Rappresentante Speciale: mission impossible
Sei anni nei quali si sono alternati ben cinque responsabili dell’amministrazione internazionale ONU in Kosovo. Sei anni nei quali la situazione del Kosovo è emersa in tutta la sua complessità. Rapido sguardo sulle relazioni tra Rappresentante speciale e comunità locali
Nel giugno di quest’anno il Kosovo è entrato nel sesto anno di amministrazione delle Nazioni Unite.
Dopo i bombardamento NATO nel giugno del 1999 è stato sottoscritto l’accordo di Kumanovo tra l’Alleanza atlantica e l’Esercito jugoslavo. All’accordo è seguita la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed in Kosovo è arrivato il primo Rappresentante Speciale del Segretario Generale, incarico di grande responsabilità almeno sino a quando lo status del Kosovo verrà definito.
Essere Rappresentante Speciale in Kosovo non è mai stato facile.
Dal giugno del 1999 ad oggi il Kosovo ha attraversato molti cambiamenti politici e socio-economici la maggior parte dei quali sono stati guidati dall’amministrazione ONU.
Il lavoro per favorire il rafforzamento delle istituzioni, l’affiancamento giornaliero dell’attività dei politici e funzionari kosovari, l’organizzazione di elezioni parlamentari e locali, il lavoro sulla struttura costituzionale della Provincia erano passi che avrebbero dovuto portare a strutture governative kosovare responsabili davanti all’elettorato e capaci di operare in autonomia.
La situazione però attualmente è più complessa di quanto potesse apparire nell’estate del 1999.
Da allora il Segretario Generale Kofi Annan ha nominato ben cinque Rappresentanti Speciali che hanno in successione cercato di guidare il Kosovo in un percorso di stabilità.
Difficile dire se i politici del Kosovo siano stati buone controparti a questi ultimi.
Ciascuno dei Rappresentanti Speciali ha giocato un ruolo diverso a seconda del momento che attraversava il Kosovo postbellico ed a seconda della personalità che esprimeva: più aperta alla cooperazione o più intransigente, più o meno disponibile a relazioni strette con i politici locali, più o meno intenzionato ad interferire con le dinamiche della politica locale.
L’attuale rappresentante speciale Soren Jessen Petersen si trova forse nel momento più difficile in assoluto per l’amministrazione ONU in Kosovo. Durante il suo mandato verrà infatti reso pubblico il rapporto sul rispetto degli standard al quale sta lavorando Kai Aide, inviato speciale di Kofi Annan, e con tutta probabilità verranno anche avviati i negoziati sullo status finale della Provincia a meno che questi non vengano posposti.
Il suo atteggiamento molto attivo nello smuovere il Kosovo dalla situazione di stallo in cui si trova è molto apprezzato a Pristina.
Da alcuni recenti sondaggi è emerso che il 70% dei cittadini kosovari ritiene che stia compiendo bene il suo lavoro.
E’ però vero che non tutti la pensano così. In particolare hanno espresso spesso dubbi i rappresentanti della comunità serba del Kosovo.
La posizione che il Rappresentante Speciale ha assunto durante recenti colloqui con la Belgrado ufficiale è stata percepita da gran parte dei serbi del Kosovo come troppo a favore degli interessi della comunità albanese e della comunità internazionale.
Jessen Petersen ha fortemente condannato l’uccisione il 27 agosto scorso di due giovani serbi, sulla strada tra Strpce a Lipjan, Kosovo meridionale, ma ha preso una posizione ancor più dura nei confronti di speculazioni che – in merito alla vicenda – arrivavano da Belgrado. Il Rappresentante Speciale non può infatti permettere che una vicenda come questa rischi di condizionare troppo la relazione sul rispetto degli standard alla quale sta lavorando Kai Aide. Nonostante i suoi sforzi resta comunque probabile che l’incidente influenzi la relazione del diplomatico norvegese.
E’ stato apprezzato anche il suo sforzo di far avviare un confronto sulla questione dello status tra le maggiori forze politiche del Kosovo in modo che la gestione dei negoziati sul futuro del Kosovo non fossero esclusiva del solo governo. Ma anche qui non sono mancate le critiche: vi è chi afferma che il cosiddetto Forum, luogo deposto a questi incontri, non è un’istituzione ufficiale e che non può aspirare a diventarlo.
L’approccio invece nei confronti dei politici serbi, che fossero serbi del Kosovo o rappresentanti di Belgrado, è sempre stato molto diretto e "senza guanti". Ciononostante non sembra sia riuscito, anche con le maniere forti, ad ottenere molto.
D’altro canto in molti però si dimenticano che è stato proprio Jessen Petersen, alle scorse elezioni politiche, a derogare al regolamento elettorale permettendo all’ultimo istante alla Lista serba per il Kosovo e Metohija, guidata da Oliver Ivanovic, di registrarsi, con l’obiettivo di fare in modo che i serbi avessero più spazio in seno alla vita politica kosovara. Cosa che poi non avvenne perché i serbi di fatto boicottarono le elezioni e rifiutarono, salvo rare eccezioni, di partecipare alla vita istituzionale kosovara.
Nonostante le impressioni superficiali in realtà le relazioni di Jessen Petersen con i politici serbi del Kosovo non sono affatto assenti. Un limite alla sua azione deriva certamente dal fatto che i serbi del Kosovo hanno deciso di boicottare le istituzioni kosovare e quindi a Jessen Petersen spesso non resta che invitarli alla partecipazione attiva nella vita politica e a richiamare le autorità di Belgrado quando queste ultime a suo avviso stanno interferendo troppo.
I Rappresentanti Speciali precedenti hanno avuto relazioni più o meno simili con i rappresentanti dei serbi del Kosovo. Questi ultimi sono stati più fuori che dentro le istituzioni e – nonostante gli sforzi dei vari Rappresentanti Speciali – sono entrati raramente nell’Assemblea.
All’inizio, nel 1999, paradossalmente le relazioni con il Rappresentante Speciale erano migliori che ora. Ad ogni incidente nel quale sono stati uccisi membri della comunità serba queste ultime si sono allentate e la cooperazione è andata scemando.
Dal canto loro i leader politici serbi hanno scelto la strada del boicottaggio quale elemento cruciale della loro lotta politica ma, a dire il vero, sino ad ora neppure loro hanno ottenuto grandi risultati.
Se guardiamo indietro non molto è cambiato dal 1999 per i serbi del Kosovo, vivono ancora in encalves e non hanno un approccio molto costruttivo rispetto alla politica kosovara.
Sono trascorsi già alcuni anni da uccisioni di appartenenti alla comunità serba ma le indagini non hanno portato ancora a nulla. La partecipazione dei serbi del Kosovo alla vita politica kosovara può essere definita perlomeno occasionale se non inconsistente. Nelle municipalità dove i serbi rappresentano la maggioranza il livello di partecipazione alla vita politica non è maggiore a quello delle municipalità dove sono in minoranza.
La fiducia nel futuro, quella poca che rimaneva, è andata completamente persa nelle violenze del marzo 2004 e la comunità internazionale – compreso il Rappresentante Speciale – sono in forte difficoltà nel riconquistarla.
Si potrebbe aggiungere che i poteri – ingenti – in mano a Soeren Jessen-Petersen ed ai suoi predecessori poco significano se si è persa tra i cittadini del Kosovo la fiducia.
E’ anche vero però che non tutto è nelle mani del Rappresentante Speciale.
Costruire un futuro al Kosovo deve essere un esercizio congiunto. E prima lo capiranno anche i politici e la gente del Kosovo meglio sarà per tutti.