..

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