Di quale guerra, di quale pace?
L’incontro tra due culture, serba e italiana, e due diverse esperienze di pratica teatrale ha dato luogo ad una performance teatrale che indaga sulla ricerca continua della propria identità e sulla guerra nelle sue differenti forme e declinazioni
Di Ramona Parenzan
Intervista a Giulia Innocenti Malini e Sinisa Peulic (*)
Di cosa tratta la performance?
La performance, che attualmente è nella fase di studio per uno spettacolo teatrale, indaga due temi: la ricerca continua della propria identità in un mondo in cui sembra non esserci più spazio per il coraggio di affrontare il proprio destino e la guerra nelle sue differenti forme e declinazioni, come esperienza in cui riemerge in tutta la sua tragicità la figura dell’eroe.
In particolare abbiamo deciso di esplorare questi due temi, che rappresentano per noi una forte necessità di rielaborazione anche di condizioni e di domande personali.
Siamo a Belgrado negli anni ’90, nella notte in cui un uomo seduto ad un tavolo dove maneggia diverse armi, si interroga sul suo destino ripensando al suo passato in un intreccio drammaturgico dove si muovono ricordi personali, accanto alla storia reale e mitica del suo popolo.
In questa performance la condizione del personaggio è stata per noi la possibilità di incontrare i grandi temi dell’eroe, del destino ineluttabile ma anche i temi della guerra e del mito, come riferimenti forti che sembrano assopiti nella cultura contemporanea e che in questa mancanza ritornano ad esprimere tutto il loro portato tragico.
Qual è stata l’occasione, quali gli stimoli culturali e le motivazioni personali che vi hanno portato a tessere insieme il testo e a far nascere, passo dopo passo, la performance?
Il progetto è un percorso di ricerca artistica di laboratorio che nasce dall’incontro di due esperienze diverse di pratica teatrale: un attore ed un trainer di teatro sociale.
Ma è anche l’incontro tra due culture – quella serba e quella italiana – tra due generi – un uomo e una donna – e tra due mondi profondamente diversi che si spingono curiosi verso il confronto e la ricerca artistica, in virtù della comune necessità di indagare il senso della propria vita e della propria identità attraverso l’esperienza del teatro.
Il teatro per noi è soprattutto il luogo del senso, dove si esprime una necessità che ci aiuta a vivere, un’esperienza in cui ritrovare il coraggio della propria identità e del proprio progetto.
In che senso la performance vuole e riesce a decostruire gli stereotipi del guerriero serbo che tuttora sono molto vivi sia in Serbia sia in "occidente"?
Il senso è quello di mostrare la ricchezza di una storia fatta di miti e di archetipi che appartengono a tutto il bacino europeo e che nel popolo serbo continuano a giocare con forza, anche se a volte in modo un po’ anacronistico e irreale.
È come se in quella situazione culturale la vivezza di miti e riti ci permettesse di riportare in vita anche altre mitologie, tornando a fare dell’arte e del teatro un luogo veramente significativo di rispecchiamento e di confronto per la società.
In questo senso, a nostro parere, lo spettacolo indirettamente, perché non è il suo scopo, riesce a rimettere in movimento un pensiero ed un atteggiamento non pregiudiziale nei confronti del popolo serbo, dando vita piuttosto ad un incontro di reciproca scoperta e valorizzazione culturale.
In un tratto molto suggestivo della piéce viene citato un brano bilingue tratto dal dall’epica popolare serba: si parla di Milos, del Principe Lazar, delle sentinelle che, appostate sugli alberi, sorvegliavano dall’alto i villaggi affinché non divenissero preda e bottino degli ottomani. Potete raccontare come avete trovato il materiale letterario? Avete avuto problemi con la traduzione?
La raccolta dei materiali inerenti alla cultura serba non è stata molto semplice. Alcuni libri erano già in possesso di Sinisa, altri sono stati recuperati da amici e parenti. Altro materiale più storico e di contestualizzazione politica ci è stato dato da amici mediatori culturali.
Il vero problema è stato quando abbiamo cercato qualcuno che ci aiutasse a tradurre i versi dell’epica popolare serba. Dobbiamo dire che siamo rimasti molto colpiti da quanto ancora sia ritenuto pericoloso questo patrimonio letterario che risale al ‘400. Abbiamo chiesto a più persone un aiuto nelle traduzioni e nella resa epica e poetica dei testi, in modo che potesse valorizzare la musicalità e la ritmica, ma non siamo riusciti a trovare nessuno che volesse aiutarci, con giustificazioni che andavano dalla mancanza di tempo ad una diretta dichiarazione di "non essere d’accordo sul fatto che certi materiali venissero tradotti in altre lingue divenendo così leggibili e fruibili per altre culture". Forse già questa chiusura è segno di pregiudizi e di negazione a priori di ogni possibilità di incontro con l’altro e con la sua specificità culturale.
Sinisa, quale speri sia l’effetto che può suscitare agli spettatori della vostra performance?
Dipende, in generale spero che questo spettacolo sia per il pubblico, come lo è per me, molto emozionante, che si possa piangere ma anche ridere, in alcuni tratti. Mi sembra che pur essendo così vicini territorialmente, infondo ci si conosca veramente poco. L’occidente, e in particolare gli italiani, non conoscono molto della nostra storia e della nostra cultura, se non in riferimento agli avvenimenti degli ultimi conflitti balcanici in cui il popolo serbo ha sofferto moltissimo e nonostante tutto questo è stato rappresentato dai media soltanto come colpevole e mostruoso.
Con questo spettacolo vorrei restituire al pubblico la possibilità di vedere in questo personaggio la complessità della nostra storia e della nostra cultura, fatta certamente di molte sfumature e contraddizioni, ma anche di grandi sentimenti e di una tenacia non comune.
Cosa possono capire, anche a livello emotivo coloro che si lasciano coinvolgere dallo spettacolo pur senza sapere nulla o quasi della storia e della letteratura riguardanti i Balcani e le vicende belliche?
Attraverso le vicende di questo personaggio, che sta al margine della socialità e della legalità, gli spettatori possono comprendere quanto la vita riesca ad immergerti in un contesto che segna la tua esperienza fino in fondo, e questa è una condizione universale per le persone, e poi si possono aprire di fronte a te delle scelte a cui non sempre si risponde in modo razionale o adeguato.
A volte ci si riferisce a leggi che non sono degli uomini del tuo tempo ma che affondano le loro radici nella storia e nella sapienza senza tempo dei grandi miti.
È il confronto con un orizzonte di senso più ampio e profondo che oggi sembra del tutto scomparso nella superficialità dei miti contemporanei.
Il mito dell’eroe, e soprattutto il mito della battaglia di Kosovo Polje sono tematiche dinamitarde per quello che possono suscitare a seconda dell’interlocutore che si ha davanti. Non hai mai avuto timori o reticenze a "maneggiare" argomenti così scottanti dal punto di vista politico?
Non mi occupo di politica, ma sono certamente consapevole che l’argomento è stato usato dai politici per dei motivi che non mi appartengono. Sono serbo e fiero di esserlo, parlare della storia dei miei antenati non vuole dire mettersi contro gli altri popoli.
Cosa puoi dirci del tuo percorso, del tuo rapporto con il tuo paese, della tua vicinanza emotiva con il personaggio che interpreti?
Nel mio percorso di attore ho interpretato vari personaggi nei quali cercavo e mettevo sempre qualcosa di mio. In questo spettacolo interpreto un personaggio a cui mi sento molto vicino. Non è uno spettacolo autobiografico, ma è certamente una storia che mi appartiene molto: ho vissuto la guerra in prima persona e vivevo a Belgrado negli anni di cui parla lo spettacolo e quindi conosco molto bene il clima e la situazione di allora.
(*) Giulia Innocenti Malini, conduttrice di numerose esperienze di teatro sociale e docente presso l’Università Cattolica di Brescia del corso di "Teatro sociale" e Sinisa Peulic, attore, sono gli autori della performance teatrale "Di quale guerra, di quale pace?" che ha vinto la quinta edizione della Borsa Teatrale Anna Pancirolli.