Una partita ad alta tensione
Due squadre in campo. Non si tratta però di una festa sportiva, ma dell’accusa rivolta dalla Bosnia Erzegovina alla Serbia Montenegro per aggressione e genocidio. Dopo 13 anni, sono iniziate le udienze di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale. Il pubblico assiste nervosamente. Nostro servizio da Sarajevo
Come se fosse una partita di calcio. Un derby di quelli al calor bianco. I sostenitori delle parti sono giunti con gli striscioni, i media contattano i propri inviati per chiedere come "sta la nostra squadra" e si augurano la vittoria. Ognuna delle due squadre presenta un consistente numero di stranieri, avvocati e professori di diritto internazionale che si sono schierati con gli uni o con gli altri. La gente commenta per le strade, come se fosse un evento sportivo. Ma non è un evento sportivo bensì una disputa giudiziaria. E gli striscioni non sono striscioni che incitano una squadra alla vittoria ma recano i nomi delle vittime del conflitto bosniaco.
È questo il clima che si respira in Bosnia ed Erzegovina all’inizio del processo di portata storica che deciderà la causa intentata nel 1993 da Alija Izetbegovic contro la Serbia e Montenegro.
A tale data infatti risale l’inizio del procedimento che ora vede contrapposti i due stati in un’aula di tribunale. Si era nel pieno della guerra e i bosniaci se la stavano passando piuttosto male, presi tra due fuochi, combattendo su due fronti contro serbi e croati bosniaci, che volevano assicurarsi la propria fetta di Bosnia. Nel marzo del 1993, sulla base della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, il governo bosniaco denunciò l’allora Jugoslavia per aggressione e genocidio. A quel tempo il governo bosniaco richiese dalla corte dell’Aja l’emanazione di misure provvisorie volte a fermare il conflitto. Richiesta che rimase inascoltata.
Ora, dopo un’attesa di quasi 13 anni, si è finalmente giunti all’udienza nel processo. Nel frattempo, una volta sopraggiunta la pace, la Bosnia ha aggiunto una richiesta di risarcimento: 100 miliardi di dollari per i danni arrecati dal conflitto.
13 anni dopo molti dei protagonisti del conflitto non sono più in circolazione, ma non per questo la questione ha perso la sua importanza. L’origine e la natura del conflitto sono infatti uno dei più grossi fattori di divisione nella Bosnia di Dayton. La domanda chiave è "aggressione o guerra civile" e a questa domanda le risposte sono diametralmente opposte, a seconda di chi sia interpellato. I serbi della Republika Srpska ribadiscono che il conflitto in Bosnia è stata una guerra civile e la Republika Srpska è stato il risultato di tale conflitto che ha permesso ai serbi di sopravvivere in Bosnia. Da parte opposta i bosgnacchi si ritengono vittime di un aggressione internazionale e di genocidio. La conseguenza di questo ragionamento è che la Republika Srpska è il frutto di tale genocidio e per tanto va abolita, ritornando alla Bosnia senza entità, malcelato sogno politico dei politici di estrazione bosgnacca. Come risulta chiaro, non è solo una disputa internazionale tra stati, ma il dibattito percorre tutta la Bosnia ed Erzegovina lungo le cicatrici lasciate dal conflitto.
Il dibattito è esacerbato dal fatto che, dopo un andamento incerto, i cambiamenti costituzionali sembrano essere vicino alla fase conclusiva, che permetterà alla Bosnia di scostarsi pian piano dall’architettura costituzionale di Dayton. A complicare ulteriormente le cose le elezioni previste ad ottobre di quest’anno: regolarmente durante ogni campagna elettorale i toni del confronto politico diventano più duri e quasi tutti i partiti si irrigidiscono su posizioni nazionalistiche e si ergono a difensori degli interessi nazionali del proprio popolo: da 15 anni a questa parte è questa la ricetta vincente per le elezioni in Bosnia ed Erzegovina. Ed è così che anche Dodik, nuovo primo ministro della RS dopo una crisi di governo, che viene generalmente considerato come un moderato, ritiene che l’intero caso non sia legale e che se per caso venisse data ragione alla Bosnia ed Erzegovina l’intero paese entrerebbe in una fase di instabilità. Il membro serbo della Presidenza tripartita, Borislav Paravac, ha invece recentemente cercato, senza successo, di ottenere una pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale bosniaca sull’intero caso. Secondo Paravac, infatti, le accuse di genocidio e aggressione non sono rivolte solamente alla Serbia e al Montenegro, ma anche alla Republika Srpska stessa e quindi mettono a rischio la struttura costituzionale bosniaca. Le parole di Dodik e di altre voci in Serbia e Montenegro, come quella del vice premier serbo Labus, fanno capire che l’intenzione serba è quella di non rivangare il passato e che per il bene della regione sarebbe meglio dimenticare la questione e guardare avanti. La classica pietra sopra: a testimonianza di questo atteggiamento vi sono stati numerosi tentativi negli anni scorsi di convincere la Bosnia ed Erzegovina a ritirare la denuncia, come per esempio l’offerta serba di ricostruire la moschea di Ferhadija a Banja Luka. Ma tali offerte sono state sempre respinte.
Il rappresentate bosgnacco della presidenza, Sulejman Tihic, che ha sostenuto la causa in questi anni, è invece nettamente a favore del processo. Per Tihic, è anche un po’ un modo di emulare il suo compaesano Izetbegovic, entrambi di Samac, e di ergersi quindi a leader indiscusso dei bosgnacchi.
E i croati? I croati di Bosnia mantengono un atteggiamento defilato e ambiguo su questa vicenda. Ivo Miro Jovic, membro croato della presidenza, ha diplomaticamente detto di augurarsi che la sentenza finale possa contribuire a creare un futuro migliore nell’intera regione. Se da parte croato-bosniaca infatti vi possono essere le stesse rivendicazioni che i bosgnacchi fanno nei confronti dei serbi (la Croazia ha intentato una causa analoga contro Serbia e Montenegro), i croati bosniaci potrebbero esporsi alle stesse accuse che ora i bosgnacchi rivolgono ai serbi.
Il processo è iniziato dopo un’attesa di 13 anni. La portata del processo è storica, dato che finora la Corte Internazionale di Giustizia non aveva mai avuto a che fare con un caso simile. Immagini televisive, testimonianze illustri, sentenze rese dal tribunale dell’Aja, in particolare quelle su Srebrenica nei confronti del generale Krstic, saranno gli elementi che verranno presi in considerazione dalla Corte. Il caso appare estremamente delicato e complesso: se le prove portate da parte della Bosnia ed Erzegovina sono notevoli ed estremamente rilevanti, da parte serba si cerca di argomentare che la Corte dell’Aja non ha giurisdizione sul caso. Un’altro ostacolo di notevoli dimensioni è rappresentato dal fatto che l’accusa di genocidio è estremamente difficile da provare e in particolare bisognerà vedere come un intero stato possa essersi reso responsabile di tale crimine: se così fosse la Serbia e il Montenegro sarebbe il primo stato nella storia a macchiarsi del crimine dei crimini.
Le udienze del processo dureranno fino ai primi giorni di maggio, mentre il verdetto finale dovrebbe arrivare verso la fine dell’anno.