Teatro e femminismo all’Università di Istanbul
L’attività del Dipartimento di drammaturgia e critica teatrale dell’Università di Istanbul, politica da costruire, patrimonio da conservare. Un’intervista a Fakiye Özsoysal, critica teatrale e docente universitaria incontrata a Trento in occasione dell’iniziativa "Al limite, al confine"
Che attività svolge il Dipartimento di critica teatrale dell’Università di Istanbul? Quanti corsi sono attivati e quali? Quanti studenti lo frequentano?
Il Dipartimento di è stato fondato nel 1992, con lo scopo di formare in ambito critico e di ricerca teatrale. Attualmente sono iscritti 120 studenti che frequentano corsi ordinari, post-laurea, master e dottorati. Molti di loro lavoreranno poi per i media – carta stampata e informazione televisiva – in università o in scuole di teatro. I corsi sono incentrati soprattutto su drammaturgia, critica teatrale, storia del teatro – turco e non – movimenti teatrali, regia e tecniche teatrali. Le aree di ricerca del Dipartimento sono: relazioni interculturali, interdisciplinarietà e teatro, teatro femminista, semiotica teatrale.
Di cosa si occupa esattamente all’interno del Dipartimento?
Sono critica teatrale e professore associato presso il Dipartimento di drammaturgia e critica teatrale dell’Università di Istanbul. İ miei seminari vertono in particolare su critica teatrale, teatro femminista, laboratori di scrittura critica e mi occupo di seguire e monitorare progetti di ricerca sul teatro turco.
In quali altre sedi insegna? Con che riscontri?
Attualmente non insegno in altre università, ma tre anni fa ho lavorato due anni in Germania, presso l’Università Duisburg-Essen, tenendo seminari sull’analisi di testi letterari e teatrali e di scrittura creativa. Il mio obiettivo principale è quello di migliorare l’atteggiamento critico degli studenti. Importante è che riescano a esprimersi liberamente, discutendo e sostenendo le proprie posizioni con consapevolezza. Nel rispetto dei diversi punti di vista, con flessibilità e capaci di avere opinioni originali sui temi trattati.
Con quali centri di ricerca è in contatto il Dipartimento di critica teatrale? Su che tipo di progetti?
Abbiamo contatti con l’Università di Duisburg-Essen, la Freie Universität di Berlino e l’Università di Atene. In particolare con questi atenei sono attivi programmi di scambio e il programma Erasmus. Inoltre si sta lavorando per l’istituzione di un Istituto teatrale, il "Haldun Taner Theatre Institute" da creare in seno all’Università di Istanbul.
Che relazioni con il Festival Internazionale di Istanbul (IKSV)?
Le relazioni con l’ISKV avvengono tramite Dikmen Gurun, che guida il nostro dipartimento ed è anche consulente ufficiale dell’ISKV. Molte conferenze e workshop sono organizzati in collaborazione tra le due istituzioni.
Quali letture proporrebbe per iniziare ad analizzare ‘la scena turca oggi’? Chi, in questo momento, la sta studiando più a fondo (in Turchia o altrove)?
Il nostro dipartimento sta lavorando attualmente ad alcune pubblicazioni che però non sono ancora disponibili. Posso indicare alcuni approfondimenti a cura di Dikmen Gurun, tradotti in inglese e disponibili in internet: An excursion in Turkish Theatre e History of Theatre Criticism.
Al convegno tenutosi a Trento il 2 dicembre, è intervenuta con una relazione sulla posizione sociale della donna nelle leggi, nei media e nei testi teatrali in Turchia. Che cambiamenti sono in atto in questo momento? In che modo la drammaturgia turca testimonia la condizione femminile?
Nella mia relazione ho provato a spiegare che alcune leggi sono state cambiate, ma nella pratica quotidiana la mentalità patriarcale non è mutata. Vi sono poi differenze sostanziali tra città e campagna. Alcuni gruppi teatrali femministi si stanno occupando in profondità di alcuni temi, ma i loro tentativi sono piccoli passi lungo una strada ancora molto lunga. Sfortunatamente la drammaturgia turca è molto lenta a reagire e creare dibattito sui cambiamenti avvenuti.
Qual è, secondo Lei, la voce più interessante della drammaturgia turca (vivente e non)? Perché?
Non me la sento di classificare per nazionalità. Un testo teatrale si rivolge in particolare a chi vive nel luogo in cui viene scritto e interpretato, ma ha anche un carattere universale, perché stiamo tutti vivendo nello stesso mondo globalizzato.
Come è avvenuta la selezione dei testi presentati a Trento? Cosa li differenzia e cosa li accomuna?
La valanga di Tuncer Cucenoglu e La maledizione del cervo di Murathan Mungan, riguardano il conflitto tra tradizione e individuo e sono scritti in modo convenzionale. Affitasi di Ozen Yula e Ultimo mondo di Yesim Ozsoy Gulan, trattano il tema della vita nella metropoli, Istanbul, di alienazione e solitudine dell’individuo. Questi ultimi sono scritti in modo sperimentale, Ultimo mondo ha caratteristiche interdisciplinari e intertestuali. In tutti questi casi, i testi riprendono problematiche della società turca contemporanea e sono esempi rilevanti della produzione drammaturgica della Turchia di oggi.
Cosa Le fa pensare il congelamento di queste ultime settimane dichiarato dall’Unione Europea, rispetto alla candidatura all’Europa della Turchia? Che rischi comporta?
Non è semplice rispondere in poche righe. A mio avviso entrambe le parti non sono pronte a essere sufficientemente flessibili per modificare i rispettivi punti di vista; non sono pronte ad accettare o apprezzare le differenze culturali intese come differenze e non come minacce alla propria identità. Potrebbe essere per entrambi un’occasione di liberazione dai pregiudizi ed è un percorso che Ue e Turchia devono intraprendere.
Come cittadina turca, potrei anche accontentarmi delle significative riforme legislative attuate in questi anni per garantire e migliorare i diritti umani, e del fatto che, proprio grazie al percorso verso l’Ue, ci sia ora più attenzione alla situazione sociale delle donne. Malgrado ciò, in Turchia le studentesse e le attiviste femministe hanno due diversi punti di vista: alcune sostengono l’integrazione nell’Ue come occasione di miglioramento dei diritti umani; altre si oppongono, poiché temono che causi l’applicazione di politiche neoliberali che andranno a peggiorare la situazione delle donne, in particolare su protezione sociale e lavoro.
Se dico ‘Europa’ che confini ha in mente? Che significa per Lei ‘oriente’? E ‘occidente’?
Credo che l’Europa sia quella segnata sulle cartine geografiche e comprenda ora anche tutti i Paesi che in passato erano oltre la cortina di ferro. Per quanto riguarda ‘est’ o ‘ovest’, dipende da dove ci si pone. Se si guarda alla Turchia e in particolare al suo periodo di modernizzazione, tre sono i Paesi che sono stati punto di riferimento, sia per l’Impero Ottomano che per la nuova Repubblica Turca: Francia, Germania e Inghilterra. E i loro sistemi legali. In questo senso si può parlare di occidentalizzazione.
Cosa difende senza condizione del Suo Paese? Cosa invece considera inaccettabile?
L’Anatolia è sempre stata ed è una vera e propria ‘melting pot’. Per secoli molte culture diverse sono coesistite, ciascuna condividendo e scambiando il proprio patrimonio. La cultura dell’Anatolia, quella dei Goti, degli Ittiti, degli Ionici, dei Bizantini, dei Persiani, dei Macedoni, dei Greci, degli Arabi, dei Caucasici, degli Ottomani, dei Turchi, dei Curdi, la cultura della Mesopotamia e del Medio Oriente e via dicendo, hanno inciso sulla nostra società e sulla nostra storia, le ritroviamo nell’arte e nella letteratura, nel teatro, nell’architettura, nelle fedi, nella cucina, nei nostri comportamenti, nel nostro modo di vedere la vita. Questo difendo del mio Paese: la cultura dell’Anatolia non è omogenea, è un vero e proprio tesoro culturale. L’unica cosa che definirei inaccettabile è la violazione dei diritti umani, anche se negli ultimi anni, dal punto di vista legislativo, si sono verificati cambiamenti.