Bosnia anno zero più undici

Prime dichiarazioni dei vincitori e manovre politiche post elettorali. La comunità internazionale spinge per un’accelerazione delle riforme e la ripresa dei negoziati sui cambiamenti costituzionali. Ma questa fase richiede cautela. L’analisi di Massimo Moratti

16/10/2006, Massimo Moratti -

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Sarajevo, il Parlamento (luglio 2006)

Febbre elettorale…

I giorni prima delle elezioni sono stato contattato da numerose testate radiofoniche italiane, che cercavano di capire quale clima ci fosse in Bosnia ed Erzegovina e come ci si stesse preparando alle elezioni. Gli scambi di bordate tra Dodik e Silajdzic, i giri di valzer di Tihic con i criminali di guerra, le incertezze dei partiti croati e l’annunciata partenza dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante avevano lanciato segnali preoccupanti sul futuro del paese. La domanda che molti si chiedevano, e ancora si chiedono, era se il paese si stava avviando verso un’altra fase di disgregazione e spinte centrifughe.

La campagna elettorale aveva fatto alzare la temperatura un po’ in tutto il paese, soprattutto durante l’estate. Gli attachi alla magistratura sul caso Dudakovic, una serie di incidenti minori nei confronti di bosgnacchi rientrati dalle parti di Bratunac, leggi irresponsabili in favore dei veterani di guerra nella Federazione erano stati alcuni degli episodi che avevano caratterizzato la campagna elettorale. Quando le tensioni politiche si alzano, queste si riflettono immediatamente nei punti di giuntura più delicati della Bosnia del dopoguerra: ritornati, criminali di guerra, veterani. Basta seguire la situazione sul terreno e si riesce a capire come stiano le cose.

Veniva da chiedersi se i partiti politici avrebbero dato l’"assalto" anche alle istituzioni incaricate del processo elettorale, in primo luogo la Commissione Elettorale Centrale, e se durante il voto si sarebbero potuti verificare incidenti di un certo rilievo.

Il voto e i risultati

La giornata elettorale si e’ svolta in modo sereno senza incidenti di sorta. Anche queste elezioni, come quelle del 2002 e del 2004, sono state organizzate dalla Commissione Elettorale Centrale, che ha resistito ad alcuni tentativi di destabilizzazione. La presenza della comunità internazionale è stata limitata ad osservatori internazionali che hanno confermato la correttezza e la validità del voto. L’afflusso alle urne è stato maggiore che negli anni passati, attorno al 53%, e l’aumento è in larga parte dovuto a cambiamenti nelle procedure di registrazione dei votanti.

I risultati si sono allineati alle attese. Alla sostanziale tenuta dell’SDA nella Federazione, vi è stato il rientro alla grande di Silajdzic e del suo partito, mentre nel campo croato, i due tronconi dell’HDZ BIH, (HDZ BIH e HDZ 1990) hanno spaccato l’elettorato croato a metà, così come ha fatto l’SDP. L’SNSD è stato il dominatore nella Republika Srpska (RS): ha sfiorato la maggioranza assoluta in RS facendo man bassa di voti non solo nella parte occidentale (a ovest di Brcko), ma anche nella RS orientale, tradizionale feudo dell’SDS e, durante e dopo il conflitto, zona in cui avvenivano tutti i traffici strategici con la Serbia e Montenegro (sigarette, alcool, carburanti, armi…).

Silajdzic, SBIH, e Radmanovic, SNSD, sono stati quindi eletti alla presidenza, mentre l’SDP, approfittando della debolezza dei partiti croati, è andato a vincere "fuori casa", piazzando Zeljko Komsic, alla presidenza.

Alcuni anni fa, analisti e osservatori, incluso la comunità internazionale, avrebbero messo la firma sotto un risultato come questo, che di fatto segna grosse perdite per l’SDS, l’HDZ e in un certo modo anche per l’SDA. Ora invece domina una buona dose di incertezza sia tra gli osservatori internazionali che tra quelli domestici. I risultati non sono ancora finali dato che si stanno conteggiando i voti in assenza e quelli della diaspora all’estero.

Le prime reazioni

Le valutazioni dei vari commentatori sono ambivalenti e l’incertezza regna soprattutto su quali saranno le possibili relazioni tra Dodik e Silajdzic che hanno dominato la campagna pre-elettorale. La domanda che tutti si stanno ponendo è se i due leader terranno fede alle dichiarazioni espresse durante la campagna elettorale ed agiranno di conseguenza, oppure se scenderanno a più miti consigli e troveranno un’intesa. In altre parole, le dichiarazioni bellicose della campagna elettorale erano solo retorica acchiappavoti o vi sono delle intenzioni serie dietro i proclami?

Milorad Dodik ha detto chiaramente che, essendo il partito con il maggior numero di seggi, all’SNSD dovrebbe spettare la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri della Bosnia ed Erzegovina. L’SDA però, per gli stessi motivi, ha già avanzato la propria candidatura alla stessa carica. È facile prevedere che questo sarà uno dei primi scontri politici e bisognerà vedere se i partiti della Federazione saranno sufficientemente maturi ad accettare che il governo della Bosnia ed Erzegovina vada nelle mani di un partito che ha raccolto consensi elettorali grazie alle minacce di secessione. Allo stesso tempo Radmanovic, il membro dell’SNSD eletto alla presidenza, ha sottolineato l’importanza di restituire il prestigio necessario alla presidenza, dopo la fase piuttosto oscura del triumvirato Paravac, Tihic e Jovic.

Le dichiarazioni di Silajdzic sono state quelle che forse hanno destato le maggiori sorprese. Subito dopo le elezioni Silajdzic ha detto chiaramente che la priorità principale è l’economia del paese, che deve essere fatta ripartire. Sull’assetto costituzionale, ha detto Silajdzic, ci metteremo d’accordo quando ci mettiamo d’accordo. Nel frattempo però l’SDA ha annunciato una possibile coalizione con l’SBIH: ed ecco i due nemici non dichiarati della campagna elettorale che si ritrovano a darsi la mano ancora una volta.

Komsic: tra i due litiganti…

Il "colpo gobbo" è stato fatto dall’SDP, l’"eterna promessa" dello scenario politico bosniaco. L’SDP, nonostante sia il partito che più promuove la multietnicità, è sostenuto in gran parte dai bosgnacchi e perciò identificato da serbi e croati come un partito essenzialmente bosgnacco. Komsic, poco più che quarantenne, ex ambasciatore a Belgrado, croato che ha combattuto con i bosgnacchi nella difesa di Sarajevo, è estraneo ai circoli erzegovesi di Mostar. Komsic si è infilato nel vuoto creatosi dalla spaccatura dell’HDZ BIH. La sorte dell’HDZ BIH è esemplare e merita un breve cenno riassuntivo: l’anno scorso l’HDZ aveva indetto le elezioni primarie, vinte per un solo voto da Covic, coinvolto in scandali finanziari. Il candidato arrivato secondo, Ljubic, assieme a Martin Raguz e Vinko Zoric, aveva contestato i risultati delle elezioni primarie, denunciando brogli all’interno del partito. Per tutta risposta, il "tribunale onorario", sorta di organo interno del partito, secondo la migliore tradizione comunista, aveva espulso dal partito i dissidenti Ljubic, Raguz e Zoric. I tre hanno dunque fondato l’HDZ 1990 che, in coalizione con altri partiti croati, ha letteralmente spaccato l’elettorato croato a metà. Nel vuoto, ha vinto Komsic, il classico tra i due litiganti… Komsic potrebbe rappresentare il corso nuovo della politica bosniaca, almeno in termini generazionali e ideologici, dato che ha detto apertamente di voler essere il presidente di tutti.

Scossoni e scricchiolii…

È ancora prematuro dare un giudizio e bisognerà vedere come andranno i vari tentativi di coalizione. Sono state elezioni molto importanti per la Bosnia ed Erzegovina. È come se fosse l’anno zero: dopo le elezioni del 1996, vinte dai signori della guerra, e quelle degli anni successivi (contraddistinte dalla presenza pervasiva dei poteri di Bonn), sono queste le prime elezioni dove i partiti politici saranno totalmente responsabili per i successi e gli insuccessi di fronte agli elettori, senza la possibilità di lasciare che la comunità internazionale risolva (a modo suo) i problemi di voto.

È la fase finale del regime di semi protettorato, e già durante la campagna elettorale Schwarz-Schilling si è limitato ad intervenire sui media locali, ricordando ai partiti quali sono i doveri verso gli elettori. In realtà, già dall’inizio del suo mandato, Schwarz-Schilling ha usato pochissimo i poteri di Bonn, lasciando il campo libero ai politici locali. È normale che dopo tanti anni di Bonn powers, il trasferimento della responsabilità politica nelle mani dei locali non possa non avvenire senza scricchiolii e scossoni. È il minimo che ci si possa aspettare. La situazione internazionale poi non aiuta molto: la Serbia ha perso il Montenegro e quasi certamente perderà anche il Kossovo, e quindi ha riiniziato a "corteggiare" la Republika Srpska non certo in vista di future ambizioni territoriali, ma più che altro per distogliere l’attenzione dai problemi interni. È facile prevedere ulteriori scossoni in futuro e l’intero processo di trasferimento delle responsabilità sarà necessariamente lungo e graduale.

Cambiamenti costituzionali: errare è umano, perseverare…

In questa fase così delicata forse sarebbe bene che la comunità internazionale non rimestasse troppo le acque. Invece sembra che questo non sia il caso: destano preoccupazione infatti gli inviti di Schwarz-Schilling a proseguire la riforma della polizia e il processo dei cambiamenti costituzionali. In quest’ultimo campo, l’USIP United States Institute of Peace, organizzazione di cui fanno parte Don Hays (ex vice Alto Rappresentante) e Bruce Hischner, si è fatto di nuovo avanti con l’idea dei cambiamenti costituzionali, riproponendo il pacchetto di emendamenti che era fallito la primavera scorsa e ventilando la possibilità di un nuovo round di negoziati negli USA. Le riforme costituzionali avevano consentito a Silajdzic di lanciare la sua idea sull’abolizione delle entità, a cui Dodik aveva risposto con l’idea del referendum. Il tentativo di USIP, alquanto maldestro, di cambiare la costituzione, aveva dato il la all’accesissimo dibattito sulle riforme costituzionali e evidenziato alcuni dei problemi strutturali della Bosnia ed Erzegovina e soprattutto il fatto che il paese, come dice Michele Nardelli, debba rielaborare il proprio passato, per trovare la stabilità futura.

Non si capisce perchè, immediatamente dopo le elezioni, l’USIP ritorni alla carica, rischiando di gettare benzina sulle ceneri ancora calde della campagna elettorale. Sia Silajdzic, che Dodik, che i maggiori partiti politici sono d’accordo sulla necessità delle riforme costituzionali, ma sono divisi sul come attuare queste riforme. La fretta americana si è già dimostrare cattiva consigliera una volta. A Hays e Hischner verrebbe da dire "samo polako…"

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