Dayton dieci anni dopo

Il 21 novembre 1995 veniva firmato l’Accordo di pace che pose fine alla guerra della Bosnia Erzegovina. Osservatorio sui Balcani vi dedica un’apposita sezione del sito. Interviste, video e reportages

21/11/2005, Luka Zanoni -

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Dayton, 21 novembre 1995

"In questi giorni viviamo, volenti o nolenti, nel passato e del passato. Nella testa passano le immagini del novembre 1995, giorni che sono stati da una parte fatali ma anche i migliori per tutti noi. Dayton ha portato la pace, ci dicono oggi giustificando l’esistenza di uno stato che non lo è. Dayton ha posto fine alla guerra, cercando di convincerci ogni volta che pensiamo sarebbe stato meglio, dieci anni fa, partire con le valige in mano per altri luoghi".

Sono le amare parole di Senka Kurtovic, direttrice dello storico quotidiano "Oslobodjenje", nell’editoriale da lei firmato lo scorso 20 novembre, la quale non nasconde al suo pubblico, dieci anni dopo, tutta quante le illusioni crollate in questa Bosnia Erzegovina di Dayton.

Il 21 novembre 1995 nella base di Wright Peterson nella piccola città dell’Ohio, i tre signori della guerra, Slobodan Milosevic, Alija Izetbegovic e Franjo Tudjman (gli ultimi due defunti, mentre il primo nel carcere olandese di Scheveningen in attesa di giudizio per crimini di guerra), dopo tre settimane di estenuanti trattative, raggiunsero l’accordo di pace, che da allora prese il nome di Accordo di Dayton. Meno di un mese dopo, il 14 dicembre, l’accordo verrà firmato ufficialmente a Parigi.

Quel giorno in Bosnia Erzegovina si fermava una delle più sanguinose guerre europee, durata tre anni e mezzo. Molti furono quelli che persero la vita, migliaia gli sfollati ed i rifugiati. Secondo l’autorevole Centro di ricerca di Sarajevo, diretto da Mirsad Tokaca, le vittime attestate della guerra in BiH sono meno di 100.000. Mentre sul numero di profughi e sfollati – il cui rientro è regolato dall’annesso VII dell’Accordo di Dayton – è intervenuto in questi giorni il ministro per i diritti umani e i profughi della BiH, Mirsad Kebo, secondo il quale circa il 50% dei profughi ha fatto rientro nelle proprie regioni, ma ci sarebbero ancora "186.000 persone in BiH che godono dello status di sfollati interni, e secondo le nostre stime circa un milione di cittadini residenti all’estero, in 137 paesi del mondo". (FENA)

La Bosnia Erzegovina di oggi, come hanno avuto modo di sottolineare ampiamente i quotidiani dell’area nelle edizioni odierne, è lungi dall’aver risolto i suoi problemi. Il paese è ancora lontano dall’aver raggiunto un carattere unitario. D’altra parte non va dimenticato che l’Accordo di Dayton – il migliore accordo dell’ultimo quarto di secolo, secondo colui che è considerato l’artefice del testo, Richard Holbrooke – ha di fatto congelato la situazione sul campo per tutti questi anni. Due entità, la Federazione BiH (croato-musulmana) e la Republka Srpska, più il distretto autonomo di Brcko. Innumerevoli livelli di amministrazione e di potere, un’infinità di ministeri e di funzionari. Una struttura istituzionale dove il potere decisionale è prerogativa più delle Entità che del governo centrale, retto da una presidenza tripartita, da un parlamento e da un consiglio dei ministri tutti rigorosamente ed etnicamente frazionati. Un Alto Rappresentante, non eletto, col potere di prendere decisioni e di sospendere dall’oggi al domani, grazie ai poteri di Bonn, politici e funzionari locali.

Certamente in questi dieci anni, diversi sono stati i cambiamenti, volti soprattutto a dare forza ad uno stato unitario, grazie alle riforme dell’esercito, della polizia, del sistema televisivo pubblico, ecc. Ciononostante sono ormai in molti a vedere i limiti di Dayton.

Se sul versante della società civile c’è una sorta di unanimità sull’affermare che Dayton andava bene per fermare la guerra, ma ora il suo tempo è finito, diversi sono gli attori politici locali, quelli della Republika Srpska in primis, i quali ritengono che l’Accordo di Dayton non si sia limitato a fermare la guerra, ma che abbia contribuito a costruire un buon sistema politico e sociale.

Occorre non dimenticare che l’Annesso IV di suddetto Accordo ha rappresentato e tuttora rappresenta la costituzione della Bosnia Erzegovina. Un documento che ha visto la luce in una lingua aliena a quella locale (l’inglese), un documento che, per l’appunto, serviva per interrompere una carneficina, ma che non ha mai avuto la forza, se mai lo poteva, di far uscire il paese dall’eredità della guerra. Anche perché dava vigore, in quanto soggetti politici, a criteri di collettività etnico-nazionali e non alla soggettività dei cittadini.

Incapacità delle leadership locali, ammantate di cieco nazionalismo, incapacità della cosiddetta comunità internazionale di vedere un futuro per la Bosnia Erzegovina.

Secondo il professore universitario Omer Ibrahimagic "La BiH oggettivamente resta prigioniera di queste collettività etniche, perché qui non ci sono cittadini. Per far sì che esistano, si dovrebbe avere una differente struttura e organizzazione del Parlamento della BiH, della Presidenza e del Consiglio dei ministri della BiH".

Oggi, queste questioni, regolate dagli articoli 4 e 5 della Costituzione della BiH (leggi ancora accordo di Dayton) sono oggetto di dibattito, per apportarvi alcune modifiche. Oggi, 21 novembre, alti funzionari della BiH sono a Washington per il decennale dell’accordo di Dayton, e per trovare un accordo unanime sulla modifica di Dayton. Sicché dieci anni dopo Dayton ci troviamo di fronte ad una seconda "iniziativa americana", che cerca di portare gli attori politici della BiH ad un consenso sui cambiamenti da apportare allo storico accordo.

A dieci anni da Dayton, la maggior parte dei cittadini della Bosnia Erzegovina si è resa conto che il proprio paese non è quello che si aspettava fosse. L’alto tasso di disoccupazione, la povertà, l’aumento della criminalità, la corruzione, la fuga di cervelli, le divisioni etniche nelle scuole, hanno proliferato in tutto questo tempo. Tanto che la buona notizia che l’UE ha dato il via libera per avviare i negoziati per la firma dell’Accordo di associazione e stabilizzazione con la BiH, primo passo verso la futura candidatura a membro dell’Unione, non solleva di molto l’umore della gente.

L’anelato futuro europeo a molti suona più come una chimera che come una realtà tangibile. Tuttavia la gente della Bosnia Erzegovina spera e continua a sperare che il futuro sarà migliore. Perché con o senza illusioni, la speranza è davvero l’ultima a morire.

Vai alla pagina dedicata ad OB al decennale di Dayton

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