Il Kosovo alla deriva

A Belgrado abbiamo incontrato Dusan Janjic direttore del Forum per le relazioni etniche, uno dei maggiori esperti serbi di Kosovo. Un’intervista a 360 gradi sul Kosovo di oggi, le colpe dell’UE e un paragone con la situazione in Afghanistan

06/11/2006, Luka Zanoni - Belgrado

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Dusan Janjic

Com’è l’odierna situazione del Kosovo?

Se prendiamo la situazione reale in Kosovo dobbiamo dire quanto segue: il mandato della comunità internazionale non era quello di creare un nuovo stato. Quel mandato in sostanza era partito da Michael Steiner, per implementare e stabilizzare la pace, per poi diventare un mandato per creare uno stato, il cosiddetto state building. L’intento era di creare delle istituzioni, le istituzioni temporanee del Kosovo, e di trasferire un certo livello di competenze. Tuttavia ad oggi le competenze cruciali non sono state trasferite, vengono ancora mantenute dai rappresentanti della comunità internazionale, sia per quanto riguarda l’ambito della sicurezza, che dell’economia, delle privatizzazioni e dello stato di diritto. Per far sì che vengano trasferite queste competenze alle istituzioni kosovare si è dimostrato che non basta che qualcosa venga proclamato dal governo e dal parlamento, ma ci deve essere una scelta democratica e la partecipazione a questo processo da parte di tutti i cittadini del Kosovo.

Noi sappiamo che i comuni serbi non sono integrati nelle istituzioni del Kosovo, né esiste un’idea presso i serbi e presso la comunità internazionale, ma nemmeno presso gli albanesi, di come si potrebbe fare. Le uniche idee esistenti sono le seguenti: per i serbi la divisione del Kosovo, ndr e che un giorno il Kosovo sarà parte della Serbia e loro saranno appoggiati dalla Serbia. Per gli albanesi che ci siano sempre meno serbi e quindi meno problemi, e per la comunità internazionale si tratta di accusare un po’ meno gli albanesi e un po’ di più i serbi perché non partecipano ai lavori parlamentari come se tutta la vita sociale fosse ridotta al solo parlamento.

Un’altra cosa – che è la più seria e la più pericolosa per il futuro del Kosovo – riguarda il fatto che non c’è la minima idea su chi sia il proprietario di cosa. Non sono garantite le proprietà private, non sono garantite le proprietà personali. In Kosovo regna una combinazione di economia legale e illegale e molta corruzione alla quale partecipano direttamente i rappresentanti dell’amministrazione internazionale. C’è un eccesso di criminalità organizzata, in particolare droga e traffico di esseri umani.

È vero quindi che il Kosovo è un centro di traffici e di illegalità?

Ma guardi, se provate a parlare seriamente con degli esperti delle questioni dei traffici loro vi diranno che chiamano il Kosovo la "repubblica dell’eroina". Non si dà questo appellativo per niente. Ora circola anche molta cocaina, e noi sappiamo che l’eroina può giungere dai paesi vicini, come la Turchia, ma la cocaina può giungere solo attraverso la cosiddetta narco-mafia dall’America Latina, non può arrivare in altro modo. Quindi il principale scandalo che l’Unmik amministrazione Onu in Kosovo, ndr non ha il coraggio di affrontare è l’aeroporto di Pristina, che è diventato l’ingresso legale per la merce illegale.

All’Unmik si tace di tutto ciò, a volte vengono sostituiti dei funzionari all’aeroporto di Pristina, ma non c’è un’indagine ufficiale in corso. Questa è la cosa che più di tutte danneggia gli albanesi e che li mette contro la comunità internazionale. Perché è un fatto che il 70% degli albanesi non ha un impiego e si tratta di una popolazione molto giovane, e non tutti possono entrare illegalmente nell’Unione europea. Quindi c’è la necessità che lo status venga sistemato, ma non sono state gettate delle buone fondamenta, lo stato ha il problema delle risorse e sussiste un altro problema, il movimento pan-albanese. Non si tratta della questione della "Grande Albania", ma si tratta dell’allargamento del Kosovo. È una questione che suscita timore tra gli stessi albanesi di Albania. Questa questione è viva, e in questo momento non se ne parla, si tratta di una sorta di irresponsabilità burocratica verso il Kosovo.

Vi darò due esempi: io sono stato a Pec, sapete che là sono gli italiani a dare consigli al sindaco. In colloqui privati vi si dirà che vi è una forte presenza del movimento wahabita, che loro in realtà amministrano la municipalità, ma nessuno scrive di questo. Potete andare al villaggio di Raskov, costruito con il denaro dell’Arabia Saudita, dove potete vedere combattenti, mujaheddin, insegnanti… come se fossimo in Afghanistan, ma di tutto questo la comunità internazionale non parla. Al contrario il convegnista Lugar parla della laicità di Pristina. Certo Pristina è laica ma il Kosovo non lo è. Questo è un problema.

Una parte della comunità internazionale segue la strada di un pericoloso pragmatismo. Cosa fare del Kosovo? Cosa significa l’indipendenza del Kosovo? L’indipendenza significa la separazione definitiva dalla Serbia. Solo questo. Ma il Kosovo è de facto separato, perché serve che lo sia anche de jure. Io lo capirei se il Kosovo fosse veramente liberato dal t[]ismo, dai criminali e se i kosovaro-albanesi fossero i veri amministratori del Kosovo, ma non vedo alcuno sforzo in questa direzione e non vedo nemmeno istituzioni serie che siano in grado di farlo.

Pertanto io temo che adesso si vada verso una fase che assomiglia molto alla guerra in Afghanistan. Là hanno cacciato i russi con l’aiuto dei mujaheddin, qui cacciano i serbi e i russi con l’aiuto di cose simili e quando le cose vanno fuori controllo, poi ci si chiede dov’è Bin Laden… Bin Laden qualcuno lo ha fatto… in Kosovo adesso si crea un nuovo Bin Laden…

Vedete è così difficile, soprattutto per gli albanesi del Kosovo, trovare un posto di lavoro, sicurezza, arrivare ad avere un passaporto, a poter viaggiare. La maggior parte dei kosovaro-albanesi semplicemente non esiste. Hanno i passaporti dell’Unmik che non sono riconosciuti, le targhe sulle automobili con le quali non possono uscire dal Kosovo, attraverso la Serbia, perché la Serbia è la strada principale verso l’Europa.

Credetemi, io ho visto quando la gente ritorna, gente che ha le targhe europee… è una grande scocciatura. La Serbia non ha creato una frontiera normale, né si dà da fare per ammorbidirla, sicché la gente aspetta ore per andare dal Kosovo verso l’Europa. Quindi quella gente è come se fosse in ostaggio. In un certo senso gli albanesi sono doppiamente degli ostaggi. Ostaggio dei loro politici, che promettono loro l’indipendenza senza che risolvano i problemi, per esempio dell’elettricità, dell’occupazione, e ostaggio della comunità internazionale, la quale appoggia questa menzogna che se fosse esistito un consenso tra l’Unione europea e l’America il Kosovo da tempo sarebbe stato indipendente. Ma se guardiamo all’altra parte, vediamo che i serbi sono ostaggi in modo triplice. Hanno il problema della manipolazione da parte di Belgrado, hanno il problema di vivere in enclavi, cioè sono ostaggi di quegli albanesi estremisti che possono sempre sparargli addosso, e sono ostaggi della comunità internazionale.

Non ho mai sentito un funzionario internazionale che dicesse: i serbi sono estremisti, attribuiamogli nuove responsabilità. Questo però lo si è fatto con Haradinaj, che era a capo del governo, lo si fa anche con Thaci, ma non lo si fa con i serbi. Quando considero tutte queste cose allora ho l’impressione che a tutti serva un Kosovo sottoforma di crisi aperta. Perché quando si risolverà il problema dello status, quale sarà la carota dietro cui correranno gli albanesi? Non ci sono più carote, restano solo le bastonate. Perché in quel momento loro chiederebbero i posti di lavoro.

Quindi lei pensa che nel caso si arrivasse all’indipendenza apparirebbero i veri problemi del Kosovo?

Questa è la mia idea. Io ho l’impressione che le Nazioni unite non sappiano cosa fare col Kosovo, perché se sapessero cosa fare del Kosovo avrebbero già prodotto uno studio di fattibilità e avrebbero assunto gli obblighi per l’ingresso nell’Unione europea. Inoltre quest’ultima ha sviluppato un meccanismo speciale di collaborazione col Kosovo. Non vedo perché alla Serbia non è stato chiesto di fare come nel caso del Montenegro, di accettare un binario parallelo assieme al Kosovo verso l’Ue.

La logica del binario parallelo porterà un giorno alla divisione di queste due società, senza discussione sullo status, come è stato per la Serbia e il Montenegro. Io, invece, vedo l’intenzione di manipolare questa crisi, di mantenerla affinché la popolazione dei Balcani sia lasciata in uno stato di tensione, e così mantenervi il controllo politico e quello militare della NATO.

La gente vuole entrare nella Ue, non serve picchiarli. Semplicemente è quello che desiderano. Ma se l’Unione europea pensa che i balcanici siano così selvaggi, allora basterebbe dire no… mettetevi in lista d’attesa e poi ripartiamo con la collaborazione. Perciò penso che se si volesse veramente l’indipendenza lo avrebbero già fatto, ma avrebbero anche sviluppato delle relazioni parallele. Cioè relazioni parallele tra l’Albania e il Kosovo da un lato e dall’altro tra la Serbia e il Kosovo, e relazioni dirette tra il Kosovo e la Serbia. Purtroppo qualsiasi discorso sulla stabilità della regione è stato trasformato nel discorso dell’indipendenza. Ma non si fa parola sulle relazioni future e su come potrebbero collaborare…

Come potrebbero collaborare la Serbia e il Kosovo? Per esempio riguardo al prezioso ambito energetico…

Sapete come collaborano adesso? Il 70% della merce di impiego quotidiano viene dalla Serbia. Gli albanesi del Kosovo come concetto per intendere i dolci alla frutta usano la parola serba "Jafa keks". Un altro esempio: non si chiede "voglio dell’olio per cucinare", ma si dice "voglio il Dijamant". La merce serba arriva già sui mercati, va solo legalizzata.

Ovviamente l’UNMIK tollera la falsificazione delle sigarette, perché così si possono impiegare delle persone. Ma esiste anche un lavoro schiavizzato. Perché si deve permettere ai ragazzi albanesi di commerciare le sigarette falsificate al posto di proibirne il commercio? Si dovrebbero dare dei soldi, come l’Unione europea fece con la Republika Srpska, per aumentare la produzione di tabacco in Kosovo, perché gli albanesi sono in grado di produrre il tabacco. E di mettere in relazione, per esempio, la produzione del tabacco con le fabbriche multinazionali che sono presenti in Serbia. Si potrebbe fare in modo che queste fabbriche comprino il tabacco in Kosovo, sicché il Kosovo avrebbe una produzione legale di sigarette, di modo che i produttori di tabacco abbiano dei prezzi adeguati, dei crediti garantiti, ecc.

Vedete quel concetto europeo di micro-regioni non è sfruttato. Se guardate la mappa del Kosovo vi rendete conto che si potrebbero tracciare 4 triangoli dove esistono già delle relazioni. Se guardiamo i villaggi del Kosovo, vediamo che esiste un potenziale per produrre energia, in Serbia, nel Sangiaccato, nella parte confinante col Montenegro e nella parte settentrionale dell’Albania. Ci sono le miniere, c’è il potenziale per l’agriturismo. Ma allora non è naturale che loro prendano i soldi dall’Unione europea per sviluppare progetti comuni, dal momento che hanno come prodotto comune principale l’energia? Che sviluppino delle cooperative? Io chiedo all’Unione europea, perché non fate in modo che gli albanesi creino delle cooperative? Si tratta di una affinità, di una tradizione sia albanese che serba. Al posto di creare delle cooperative che potrebbero rendere sostenibile la vita del villaggio, che potrebbero far diminuire la disoccupazione, i villaggi albanesi sono devastati, la gente li abbandona e in città non c’è lavoro.

Ed anche per la parte vicina alla Serbia, si potrebbero mettere in pratica delle collaborazioni in ambito energetico. Ma per far questo bisogna risolvere il problema della proprietà. Questo è il vero problema. Devo dire che la responsabilità per questo stato delle cose va addossata all’Unione europea. Se guardiamo a come stanno le cose, vediamo che l’America ha fatto quello che poteva, l’ONU ha dato ciò che poteva, l’UE non ha dato ciò che doveva.

L’UE era incaricata dello sviluppo economico. Questo è il punto più debole. Nella questione delle proprietà l’UE ha violato tutte le regole esistenti nei suoi paesi membri. Lo aveva fatto notare anche Marek Nowicki, quando era ombudsman del Kosovo, che viene applicata una diretta discriminazione rispetto all’occupazione e nel riconoscimento dei diritti azionari. L’Unione europea ha adottato una norma secondo la quale si riconosce che sono lavoratori di un’azienda solo quelli che erano impiegati in quell’azienda dal 1° ottobre 1999. Ma prima di questo loro hanno invitato gli albanesi a tornare, mentre i serbi sono stati cacciati. E adesso quei serbi che sono stati cacciati da questi posti, che vivono come profughi, devono mostrare con due testimoni che all’epoca lavoravano per la tale azienda, e che non hanno lavorato sulla base di una discriminazione verso gli albanesi. Sapete cosa succede? Che loro devono dimostrare di aver lavorato, ma gli albanesi votano contro e i serbi non possono dimostrare di aver lavorato in quell’azienda per 40 anni e avere la loro parte di azioni.

L’Unione europea ha ricevuto dall’ONU il diritto di amministrare le proprietà e non di venderle. E poi l’UE l’ha trasformato in un diritto che non è mai esistito in Europa, si tratta di una consuetudine del Common Law dell’America e della Gran Bretagna, secondo il quale potete dare qualcosa in affitto per 99 anni. A quel punto l’UE ha emanato una legge per concedere l’affitto, ma in sostanza prende il denaro e vende. Vedete bene qui qual è la serietà del problema.

L’Unione europea in Kosovo si sta comportando come l’Impero ottomano, che quando arrivò da noi prese il potere e iniziò a disporre delle proprietà della popolazione locale. I funzionari dell’UE si comportano letteralmente come occupatori che vendono le cose altrui. Non è certo un buon ingresso in UE. Perché esistono i proprietari privati, esistono paesi che hanno investito, c’è la Serbia che paga i debiti che sono stati contratti dal Kosovo, si parla di un miliardo e cinquecento milioni di dollari. Non è possibile che senza alcun documento firmato si dica che adesso tutto ciò non è valido.

Lei crede che la popolazione locale, in particolare quella albano-kosovara, sia consapevole di questo?

Gli albanesi non devono esserne consapevoli. Alcuni albanesi possono sempre dire, va bene, cosa me ne frega, al tempo di Milosevic mi hanno cacciato dal lavoro, e adesso lo facciamo noi. E questa è una società dove il modello di dominazione è del tutto normale. Ma io parlo dei politici del Kosovo, degli amministratori del Kosovo e dell’Unione europea.

Non potete creare una società stabile e degli investimenti senza risolvere la questione delle proprietà. In Kosovo non può che arrivare del capitale sospetto, perché un investitore serio non vuole investire in questa situazione, in cui potrebbe comprare qualcosa e poi fra una decina di anni spunta fuori il vero proprietario e gli dice di andarsene oppure gli chiede di pagarlo nuovamente. Non è strano quindi che non ci siano investimenti. Non possono attirare gli investitori finché non risolvono la questione delle proprietà. Adesso chiedono ai grandi investitori che vengano a comprare le miniere, ma non cedono l’amministrazione delle miniere. È una menzogna anche la scusa che finché il Kosovo non è indipendente nessuno vi vuole investire. Il vero problema è la soluzione delle proprietà.

Purtroppo devo dire che la politica dell’Unione europea nei confronti degli albanesi non si discosta molto dalla politica che conduceva Milosevic. Mentre riguardo i serbi è in atto un’aperta discriminazione.

Per tornare alla questione di prima sul parallelo con l’Afghanistan, vedete cosa è successo? I russi avevano ritirato i loro militari, ma poi sono ritornati attraverso il denaro. Perché sono loro ad avere quell’eccedenza di denaro da impiegare in affari sospetti. Quel sovrappiù che si chiama gas e petrolio, che possono dare ai paesi a rischio.

Per quanto riguarda il Kosovo noi siamo arrivati ad una situazione momentanea in cui del Kosovo non deciderà l’Unione europea o i cittadini kosovari, ma Washington e Mosca. Per quanto riguarda il caos che regna adesso, che non è casuale, io credo che nessuno abbia un vero interesse nel risolvere i problemi dei Balcani.

Ci sono due opzioni: o si accetta la forza della etnicità e si ricuciono le frontiere del Kosovo e della Bosnia, e ciò significa che avremo come effetto collaterale la Macedonia, e allo stesso tempo si forza la collaborazione regionale. Oppure la seconda opzione è di tenere le frontiere così come sono adesso, ma allora non possiamo modificare nemmeno quelle tra Serbia e Kosovo, e si forza la via diretta verso l’Unione europea, sicché il Kosovo verrebbe trattato come uno stato e si avvia una collaborazione reciproca interna. Non vedo una terza strada.

Se me lo chiedete apertamente vi rispondo che il Kosovo non sarà mai più sotto il controllo di Belgrado. Ma questo non significa per forza una piena indipendenza, ciò può significare quello che è già adesso, un’indipendenza di fatto. Belgrado non ha l’interesse, non ha gli strumenti e credo che non ci sia nemmeno la volontà politica di far tornare il Kosovo sotto il proprio controllo politico. Ma la Serbia non può permettersi il lusso di rimanere senza gli investimenti che ha fatto in Kosovo, di rimanere senza accesso alle risorse energetiche, alle miniere, e infine nessun politico può voler lasciare una parte del suo popolo là dove vengono violati i diritti umani.

Se la comunità internazionale avesse voluto veramente il Kosovo indipendente, allora i serbi sarebbero stati protetti, come cittadini, il problema delle proprietà sarebbe stato risolto, e ovviamente la comunità internazionale avrebbe proposto dei progetti seri per la collaborazione interregionale.

Vi dico un’ultima cosa: io sono sicuro che in Kosovo nessuno vincerà mai un premio Nobel, perché il premio Nobel è stato vinto da Arafat e Peres perché avevano avviato un processo regionale di pace. Così come la questione del Medio oriente, anche nel caso del Kosovo non può essere risolta sulla stretta base della questione nazionale, albanese. Qui si tratta di non meno di due nazionalità, ma soprattutto si tratta di una questione regionale. Quindi senza che venga avviato un vero processo di collaborazione regionale, di rinforzo della pace e della cooperazione, il Kosovo rimarrà in una sorta di virtuale fiaba balcanica, connotata da false promesse, grande povertà, enorme nervosismo e omicidi.

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