Il gay pride divide i rumeni
Estrema destra e cristiani ortodossi attaccano il gay pride di Bucarest, ma la polizia interviene. "Vogliamo entrare nell’Unione Europea, non a Sodoma e Gomorra", afferma un vescovo. L’eredità del periodo comunista
Di Vlad Telibasa, Bucarest, per BIRN, Balkan Insight, 8 giugno 2006 (titolo originale: "Gay Pride Parade Divides Romanians")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta
"Andatevene dalla Romania, nessuno vi vuole qui", urlava un gruppo di circa cento tra attivisti di destra e cristiani ortodossi all’indirizzo degli attivisti gay che sfilavano per Bucarest il 3 giugno scorso.
Mentre i manifestanti, che brandivano crocifissi e cartelli su cui si leggeva "L’omosessualità è peccato", cercavano di impedire la sfilata, gli attivisti gay rispondevano col suono dei fischietti, cantando canzoni patriottiche e scandendo "Basta con l’omofobia!"
Quando alcuni militanti hanno iniziato a gettare uova, sassi e bottiglie di plastica, la polizia è intervenuta per proteggere la sfilata, lanciando gas lacrimogeni e arrestando circa 15 persone. Un agente è rimasto ferito.
Anche se la violenza che ha segnato la seconda marcia del gay pride a Bucarest è un segno evidente delle passioni che questo argomento ha il potere di suscitare, il fatto che la polizia sia intervenuta – e dalla parte di chi sfilava – sta invece ad indicare quanti passi avanti abbiano fatto in Romania le rivendicazioni di uguaglianza dei diritti per ogni genere e orientamento sessuale, rispetto anche solo a pochi anni fa.
"Fortunatamente la polizia che ci proteggeva è stata estremamente responsabile e ha fatto un buon lavoro", ha detto Octav Popescu, uno degli organizzatori. "Altrimenti, sarebbe potuto succedere di tutto, perché la Romania ha ancora dei problemi ad accettare le minoranze".
Nonostante la virulenta omofobia incontrata, gli attivisti gay sostengono di aver raggiunto un obiettivo chiave.
"Siamo riusciti a renderci visibili e a mostrarci al mondo, alla luce del giorno", ha dichiarato a Balkan Insight Florin Buhuceanu, leader del gruppo per i diritti degli omosessuali Accept.
Buhuceanu ha sostenuto che la marcia ha anche attirato l’attenzione sul tema della legalizzazione delle unioni omosessuali, che la Romania non riconosce.
In un gesto simbolico, il 4 giugno, Buhuceanu ha sposato il suo compagno spagnolo, in una cerimonia religiosa tenuta da un pastore protestante degli Stati Uniti.
Mentre gli organizzatori delle marce del Gay pride suggeriscono che la Romania sta lentamente accettando l’esistenza di gay e lesbiche, a cinque anni di distanza dalla depenalizzazione dell’omosessualità, il pubblico nel suo insieme vede ancora come offensivi i matrimoni gay e le convivenze civili.
Uno dei principali oppositori delle manifestazioni pubbliche dei gay – e specialmente dell’idea di matrimoni tra persone dello stesso sesso – è la Chiesa ortodossa rumena, cui appartiene più dell’80 per cento dei 22 milioni di rumeni.
"Una marcia come quella organizzata dalle organizzazioni omosessuali è un oltraggio alla morale e alla sacra istituzione della famiglia, e costituisce un reale pericolo per i più giovani, esponendoli alla corruzione morale", ha detto il vescovo Ciprian Campineanul commentando la parata.
La Chiesa ha severamente criticato le autorità per aver autorizzato la sfilata, definendola "incostituzionale" e "offensiva per la maggioranza dei cittadini".
La Chiesa ha esortato le autorità a mantenere leggi che proibiscano quella che essa definisce "la propaganda omosessuale", e ha attaccato l’Unione europea per aver fatto pressione sulla Romania affinché cambiasse le sue leggi sull’omosessualità.
"Noi vogliamo entrare nell’Unione europea, non a Sodoma e Gomorra", ha affermato recentemente un importante vescovo della Chiesa rumena.
La Chiesa ha una grande influenza sulle opinioni della gente comune. Secondo la maggioranza dei sondaggi, più del 90 per cento dell’opinione pubblica ha più fiducia nella Chiesa che in ogni altra istituzione pubblica.
Le posizioni della Chiesa in materia di sesso sono condivise entusiasticamente dai movimenti di estrema destra, specialmente da un gruppo chiamato Nuova destra, che il 3 giugno ha organizzato la sua contromanifestazione, a sostegno dei valori della famiglia e della religione.
"Non abbiamo nulla contro gli omosessuali, solo non li vogliamo vedere" ha spiegato un ventenne partecipante alla marcia, che reggeva uno striscione con simboli neonazisti e aveva un distintivo appuntato al petto. "Che se ne vadano dalla Romania. Sono una minoranza, devono obbedire alla maggioranza".
Da parte loro, gli attivisti gay imputano alla Chiesa il fatto che la maggioranza dei rumeni ancora veda l’omosessualità come un peccato e una malattia. "L’atteggiamento della Chiesa è inappropriato, come il suo messaggio che, come si è visto, legittima la violenza nelle strade", ha detto Florin Buhuceanu.
Un recente rapporto del gruppo per i diritti umani Amnesty international ha dipinto un quadro fosco, di diffusa intolleranza in Romania in materia di orientamenti sessuali.
Il rapporto, pubblicato in maggio, sostiene che il 40 per cento dei rumeni vorrebbe bandire l’omosessualità dal Paese. Ha ritratto livelli di ostilità e di discriminazione pari solo a quelli rilevati contro la vasta e impopolare comunità Rom del Paese.
Csaba Asztalos, responsabile del Consiglio nazionale contro le discriminazioni, CNCD, ha affermato che la Romania ha aspettato troppo a lungo prima di affrontare questa spinosa materia.
"L’omosessualità era un soggetto tabù nella Romania del periodo comunista, e tale è rimasto nel corso degli ultimi 15 anni", ha detto. "Noi abbiamo depenalizzato l’omosessualità molto tardi, in confronto alla maggior parte degli altri Stati ex comunisti, perciò la Romania ha bisogno di discutere apertamente di questo tema sensibile, per far sì che la gente accetti le differenze".
Il sociologo Mircea Kivu concorda. Confondere le questioni morali e religiose sull’omosessualità con i diritti umani degli omosessuali in quanto cittadini ha creato dei problemi.
"Mentre i gay chiedevano normali diritti civili, la Chiesa assumeva il ruolo dello Stato e cercava di imporre il suo punto di vista religioso", ha detto.
"Questa non deve diventare la norma. Ma ci vorrà del tempo prima che i rumeni diventino più tolleranti".
Vlad Telibasa è un giornalista della testata web HotNews.ro. Balkan Insight è la pubblicazione online di BIRN