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Il Kosovo di Dayton
Secondo fonti diplomatiche lo status futuro del Kosovo è già stato definito, sul modello della Bosnia di Dayton. Un organismo a guida europea governerà insieme alle autorità locali, ma potrebbe non essere in grado di fermare la secessione del nord. L’inchiesta di Tim Judah
Di Tim Judah*, Pristina e Mitrovica nord, per BIRN, Balkan Insight, 26 ottobre 2006 (titolo originale: "Diplomats Plan Mission for Independent Kosovo")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta
Nessuno potrebbe darvi torto se, leggendo i giornali, vi siete fatti l’idea che il futuro del Kosovo sia avvolto nel mistero. Diventerà indipendente, resterà in qualche modo a far parte della Serbia, o verrà diviso? Il suo status sarà deciso entro la fine dell’anno o, se no, quando? Stando alle parole di Vojislav Kostunica o a quelle di Agim Ceku, premier rispettivamente di Serbia e Kosovo, si potrebbe concludere che non c’è nulla di chiaro, e che i giochi sono ancora tutti aperti.
In realtà, sul futuro del Kosovo, è stato deciso più di quanto credano il serbo o l’albanese medio. A scanso di sviluppi imprevisti, diversi aspetti della questione sono ormai chiari.
Innanzi tutto, non verranno soddisfatti né i serbi, che vogliono impedire alla maggioranza albanese del Kosovo di ottenere l’indipendenza, né gli albanesi che invece la chiedono.
Inoltre, il modo in cui la situazione evolverà nel prossimo anno rimane pieno di rischi, e probabilmente darà in lascito per il futuro un conflitto per così dire "congelato".
Le dichiarazioni rese dagli addetti ai lavori serbi ed albanesi, e da fonti diplomatiche, hanno rivelato che è ora possibile delineare in anticipo i futuri sviluppi della situazione in Kosovo.
La futura missione internazionale prenderà largamente a modello quella dispiegata in Bosnia Erzegovina fin dal 1995.
Per quanto riguarda la soluzione della questione dello status futuro, questa sarà probabilmente rinviata a marzo dell’anno prossimo. Questo avverrà in seguito a una debole risoluzione dell’ONU, nella quale il termine "indipendenza" non verrà neppure citato.
In seguito, si prevede che il parlamento del Kosovo dichiarari l’indipendenza, e che alcuni Paesi riconosceranno il nuovo Stato. Inizialmente altri, come la Russia e la Grecia, molto probabilmente non lo faranno.
Il governo del Kosovo non avrà alcuna autorità nelle province settentrionali, in cui continueranno comunque ad operare le istituzioni del governo serbo.
Nel momento in cui diversi Paesi riconosceranno il nuovo Stato, nel nord la polizia serba, oggi parte integrante del Servizio di polizia del Kosovo, inizierà invece, presumibilmente, a prendere ordini dalle locali autorità serbe.
Non è ancora dato di conoscere i dettagli esatti del piano che il negoziatore per lo status del Kosovo, Martti Ahtisaari, presenterà all’ONU entro la fine dell’anno.
Ma Enver Hoxhaj, un membro del team kosovaro di negoziazione, dice che "i colloqui veri e propri sono incominciati adesso e non sono tra Pristina e Belgrado, ma tra i membri del Gruppo di contatto".
Due membri del Gruppo di contatto, Gran Bretagna e Stati Uniti, che costituiscono i principali attori internazionali attivi nella ex Jugoslavia, sono in prima fila nel sostenere l’indipendenza del Kosovo, mentre la Russia è contraria.
Ma mentre i partiti attendono che Ahtisaari renda pubbliche le sue raccomandazioni, è già incominciata una pianificazione dettagliata sulle istituzioni internazionali che prenderanno il posto dell’attuale missione ONU in Kosovo, l’UNMIK.
E’ stata creata una squadra di dieci persone per lavorare in quello che viene definito il "Team di pianificazione per l’Ufficio civile internazionale" (UCI). A guidarla è Torbjorn Sohlstrom, un diplomatico svedese di 32 anni. Nel dicembre scorso egli era diventato rappresentante personale in Kosovo del capo della politica estera dell’UE, Javier Solana. Ora ha un nuovo ruolo.
Per il momento il team per l’UCI rende conto a Solana. Nove dei dieci membri provengono da Stati dell’UE, mentre uno dagli Stati Uniti. L’ufficio di Solana finanzia il progetto, per la ragguardevole somma di 890.000 euro.
Sohlstrom sostiene che, per molti aspetti chiave, il futuro UCI assomiglierà all’Ufficio dell’Alto rappresentante in Bosnia ed Erzegovina (OHR).
Ciò significa che, quando l’UNMIK concluderà gradualmente il suo compito, la maggior parte dei suoi poteri saranno devoluti alle autorità elette del Kosovo. In ogni caso, generalmente ci si aspetta che il piano di Ahtisaari porrà delle condizioni alla sovranità del Kosovo, e qui entreranno in gioco l’UCI e l’UE.
Sohlstrom sostiene che il capo della nuova missione avrà "due cappelli", come già l’Alto rappresentante in Bosnia ed Erzegovina. Questo vuol dire che il Rappresentante civile internazionale, come si inizia a denominare, guiderà l’UCI e allo stesso tempo agirà in qualità di Rappresentante speciale dell’UE.
Tecnicamente, l’UCI non sarà un organo dell’UE, in modo tale da permettere ad altri, come gli USA, di prendervi parte. Allo stesso tempo l’UE predisporrà in effetti una nuova missione, aiutando a vigilare sul rispetto della legalità. L’attuale forza a guida NATO resterà in Kosovo, e così farà anche l’OSCE.
Per il bene della delicata situazione politica in Kosovo, Solhstrom minimizza i poteri che saranno esercitati dal Rappresentante civile internazionale, ribadendo che i kosovari autogoverneranno il loro Paese.
"Noi non vogliamo una situazione in cui la comunità internazionale debba intervenire molto spesso", ha detto.
Solhstrom sostiene che il capo della nuova missione interverrà solo in campi come "la decentralizzazione, le divisioni religiose e culturali, i diritti delle minoranze e la sicurezza". In altre parole, in ogni cosa che conta.
La sede dell’UCI sarà a Pristina, ma ci sarà probabilmente un ufficio a Mitrovica nord, controllata dai serbi, da cui si opererà per cercare di reintegrare nuovamente il nord nelle istituzioni del Kosovo.
Se andrà come vogliono i leader serbi locali, questo diventerà un compito senza speranza.
Stando a quanto rivelato da fonti serbe, a partire da maggio 385 ex ufficiali dell’esercito jugoslavo sono stati finanziati per organizzare una forza serba di difesa civile.
I serbi locali sostengono che il Corpo di protezione del Kosovo, che dovrebbe essere nelle intenzioni una forza non armata, col compito di esercitare solo funzioni di difesa civile, come spalare la neve in situazioni di emergenza, è potenzialmente un esercito kosovaro albanese. Essi sostengono – non del tutto plausibilmente – che la loro forza non farà nulla più che fornire, per esempio, pompieri aggiuntivi alle municipalità serbe.
Alla domanda se i Serbi nel nord del Kosovo intendano dichiarare una repubblica serba secessionista in Kosovo, Dragisa Mijovic, sindaco di Zvecan, ha detto che una dichiarazione non sarà necessaria. "Non c’è bisogno di dichiarare nulla, dal momento che noi stiamo già operando come parte della Serbia," ha dichiarato.
Richiesto su cosa potrebbe accadere al confine tra il nord del Kosovo e la Serbia propriamente detta, Mijovic ha sostenuto che loro assicureranno che in futuro "non ci sia alcun confine".
Il sindaco ha detto che "probabilmente" il confine correrà lungo l’Ibar, il fiume che divide la metà settentrionale, serba, della città divisa di Mitrovica dalla metà meridionale, albanese.
Se le previsioni del sindaco dovessero avverarsi, la partizione già esistente di fatto del Kosovo si consoliderebbe presto. Cosa ne sarebbe, in questo caso, dei serbi che vivono nelle enclave disseminate per il Kosovo meridionale e centrale, questo rimane poco chiaro.
Fonti diplomatiche sostengono che dipenderà dalla Serbia se il nord del Kosovo troncherà i legami che rimangono con Pristina, una volta che il Kosovo avrà dichiarato l’indipendenza.
Nel breve termine, i diplomatici ammettono che non si può far molto. Essi sperano di garantire comunque la reintegrazione finale del Kosovo.
"È difficile credere che la Serbia non voglia a un certo punto fare dei passi avanti sul cammino dell’integrazione euro-atlantica", ha detto un diplomatico. "Non riuscirà a farlo se ostacolerà attivamente la definizione dell’assetto del Kosovo".
Quanto ad ottenere un seggio alle Nazioni Unite, sembra che il Kosovo non se lo assicurerà né automaticamente né in tempi brevi. Sarà necessario il voto a favore di una maggioranza dei due terzi dell’Assemblea generale, che si riunirà il prossimo autunno. Veton Surroi, politico veterano e negoziatore per il Kosovo, afferma che niente può essere dato per certo. "Dovremo combattere per ogni singolo voto", ha detto.
*Tim Judah è uno dei più autorevoli opinionisti sui Balcani e autore di "I serbi: storia, mito e la distruzione della Jugoslavia" e "Kosovo: guerra e vendetta", entrambi pubblicati da Yale University Press