Slovenia: verso lo stato di polizia?
In Slovenia si prevedono modifiche di legge atte a regolare l’operato dei servizi segreti e della polizia. Questi ultimi potrebbero godere di ampi poteri di controllo sulle telecomunicazioni e sulle intercettazioni. Indignata e preoccupata l’opposizione
E siamo arrivati al Patriot Act made in Slovenia. L’allarme è scattato dopo che alcuni giorni fa il "Dnevnik"e la "Mladina" – unici media stampati sloveni ancora indipendenti – hanno pubblicato i contenuti confidenziali, filtrati alla stampa da una talpa, delle modifiche di legge preparate dal governo che in un futuro molto prossimo dovrebbero regolare, agevolandolo, l’operato dei servizi segreti e della polizia.
Che i poteri di quest’ultima si stessero incrementando notevolmente lo si era capito dalle recenti modifiche alla legge sul diritto d’asilo di cui anche OB (Osservatorio sui Balcani) ha di recente riferito. Ma gli ampi poteri della polizia e dei servizi segreti ora toccano direttamente tutti, non solo i potenziali rifugiati o immigrati extracomunitari.
Non si è ancora sopita la polemica sul drastico taglio ai diritti dei richiedenti asilo che il governo ha già approntato e proposto un pacchetto di importanti modifiche alla legge che regola le attività della SOVA, i servizi segreti sloveni. Le modifiche investono uno degli aspetti più delicati del lavoro dell’intelligence; le intercettazioni telefoniche e on-line, cioè il controllo delle telecomunicazioni tra singoli individui. Il governo si appella alla peculiarità della situazione indotta dalla lotta al t[]ismo e alle questioni di sicurezza che fanno seguito alla partecipazione della Slovenia nelle operazioni Nato in Iraq e propone di estendere a tempo indeterminato il mandato giudiziario per le eventuali intercettazioni.
Il sistema attuale concedeva alla SOVA un primo mandato giudiziario di tre mesi, da rinnovare, se reputato necessario, ogni mese ma al massimo per tre volte. La pratica dell’ intercettazione era quindi consentita per un periodo di tempo limitato; un massimo di 6 mesi. Stando alla modifica di legge i servizi segreti potranno rinnovare il proprio mandato ogni tre mesi, senza limiti di tempo, all’infinito. La novità preoccupa perché sotto tiro non ci sono solamente i potenziali t[]isti, bensì chiunque sia sospettato o sospettabile di ledere con una »attività segreta gli interessi strategici della Slovenia«.
Nel mirino, insomma potrebbero finire tutti quanti non condividono alcune delle scelte »strategiche« del paese. Un esempio? La partecipazione slovena alla guerra in Iraq. Ma c’è chi avverte che le modifiche proposte fanno a pugni con la costituzione dove il garantismo venne tutelato proprio grazie al nefasto ricordo del potere illimitato esercitato, in tempi jugoslavi, dai servizi segreti civili e militari (UDBA, KOS e VOS). La proposta di legge, formulata dal ministro della giustizia Lovro Šturm, alto dignitario dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, potrebbe perciò finire ben presto nel setaccio della Corte costituzionale.
Ma le controverse modifiche riguardanti la SOVA sono solo il primo, anzi il secondo atto della nuova strategia di »sicurezza preventiva« messa a punto dal governo Janša. Quasi contemporaneamente il "Dnevnik" pubblicava una seconda rivelazione, questa volta sui piani del ministero degli interni guidato da Dragutin Mate. Classe 1963, croato di Čakovec, Mate è un veterano della guerra dei 10 giorni col grado di colonnello dei reparti speciali. Nel 1996 venne indagato per un misterioso caso di spionaggio a danno dell’ambasciatore sloveno a Sarajevo Drago Mirošič. A quel tempo l’attuale ministro era l’aggregato militare presso l’ ambasciata slovena in Bosnia Erzegovina. Venne esonerato in tronco dall’incarico dopo la scoperta, diventata pubblica, che aveva informato a più riprese l’intelligence militare (OVS) e il ministero della difesa sugli incontri e la vita privata dell’ambasciatore e degli altri diplomatici sloveni a Sarajevo.
Ora il ministro Mate è per il premier Janša il collaboratore più fedele e affidabile. Ed è proprio lui che ha firmato la proposta di legge che aumenta drasticamente i poteri della polizia anche sul fronte della »prevenzione« della criminalità e del t[]ismo. L’11 settembre sloveno si chiama Silvo Plut, un serial killer che ha ucciso tre persone e ne ha ferito una quarta, lasciato incomprensibilmente libero di portare a termine i suoi omicidi, nonostante a Lubiana fosse già da tempo arrivato un mandato di cattura serbo per l’uccisione di una donna a Belgrado. Solo dopo il terzo omicidio, particolarmente raccapricciante, consumato in Slovenia, la polizia si è mossa con una caccia all’uomo senza precedenti, consegnando infine l’omicida alla giustizia ma suscitando accese polemiche sull’ambiguità dell’operato delle forze di sicurezza e della giustizia.
Ora, secondo quanto è trapelato, la polizia otterrà per legge un mandato permanente con la facoltà di raccogliere dati personali, spiare e controllare quanti, »con il proprio comportamento legittimino il fondato sospetto che intendano commettere o preparare un reato punibile, secondo il codice penale, con una pena minima di tre anni di reclusione«. Ma sì, un »Minority report« di spielberghiana ispirazione tutto sloveno. Indagini e forse anche azione repressiva »preventiva«.
Incalzato dai media (ancora) indipendenti Mate è uscito allo scoperto e ha cercato di tranquillizzare in TV i cittadini: niente paura, quanto propone il governo è solo una misura necessaria, richiesta dal trattato di Schengen nel suo articolo 99. Insomma, sarebbe di nuovo l’Unione Europea a reclamare il controllo e le intercettazioni preventive.
Indignata l’opposizione con la solita eccezione dell’ultras nazionalista Zmago Jelinčič che applaude ai provvedimenti governativi reputandoli persino troppo timidi. Ma il contesto in cui si profila lo scivolone verso uno stato di polizia vero e proprio non allevia certo le preoccupazioni. Il governo ha messo ormai le mani sui principali media del paese; la TV, grazie alla nuova legge, è controllata dalla maggioranza politica e nel maggiore quotidiano del paese, "Delo", si è appena consumata la sostituzione forzata del direttore e del caporedattore responsabile. A guidare la redazione è ora Peter Jančič, osteggiato dai giornalisti ma protetto e confermato senza se e senza ma dal consiglio d’amministrazione scelto da Janša e che ha subito esordito con delle colonne al vetriolo rivolte al suo collega del "Dnevnik", Miran Lesjak.
Sul "Dnevnik", quotidiano la cui struttura del capitale è preservata da un’ingerenza diretta del governo, le pressioni sono economiche. La grande catena commerciale austriaca Hofer, ad esempio, i cui annunci fruttavano al "Dnevnik" lauti guadagni, ha dovuto ritirare la sua pubblicità dalle pagine del quotidiano in cambio dei permessi governativi. Solo dopo una tiratina d’orecchi da Vienna, la Hofer ha ripreso gli annunci sul quotidiano disobbediente. Ma sotto attacco dei media governativi sono un po’ tutti i commentatori e persino i vignettisti critici. Il noto politologo, docente e commentatore del "Dnevnik" Vlado Miheljak è sotto tiro dalle pagine di "Demokracija", la rivista ufficiale del SDS, il partito di Janez Janša. Per lui nel dossier pubblicato c’è persino la richiesta di un approccio psichiatrico.
La cosa più curiosa comunque e che la doccia più fredda, per un governo che si ispira alle metodologie della destra neoconservatrice americana, è arrivata paradossalmente proprio da Washington. Nel rapporto annuale dello State department sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, al governo sloveno vengono rimproverati la nuova legge sulla TV e l’atteggiamento nei confronti dei media, gli abusi della polizia e il mancato rispetto dei diritti dei Rom e dei cancellati. Una critica che certo non arriva da sinistra.