La morte dei villaggi macedoni
Nel 2001 erano 121, ora sono 147. Sono i villaggi macedoni rimasti deserti, un trend sempre più marcato avviatosi mezzo secolo fa. E c’è chi spera nel rilancio dello sviluppo locale e che le migliaia di emigrati macedoni ritornino per la pensione a vivere immersi nelle "bellezze della campagna"
Silenzio, desolazione, case diroccate, assenza di persone. Questo è il tratto comune della campagna macedone. Per quanto strano possa sembrare per un territorio così piccolo come la Macedonia, la sua parte rurale sta morendo. La gente sta lasciando i villaggi e sta andando verso le città. Principalmente nella capitale. Questa è la situazione, per chi non ha già deciso di andare all’estero. Non si tratta di un processo nuovo. Esso è iniziato una cinquantina di anni fa. Ma col tempo le sue conseguenze sono sempre più visibili. Ed oggi il numero dei villaggi abbandonati è piuttosto allarmante.
Oggi in Macedonia ci sono 458 villaggi che hanno meno di 50 abitanti, è il dato che emerge dall’ultima indagine dell’Ufficio statale per le statistiche. C’è un alto rischio che rimangano completamente disabitati. Questo numero comprende almeno un terzo di tutte le comunità del paese. Facendo un confronto, nel 1953 in Macedonia c’erano solo 20 villaggi che avevano meno di 50 abitanti. Secondo il rapporto dell’UNDP del 2001, solo alcuni anni fa questo numero era di 360. Ciò significa che nell’arco di pochi anni il numero è cresciuto di oltre 100 villaggi.
L’Ufficio statale per le statistiche riporta inoltre un totale di 147 villaggi che attualmente sono completamente vuoti. Il loro numero nel 2001, secondo il rapporto dell’UNDP, era di 121.
Inoltre, in questo gruppo di 458 villaggi, ce ne sono oltre 100 che hanno meno di 10 abitanti. Il numero può forse essere valido per i calcoli statistici, ma è chiaro che anche questi villaggi praticamente sono già vuoti.
Gli anziani sopra i 64 anni di età rappresentano la porzione più alta della popolazione che abita in questi villaggi.
I villaggi nelle zone collinari e montagnose e nelle aree più remote sono tra quelli che più subiscono lo spopolamento. I villaggi nella parte centrale della Macedonia, attorno alla città di Veles sono fortemente affetti da questo trend negativo. La municipalità di Stip nella parte orientale del paese detiene il record di 22 villaggi con un numero di residenti ad una cifra sola o poco meno di due.
C’è una semplice parola che accomuna i vari motivi di abbandono: povertà rurale. Le scarse entrate dall’agricoltura, ma in misura più importante la scarsità dei servizi di base come quello sanitario, l’educazione, servizi sociali e la protezione dei bambini sono le sfaccettature della povertà nella provincia rurale. Ad esempio ci sono ancora villaggi che non hanno l’accesso all’elettricità. Per non parlare delle strade o delle fognature.
La popolazione rurale si scontra con un deficit di educazione e di alfabetizzazione che in aggiunta ha una forte connotazione di genere: il 75% degli analfabeti sono donne; il 58% degli adulti con un incompleto livello di educazione elementare vive nelle aree rurali.
L’occupazione nell’agricoltura è cresciuta nella decade scorsa, processo comune nei paesi in transizione e che ha assorbito i lavoratori esclusi dal fallimentare processo di privatizzazione, ciononostante le entrate dei contadini sono rimaste basse.
I problemi della società rurale d’oggi non si basano soltanto sulla transizione economica ma sono anche il risultato del basso livello di sviluppo economico e sociale degli anni scorsi.
Secondo gli esperti, è stato il processo di industrializzazione forzata negli anni ’50 che ha lasciato delle conseguenze negative sui villaggi macedoni, quando i contadini venivano forzati a lasciare la terra e ad andare nelle città per diventare proletari. Ma da allora molto di ciò è stato aggravato dal naturale processo di migrazione, e dall’incapacità della autorità di creare e implementare una possibile conservazione delle campagne e una strategia di sviluppo.
La Macedonia ha un Bureau per le aree sottosviluppate che è essenzialmente lo strumento che il paese ha per affrontare lo sviluppo rurale, tuttavia il governo lo sta "vendendo" alla UE come uno strumento per lo sviluppo regionale. Il Bureau è l’erede del meccanismo per lo sviluppo rurale che esisteva nella ex Jugoslavia, sia a livello federale che a quello delle singole repubbliche, ed esso essenzialmente implementa una strategia che è gli obiettivi di assistenza delle aree rurali della Macedonia.
Il Bureau può creare delle sovvenzioni per le infrastrutture economiche (strade, acqua e sistemi di approvvigionamento, fognature, ecc.) così come sovvenzioni per quelle non economiche (scuole, librerie, centri culturali, ecc.) contribuire agli investimenti in progetti commerciali, ottenere bonus per la creazione di posti di lavoro, dare dei fondi per la ricerca, provvedere o organizzare training, coprire i benefit sociali o sanitari, e persino fornire l’aiuto di scuolabus per i bambini. È facile dire che il Bureau agisce su obiettivi operazionali che sono già stati sviluppati nel corso degli anni. Il problema è che non ha i fondi per poter apportare un contributo sostanziale. Nonostante la legislazione determini che il budget del Bureau sia dell’1% del PIL, in realtà, i fondi che l’organo riceve sono tra il 10 e il 30% di questa somma, e alcune volte anche meno.
Secondo il professor Nikola Panov dell’Istituto geografico di Skopje, c’è una netta correlazione tra lo spopolamento dei villaggi macedoni e la crescita negativa della popolazione che si è avuta nella scorsa decade.
"Ci muoviamo nella direzione completamente sbagliata e non abbiamo la vaga idea su come aiutare i villaggi macedoni", afferma il professor Panov, "la terra sta per essere abbandonata e allo stesso tempo noi continuiamo a dire che l’agricoltura è la spina dorsale della nostra economia".
Il professor Panov avanza una strategia per far rivivere la campagna macedone. Egli sostiene che alcuni villaggi necessitino di tornare indietro a lavorare la terra ma la chiave per gli altri dovrebbe essere quella di ravvivare l’artigianato o forme di turismo alternativo. Egli argomenta inoltre che molti della diaspora macedone considererebbero l’idea di ritornare e trascorrere i giorni della loro pensione nella terra natale, solo se i villaggi potrebbero offrire buone condizioni per il ritorno.
"Ci sono circa un milione di persone nel mondo che hanno origine macedone. Sono convinto che molti di loro, specialmente i pensionati ritornerebbero per trascorrere il resto della loro vita nella bellezza della campagna macedone, se verranno create le condizioni adatte", afferma il professore Panov. Egli offre un confronto con l’esperienza della Slovenia la cui campagna è una destinazione scelta da molti pensionati dei paesi dell’UE, potendo contare su un buon ambiente e bassi costi.
Questa potrebbe essere una strategia da esplorare in un medio lungo termine. Ma prima di questo, e ciò è chiaro come il sole, senza andare troppo nei dettagli, la Macedonia necessita immediatamente di fare qualcosa per la sua campagna. Ha già i meccanismi e la politica per poterlo fare. Necessita di assicurarsi i fondi.