Un ghetto in mezzo all’Europa
Non c’è più Milosevic, non c’è più l’embargo, la Serbia (almeno a parole) viene attesa a braccia aperte nel consesso europeo. Ma i suoi cittadini sono ancora lì, a fare file davanti ad ambasciate e consolati. Ora le migliori storie riguardanti quest’estenuante attesa sono raccolte in un libro
"Come possono i giovani dalla Serbia avere un’immagine dell’ UE quando gli è impedito di vivere quest’esperienza? La generazione che dovrebbe portare il paese fuori dal nazionalismo verso il futuro europeo e lontano dalle guerre, semplicemente non è in grado di fare una cosa simile."
Così si apre il libro "Le migliori storie dalle code per i visti", pubblicato da Citizen’s Pact for South East Europe (www.citizenspact.org.yu) che da anni lotta contro il regime dei visti che impedisce ai giovani della Serbia e di altri paesi della regione di uscire dal proprio paese. Questa chiusura dell’Unione europea verso i paesi dei Balcani occidentali crea una specie di ghetto in mezzo all’Europa. La prima edizione del libro è stata presentata davanti al parlamento europeo a Bruxelles e nella sua seconda edizione è stata tradotta anche in inglese e commercializzata al prezzo irrisorio di 99 dinari (poco più di un euro), per poter così avvicinare il libro a tutti. Ci sono venti storie vere, alcune a lieto fine, molte altre finite con amare delusioni e senza il visto in tasca. Tutte queste storie si trovano sul sito www.needvisa.net
Ma l’insistente lotta di Citizens Pact che dura ormai dal 2002 porterà a qualche miglioramento? Ci saranno meno code davanti alle ambasciate? È possibile che nel ventesimo secolo un popolo debba provare questa sensazione di profonda amarezza e implorare per andare a visitare un paese europeo? Una domanda è sulla bocca di tutti: "Quando viaggeremo come tutte le persone normali?" .
Con questo rigido regime dei visti l’Unione europea perpetra l’isolamento dei paesi dei Balcani occidentali dall’Europa occidentale. Uno dei motivi per cui i cittadini della Serbia hanno fatto cadere il regime di Milosevic era anche l’isolamento nel quale li aveva portati la sua politica. Ma nonostante i cambiamenti del 5 ottobre 2000, il regime dei visti è diventato ancora più rigido, la gente ora sta perdendo la fede nella prospettiva di un futuro europeo e la loro delusione è un territorio fertile per i partiti nazionalisti e radicali. L’odierno regime dei visti ostacola il flusso delle persone, lo scambio delle conoscenze con l’Europa dell’Est, e la mobilità delle persone è una delle prime condizioni per lo sviluppo dell’economia.
Qualche passo avanti è stato fatto con l’Italia: il ministro degli Affari esteri della Serbia Vuk Draskovic e l’ambasciatore d’Italia a Belgrado Alessandro Merola hanno firmato un accordo per facilitare l’ottenimento dei visti per i cittadini della Serbia. L’accordo prevede la possibilità di emettere visti gratuiti per i cittadini che vanno in Italia per cure mediche, per gli studenti, imprenditori, giornalisti e persone che operano nel settore della cultura. Queste facilitazioni non sono tuttavia ancora sufficienti e non fermano la crescita dell’ "euro scetticismo" nei cittadini serbi perché solo una parte limitata di persone può effettivamente usufruire dell’accordo. Questa tendenza e rimarcata anche dalle statistiche che dimostrano che oggi solo il 60% dei cittadini vede il futuro del paese nell’Unione europea, un grosso calo rispetto al 2003 quando gli ottimisti erano il 73%.
Da un lato Bruxelles ripete che i Balcani occidentali fanno parte dell’Europa e che alla fine il loro futuro sarà nell’Unione europea, ma contemporaneamente il rigido regime dei visti rende il processo d’integrazione europea molto difficile. Lo dimostra l’annuncio dell’"European Council for Justice and Home Affairs" riguardante l’incremento dei prezzi per i visti da 35 a 60 euro a partire dal primo gennaio 2007. Un tale aumento andrà ad aggiungersi alla lunga lista di impedimenti che fanno desistere molte migliaia di persone dal visitare i paesi dell’Europa occidentale, quali le umilianti ed infinite code davanti alle ambasciate, le interminabili richieste di nuova documentazione sul conto corrente, lettere d’invito, prove della loro occupazione, ecc.
Non è poi da dimenticare che il prezzo del visto non è l’unico costo che deve essere affrontato, ad esso vanno aggiunti i costi delle traduzioni dei documenti, delle assicurazioni sanitarie e delle fotocopie. A conti fatti il prezzo di un visto può arrivare fino a 200 euro e più!
Il lungo corredo di documenti che solitamente viene richiesto al cittadino per poter viaggiare nell’Unione europea comprende: il passaporto in originale più una fotocopia, due fotografie, una lettera d’invito, l’assicurazione medica, la prova di un impiego a tempo indeterminato o di studente full time, poi le buste paga, il biglietto aereo andata e ritorno, certificati come quello di nascita o matrimonio, prenotazione degli alberghi, fotocopie delle banconote in quantità sufficiente per ogni giorno di permanenza come previsto dalla normativa e così via.
Tuttavia la debita raccolta (con relativo costo) e presentazione di tutti questi documenti non garantisce automaticamente l’ottenimento del visto. Infatti il richiedente può essere comunque respinto senza che i soldi spesi siano rimborsati. Una spesa, ad esempio, di 10 milioni di euro all’anno per i soli cittadini macedoni.
L’ultima tendenza, visto l’avvicinamento della Bulgaria all’Unione europea, è chiedere la cittadinanza bulgara, già 20.000 macedoni l’hanno ottenuta ed altri 20.000 la stanno aspettando. La stessa situazione si registra in Russia, Ucraina, Montenegro e Serbia dove basta dimostrare qualche legame di parentela con un cittadino bulgaro per ottenere la cittadinanza e liberarsi, si spera, dal purgatorio dei visti.
Viene quindi spontaneo domandarsi come coloro che crescono dentro un isolamento così forte possano creare una nuova, migliore e stabile regione dei Balcani? Tutto questo è solo un altro mattone del muro di Schengen.
Le statistiche dicono che più del 49% dei cittadini serbi non hanno mai viaggiato all’estero alimentando così quella specie di ghetto nel quale convivono Serbia, Albania, Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Così si coltivano i sentimenti anti-europei nella regione e si soffocano i desideri a favore dei cambiamenti democratici spingendo i cittadini verso il ghetto europeo. Come si ritiene possibile che la gioventù dei Balcani che dovrebbe essere portatrice di mutamenti positivi, eliminando il nazionalismo e le conseguenze della guerra, possa essere attratta dall’Europa e dai suoi valori se quella stessa Europa gli chiude le porte in faccia? Potrebbe un giovane europeo immaginare di non poter uscire dal proprio paese per farsi un weekend in una capitale europea? O una settimana sul Mar Rosso?
Proprio dalle pagine di "Le migliori storie dalle code per i visti" uno degli autori – Sinisa Puac, classe 1975 – apre un agrodolce spiraglio di speranza: "Come spiegare cosa vuol dire aspettare per il visto convinto di farcela ma alla fine non ottenerlo, portare al posto del timbro sul passaporto un timbro della vergogna dentro me stesso, il timbro dell’umiliazione e dello scoraggiamento che mi identifica senza nessun motivo come uno di quei bugiardi, imbroglioni, trafficanti di droga, t[]isti e criminali? Non mi resta che sperare ricordando una frase: "Là dove Dio chiude una porta, apre una finestra".