Stanka e Maria nei campi di concentramento italiani
In occasione della giornata della memoria, un documentario radiofonico riporta alla luce la storia dei campi di concentramento italiani in funzione durante l’occupazione della Jugoslavia, e la vicenda della persecuzione del popolo rom. "Le storie di Stanka e Maria" è prodotto da Radioparole
Di Andrea Giuseppini*
Nella provincia di Udine vive da oltre sessanta anni una comunità rom di origine slovena. La maggior delle famiglie che la compone abita in case di proprietà o in confortevoli roulotte sistemate in terreni da loro acquistati. Alcuni dei loro membri svolgono dei mestieri che richiamano i lavori tradizionali di rom, come ad esempio la raccolta del ferro o la cura del verde. Ma tra loro si trovano anche operai, delle cosiddette badanti e qualche mediatrice culturale che opera soprattutto nelle scuole. Insomma, una comunità piuttosto lontana dagli stereotipi con cui di solito noi pensiamo ai rom.
In queste famiglie vive ancora qualche anziano testimone diretto delle vicende di questa comunità. E’ il caso, ad esempio, di Stanka.
Stanka è nata nel 1930 nella provincia di Lubiana. La sua è una famiglia numerosa – otto sono i fratelli – che vive spostandosi alla ricerca continua di piccoli lavori.
Nella primavera del 1941 la Germania e l’Italia invadono e conquistano la Jugoslavia, e il territorio di Lubiana viene di fatto annesso all’Italia fascista. Inizia così da un lato la resistenza jugoslava contro le truppe di occupazione e dall’altro una feroce e spietata repressione contro i civili sloveni accusati di collaborare con i partigiani.
Palese è anche l’intento dei fascisti di continuare e ampliare l’opera di snazionalizzazione slava già iniziata prima della guerra nei territori di confine e nell’Istria italiana. In questo quadro si inserisce, ad esempio, l’episodio del rastrellamento di Lubiana. Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942, i militari italiani circondano completamente la città con reticolati di filo spinato e arrestano 6.000 persone, un quarto della popolazione civile. Contemporaneamente vengono costruiti i primi campi di concentramento in cui deportare le persone arrestate.
E’ questo il contesto che fa da sfondo alla storia di Stanka e di altre famiglie rom slovene.
Stanka viene arrestata assieme alla madre e a tutti i fratelli nel 1942. Dopo qualche mese passato nelle carceri di Lubiana viene deportata nel campo di concentramento fascista dell’isola di Rab/Arbe in Dalmazia. Costruito in fretta nell’estate del 1942, il campo di concentramento di Rab non aveva baracche ma solo tende. Ben presto, per il sovraffollamento dovuto alle continue deportazioni, la scarsità di cibo e la mancanza di igiene, le condizioni dei prigionieri diventano drammatiche. Stanka racconta che le madri nascondevano i corpi dei bambini morti sotto la paglia per non perdere il diritto alla loro scarsa porzione di cibo.
Dopo qualche mese, anche su pressione della Croce Rossa e di alcuni esponenti della chiesa cattolica slovena, il regime fascista decide di spostare un certo numero di internati dal Campo di Rab a quello costruito a Gonars in provincia di Udine.
Stanka ricorda di essere arrivata a Gonars di notte. All’interno del campo c’erano solo donne, vecchi e bambini sloveni. Con loro altre famiglie rom. Ma le condizioni non migliorano molto. Racconta Stanka: "Mia mamma corse dietro un gatto perché voleva prendere il gatto, per mazarlo, per mangiarlo. Ma non l’ha preso. E’ scappato il gatto, iera più furbo".
Anche a Gonars i deportati muoiono. Alessandra Kersevan, autrice di una recente e documentata monografia sul campo di concentramento fascista, mette in rilievo nell’elenco dei deceduti il nome di due bambine rom morte per grave atrofia. Ricorda sempre Stanka: "Poi se morta un’altra bambina piccola. O dio… de fame. Poi forse anche se un po’ ammalata dentro, sai come succede… una bambinetta piccola, sua mama se chiamava Resa… se morta de fam, de fam, fredo, fam, tuto un insieme".
A Gonars morirono 500 sloveni e croati.
Dopo l’8 settembre del 1943 i fascisti abbandonano il campo di Gonars e i prigionieri si allontanano dal quel luogo.
Poco lontano da Gonars, la famiglia di Stanka e gli altri rom sloveni deportati si uniscono a una piccola comunità sinta italiana proveniente da Trieste, di cui fa parte Maria, l’altra protagonista del documentario sonoro. Tutti stanno scappando e cercando rifugio da una nuova minaccia. Dopo l’armistizio, infatti, i tedeschi occupano militarmente il Friuli Venezia Giulia.
Maria ricorda: "Venivano i tedeschi e noi si aveva molta paura. Entravano dentro il carrozzone e tiravano giù tutto, buttavano via il mangiare, le pentole e spaccavano coi piedi. E certe volte volevano anche picchiare. Io non so perché ce l’avevano con noi e gli ebrei. Non lo so perché, non lo so veramente perché". Maria racconta anche l’episodio di una giovane rom slovena violentata da sette nazisti.
Di questo gruppo di rom e sinti diversi furono deportati nei campi di sterminio in Germania. Alcuni non faranno mai ritorno, altri, tra cui la madre di Stanka e un fratello di Maria, riusciranno a sopravvivere.
Dopo la liberazione dal campo di sterminio di Ravensbruck, la madre di Stanka, torna a Lubiana alla ricerca della propria famiglia. Qui, fortunosamente, scopre che i suoi figli sono ancora in Friuli assieme agli altri rom.
Da allora Stanka e le altre famiglie risiedono in Friuli.
Il documentario sonoro che abbiamo realizzato in occasione del Giorno della memoria – prodotto da Radioparole e Opera Nomadi con il contributo dell’Assessorato alla cultura della Regione Friuli Venezia Giulia – raccoglie anche le testimonianze dello scrittore sloveno triestino Boris Pahor, deportato a Natzweiler, e della partigiana friulana Rosa Cantoni deportata a Ravensbruck.
*Radioparole. Il documentario radiofonico di Andrea Giuseppini "Le storie di Stanka e Maria" può essere ascoltato sul sito Radioparole.it