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Kosovo: casa dolce casa

E’ nata in Kosovo una nuova istituzione che si occuperà dei casi di immobili, terreni agricoli, esercizi commerciali illegalmente occupati. Di questi soprusi in questi anni sono state vittime soprattutto le minoranze. Ora cambierà qualcosa?

12/04/2006, Saša Stefanović - Pristina

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Rientri - di Giuliano Matteucci

Sono passati 7 anni dall’intervento NATO, 7 anni dalla firma degli Accordi di Kumanovo che posero fine alla guerra. Poi sono arrivati l’UNMIK, le istituzioni provvisorie, le elezioni di un governo centrale e di amministrazioni locali. Ma alcuni nodi cruciali in Kosovo non sono stati ancora sciolti.

Tra questi sicuramente la questione della restituzione di immobili illegalmente occupati durante e dopo il conflitto del 1998-’99. Sono state infatti decine di migliaia gli sfollati che hanno dovuto in quel periodo lasciare il Kosovo e le proprie proprietà e in molti casi non hanno più potuto riprendervi possesso. Molti di questi casi rimangono ancora irrisolti anche perché la questione è molto calda dal punto di vista politico.

La problematica va inserita inoltre nel quadro più ampio dell’amministrazione della giustizia, ancora molto problematica in Kosovo. Alla fine del 2005 vi erano ad esempio 143.000 casi pendenti presso le corti del Kosovo. Secondo alcuni analisti le corti del Kosovo avrebbero un ritardo di 5 anni per quanto riguarda di casi di violazione dei diritti civili, 3 anni sui casi di reati penali, 4 mesi per quanto riguarda i casi di violazione del codice civile.

La magistratura kosovara accusa dei ritardi il Dipartimento di giustizia dell’UNMIK, aministrazione internazionale, al quale sono riservate ancora notevoli competenze. Le ragioni del ritardo sarebbero individuabili nell’insufficente numero di giudici e pubblici ministeri e di salari troppo miseri per un lavoro di tale responsabilità.

Il problema in merito al processo di restituzione di case e terreni non riguarda esclusivamente l’individuazione certa dei proprietari ma anche se questi ultimi torneranno o meno a prenderne possesso, se le corti prenderanno decisioni rapide per favorire questo ritorno e se contemporanemanete la situazione economica e di sicurezza in Kosovo renderà questo ritorno sostenibile. Tutto questo naturalmente non può prescindere dall’esito dei negoziati sullo status finale del Kosovo in atto in questi mesi tra Pristina e Belgrado.

Sino ad ora la questione delle proprietà immobiliari è stata gestita da un apposito ufficio UNMIK, il Housing and Property Directorate, che, secondo fonti non ufficiali, avrebbe dato risposta sino ad ora al 70% dei casi che sono stati sottoposti. Ma molti di coloro i quali si sono visti restituire l’appartamento o la casa dall’HPD non sono poi stati in grado di rientrare e spesso si sono trovati obbligati a vendere a prezzi sensibilmente più bassi rispetto al reale valore immobiliare.

In questi giorni l’HPD sta passando la mano ad una nuova istituzione, la Kosovo Property Agency (KPA), lanciata da una risoluzione UNMIK che ne specifica struttura e compiti. Spetterà a quest’ultima ricevere, registrare i reclami ed assistere le corti locali nel risolvere questioni inerenti ad appartamenti e case private, proprietà immobiliari, terreni agricoli e proprietà commerciali.

Dopo una procedura presso la KPA, dove verranno accolti o meno, i reclami verranno inoltrati alle corti locali che avranno 45 giorni per confermare o no la decisione della KPA oppure per richiedere alla KPA ulteriori indagini. E’ prevista anche la possibilità di adire ad un livello ancora superiore, quello della Corte suprema del Kosovo.

Per l’UNMIK l’istituzione del KPA costituisce un momento che tutti coloro i quali hanno visto usurpati i propri diritti di proprietà aspettavano da anni e che garantirà tempi rapidi e pieno accesso alla giustizia.

Secondo alcune fonti potrebbero arrivare a circa 20.000 i reclami presentati dalla comunità serba del Kosovo e da appartenenti ad altre minoranze.

Ma se l’UNMIK è ottimista non tutti lo sono, in particolare esponenti della comunità serba. Innanzitutto viene contestato il fatto che la KPA si occuperà di casi di violazione di proprietà avvenuti tra il 27 febbraio del 1998 ed il 20 giugno 1999. Quindi un lasso di tempo che riguarda il conflitto aperto e non la fase immediatamente successiva dell’arrivo in Kosovo della comunità internazionale e i danni e le violazioni della proprietà immobiliare dei serbi del Kosovo e delle altre minoranze avvenute in quella seconda fase.

Altra preoccupazione è quella che sfollati e rifugiati, in particolare quelli in Serbia e Montenegro, ricevano adeguate informazioni in merito alle modalità per adire alla KPA ed infine i rappresentanti serbi temono che alla fine le decisioni vengano prese in modo arbitrario dalle corti locali dato che, con tutta probabilità, il diretto interessato non avrà per questioni di sicurezza probabilità di accedervi e perché sono costituite quasi sempre da giudici esclusivamente albanesi.

Se a questo sommiamo le difficoltà generali del sistema giudiziario kosovaro la speranza che, nonostante questo nuovo organismo, si riesca ad affrontare seriamente la questione della restituzione degli immobili alle minoranze rimane esigua. Vi sarà una volontà forte dei giudici di affrontare celermente i casi di proprietà di serbi occupate illegalmente? Perché farlo in un contesto ancora incerto e dominato dai negoziati sullo status?

Lo show continua.

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