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Elezioni in Montenegro: Djukanovic ancora il favorito
A pochi mesi dal referendum per l’indipendenza il Montenegro si prepara a votare il nuovo parlamento. Per le elezioni del 10 settembre i sondaggi danno favorita la coalizione guidata dal premier in carica Milo Djukanovic
Stanno per iniziare le elezioni parlamentari in Montenegro, il più giovane stato dell’Europa. Dopo il referendum sull’indipendenza del maggio scorso, il Montenegro sta per affrontare un’altra sfida il 10 settembre prossimo: scegliere il primo parlamento dopo la separazione dalla Serbia.
Secondo la Commissione Elettorale della Repubblica alle urne saranno chiamati 484 mila aventi diritto, su una popolazione di 650 mila abitanti. Si vota per 81 seggi parlamentari tra circa 700 candidati di 12 partiti e coalizioni diversi.
I favori dei pronostici sono tutti per l’alleanza del Partito Democratico dei Socialisti (DPS) ed il Partito Sociale Democratico (SDP) capeggiata del premier montenegrino Milo Djukanovic, già promotori dell’indipendenza montenegrina, ottenuta il 21 maggio scorso con 55,5% "sì" contro 44,5% "no".
La coalizione al potere cerca di sfruttare l’onda lunga della vittoria referendaria per rafforzare la propria maggioranza, senza aver avviato una campagna elettorale vera e propria. Infatti, anche se alle elezioni mancano poco più di 10 giorni, la campagna elettorale quasi non c’è.
Dall’altra parte l’ex fronte antisecessionista si è spaccato in due blocchi accusandosi reciprocamente per il fallimento del risultato referendario. Da una parte c’è la coalizione del Partito Socialista Popolare (SNP), Partito Popolare (NS) e Partito democratico serbo (DSS) guidata da Predrag Bulatovic e dall’altra parte c’è la Lista Serba composta dal Partito Popolare Serbo (SNS), Partito radicale serbo (SRS) e Partito popolare serbo (NSS) guidata da Andrija Mandic.
Mentre Predrag Bulatovic ha rinunciato a mettere in discussione l’indipendenza montenergina e cerca di sottolineare i problemi sociali ed economici del Paese, Andrija Mandic appoggiato da Momir Bulatovic, all’epoca presidente del Montenegro e primo ministro della Repubblica Federale di Jugoslavia (SRJ), oramai residente in Serbia, pensa che bisogna proteggere i diritti dei serbi del Montenegro. La Lista Serba è appoggiata anche da alcune forze politiche di Belgrado, in testa i radicali del Partito radicale serbo (SRS) di Vojislav Seselj, accusato dal TPI dell’Aja di crimini di guerra e violazione delle leggi di guerra, ed i socialisti di Miroslav Vucelic del Partito Socialista Serbo (SPS), partito del defunto leader Slobodan Milosevic.
I due blocchi dell’opposizione si rivolgono allo stesso bacino di elettori e dunque emerge la seguente questione: come si distribueranno i voti? Da un po’ di tempo Predrag Bulatovic cerca di trasformare il suo partito, l’SNP, da partito nazionale serbo in partito di tutti i cittadini del Montenegro e di presentarsi come un leader dell’opposizione moderno e filo-europeo. Ma dopo il fallito tentativo di mantenere l’Unione Serbia e Montenegro, Predrag Bulatovic, rischia di perdere una parte di elettori. Molto dipende anche da chi riceverà l’appoggio della Chiesa ortodossa serba. Se la chiesa offrisse il sostegno alla Lista Serba, Predrag Bulatovic rischierebbe di trovarsi in secondo piano.
Inoltre, emerge un’altra forza politica importante alle elezioni di settembre. Si tratta del Movimento per il cambiamento (PZP) di Nebojsa Medojevic, una formazione che a differenza dell’opposizione attuale del Montenegro non è sospettabile di compromessi con l’ex regime di Slobodan Milosevic, né di istanze anti-occidentali. Al contrario, il Movimento ha accettato di buon grado il distacco dalla Serbia, ma ora sollecita un rinnovamento intero del Paese e si propone come alternativa moderna al sistema attuale, gravato dall’eredità di presunto coinvolgimento in vecchi traffici di contrababando.
Secondo quanto riporta l’emmitente B92 del 22 agosto scorso, il leader del PZP Medojevic ha dichiarato che il suo partito cerca di sorpassare i 17 anni di transizione negativa del Montenegro e di portare il Paese sulle posizioni che avrebbe dovuto avere nel 1989. Medojevic ha spiegato: "A quel tempo furono praticamente congelate le questioni cruciali, come la riforma politica e la democratizzazione della società. Anche oggi abbiamo la dominazione della politica sopra lo Stato, una polizia che non è stata professionalizzata, una magistratura che non è indipendente, la povertà crescente e la corruzione, come risultati della transizione montenegrina." Medojevic ha anche dichiarato che il Movimento per il cambiamento ha preparato un programma basato sulla riforma del settore pubblico, dell’amministrazione statale, della polizia e del sistema giudiziario.
Secondo il settimanale montenegrino "Monitor" (25 agosto), uno dei vantaggi maggiori del Movimento di Medojevic è il fatto di rappresentare, dopo tanto tempo, una forza nuova sulla scena politica montenegrina.
I sondaggi sull’opinione pubblica mostrano che circa il 20% dei votanti è insoddisfatto dell’offerta politica, e si dichiara stanco di vedere sempre le stesse persone sulla scena politica, mentre vorrebbe votare una "terza" opzione.
La questione cruciale è se il Movimento per il cambiamento riuscirà ad essere la terza opzione?
Diversa dal resto dell’opposizione c’è anche la coalizione dell’Alleanza Liberale del Montenegro (LSCG) e del Partito Bosniaco (Bosnjacka stranka) che non promette né radicali cambiamenti né l’ambizione di cambiare il governo. Il leader del LSCG, Miodrag Zivkovic, ha già fatto riferimento ad una possibile alleanza con il premier Djukanovic dopo le elezioni parlamentari. Ricordiamo che Zivkovic faceva parte del blocco indipendentista durante la campagnia referendaria del maggio scorso.
Dopo il referendum l’opposizione montenegrina non ha avuto la forza di unirsi e di trovare una strategia comune per combattere il governo attuale come ha fatto l’Opposizione Democratica della Serbia (DOS) combattendo il vecchio regime di Milosevic. Piuttosto l’opposizione si è frazionata in 4 parti diverse e cerca di ottenere il risultato migliore possibile per il proprio partito alle imminenti elezioni parlamentari.
La frammentazione dell’opposizione giova al governo, sicuro di una facile vittoria alle elezioni grazie anche all’euforia della recente vittoria referendaria.