Studenti dall’Est: mobilità o fuga di cervelli?

Un fenomeno che aumenta sempre più col passare del tempo è quello degli studenti dei paesi del sud est europeo che scelgono di andare a studiare nelle università dell’Europa occidentale. I dati relativi all’Italia e una breve intervista

11/01/2007, Lucia Pantella -

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Parola d’ordine: mobilità

Le università europee, e nel caso specifico quelle italiane, da alcuni anni stanno assistendo ad una rapida evoluzione nella composizione della loro popolazione universitaria e l’Europa è diventata uno spazio aperto per l’istruzione di tanti giovani, molti dei quali provengono dai paesi dell’Europa orientale e balcanica.

Programmi europei di studio come Socrates-erasmus, borse di studio per stranieri, scambi bilaterali e multilaterali tra università di mezzo mondo hanno radicalmente differenziato la popolazione studentesca delle nostre università, creando le premesse per una vera società interculturale, almeno in accademia.

E mentre gli Stati Uniti rimangono il paese con in assoluto il più alto numero di studenti stranieri, sono i paesi europei come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania e la Svezia ad avere il tasso di crescita più alto. Secondo un interessante studio realizzato dall’International Center for Migration Policy Development di Vienna (Studio comparato sulle politiche dirette ai laureati stranieri del 2006), tra il 2000 e il 2005 lo stock degli studenti stranieri negli Usa è aumentato di solo il 10% mentre Francia e Germania hanno visto una crescita del 60%, e la Svezia è arrivata a sfiorare il 150%.

Un aumento, questo, dovuto anche al boom degli studenti erasmus, che poi prolungano il loro soggiorno di studio all’estero, all’apertura delle frontiere con i paesi dell’Europa orientale, in seguito ai cambiamenti politici del 1989, ma anche ad una maggiore cooperazione con il continente africano e asiatico.

L’Italia, d’altra parte, rappresenta un caso sui generis: pur assistendo ad una rapida crescita del numero degli studenti stranieri, rimane indietro nella classifica dei paesi europei. D’altra parte la presenza di studenti con cittadinanza non italiana è un fenomeno che si è sviluppato soprattutto negli ultimi quattro anni, e i fattori che spingono alla mobilità intellettuale verso l’Italia restano ancora strettamente legati più all’immigrazione per motivi di lavoro, che al prestigio delle nostre università. Non sono rari, infatti, i casi di abuso sostanziale del visto di studio per entrare e risiedere nel paese ospite per scopi diversi dallo studio e per frenare questo fenomeno alcune misure restrittive sono state introdotte dal governo italiano (garanzie finanziarie, esami di lingue, numero di esami da superare per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno).

Fatto sta che il numero degli stranieri iscritti all’Università di Roma La Sapienza dal 2003 ad oggi è quasi raddoppiato, passando da 3.438 iscritti nel 2003 agli attuali 6.659. Questo significa che su un totale di 144.000 studenti iscritti alle varie facoltà, quasi il 5% non è di nazionalità italiana.
A livello nazionale, i dati confermano questo fenomeno. A fronte di un incremento complessivo del numero di iscritti nelle facoltà italiane (8,6%), il boom registrato per gli studenti stranieri nell’anno accademico 2004/2005 è stato pari al 65,9%.

Chi sono? E da dove vengono?

Anche nel 2006, le statistiche confermano la stessa tendenza. A livello nazionale, mentre nell’anno accademico 2001/02 si erano iscritti presso le Università italiane 25.977 studenti stranieri, l’1,5% del totale della popolazione studentesca, oggi gli studenti stranieri nelle Università italiane sono 41.589, vale a dire il 2,28% (Fonte: Ufficio statistico MIUR).

Se si vanno ad analizzare i dati disaggregati, in Italia la maggior parte degli studenti stranieri provengono dagli stessi paesi dell’immigrazione non intellettuale. Nell’anno accademico 2004-05, in quasi tutte le università italiane, la nazionalità più rappresentata è stata quella albanese con una quota del 24,9%, seguita a ruota da quella greca (15,7%), rumena e del Camerun (entrambi pari al 3,4%). Nei primi posti della classifica anche la Repubblica di Serbia, il Montenegro e la Croazia.
Oggi all’Università di Roma La Sapienza gli albanesi rappresentano il 20,5% degli studenti stranieri, seguiti (ma a lunga distanza) da greci, romeni e polacchi.

Secondo l’identikit tracciato dal Centro Studi Sintesi di Venezia, questi studenti aspirano perlopiù a diventare medici, economisti, letterati e ingegneri; frequentano prevalentemente gli atenei del Nord d’Italia e sono soprattutto donne. Da notare la predilezione verso le materie scientifiche e mediche da parte degli alunni senza cittadinanza italiana rispetto ai loro colleghi nostri connazionali.

La preponderanza degli albanesi negli atenei italiani è dovuta ad una serie di fattori storici e politici e sociali che vale la pena menzionare. Da un lato la vicinanza culturale tra i due paesi, e i numerosi accordi bilaterali tra Italia e Albania nell’ambito della cooperazione universitaria attraverso i quali negli ultimi anni è stato alzato il tetto massimo di autorizzazioni all’ingresso per gli studenti. Paradossalmente per un cittadino albanese con meno di 25 anni è più facile ottenere un visto di studio che un visto turistico. Va poi sottolineata la facile predisposizione linguistica degli albanesi nei confronti dell’italiano e il fatto che molti giovani abbiano già dei parenti in Italia, che possano offrire un sostegno per l’alloggio, almeno in un primo momento.

Mobilità o fuga?

La mobilità studentesca ha dei risvolti che non vanno trascurati, e spesso si traduce nel corso del tempo in una vera e propria fuga dei cervelli, che rischia di impoverire ancora di più i paesi da cui gli studenti migrano.

È il caso emblematico dei Balcani che dal 1990 ad oggi sono stati i principali "esportatori" di studenti stranieri nelle università italiane.

Nel caso albanese, in particolare la mobilità studentesca e dei docenti diviene particolarmente problematica, proprio perché si verifica in un contesto deregolamentato e di deficit istituzionale, assumendo i caratteri di un vero e proprio esodo dei cervelli, senza che nessuna strategia sia stata adottata né dal governo albanese, né dalle organizzazioni internazionali per frenare tale fenomeno.
C’è un generale riconoscimento del fatto che, al momento attuale, l’offerta qualitativa dell’università albanese non presenti dei forti fattori di attrazione, e quindi è giusto e comprensibile che molti studenti scelgano di studiare e specializzarsi all’estero (molti dei professori intervistati hanno figli che frequentano università straniere); d’altra parte gli studenti seguono le orme dei professori, una gran parte dei quali ha scelto la via dell’emigrazione.

Tuttavia questo fenomeno dovrebbe essere più organizzato, a livello governativo, e in questo senso c’è chi suggerisce l’istituzione di contratti tra il governo e gli studenti, per l’inserimento di questi ultimi, una volta completati gli studi, nel mercato del lavoro in Albania ed evitare che la loro emigrazione diventi permanente, confluendo anch’essa nella fuga dei cervelli.
Nonostante il governo albanese negli ultimi tempi abbia rilasciato dichiarazioni tese ad attrarre l’attenzione sul fenomeno della fuga dei cervelli, le iniziative concrete (come quella finanziata dall’UNDP) sono ancora poco diffuse e ignote ai più.

In generale tra gli studenti albanesi "mobili" prevale la sensazione di "abbandono" da parte dei propri rappresentanti politici e istituzionali, e pochi di loro sono intenzionati a far ritorno nella madre patria dove ad attenderli c’è solo un futuro incerto.

Di fronte ad una situazione catastrofica, in cui dal 1991 al 2003 sono emigrati approssimativamente il 45% dei docenti universitari e dei ricercatori e con il tasso di emigrazione giovanile più alto d’Europa, i governi albanesi che si sono succeduti dalla caduta del regime ad oggi sono stati ancora una volta ciechi di fronte al rischio di impoverimento del proprio capitale umano di una società già debole, perdendo l’ennesima buona occasione per la riforma del paese.

Un caso come tanti

Astrit è un ragazzo albanese, che da poche settimane si è laureato in scienze infermieristiche all’Università di Firenze. Gli ho fatto alcune domande per capire cosa può pensare e quali sono le aspettative di chi emigra per motivi di studio.

Perché hai scelto di venire a studiare in Italia?

Ho scelto di venire a studiare in Italia perché per me rappresenta una strada per una futura professione riconosciuta a livello europeo. Studiando in Albania le possibilità di poter far riconoscere il titolo di studio da parte delle università europee era molto remota perciò ho scelto di studiare direttamente in Italia. Anche se in Albania in questi ultimi anni si sono fatti dei passi in avanti con la riforma del sistema universitario e la firma della "Dichiarazione di Bologna", questo non vuol dire che si è raggiunto quel livello di formazione tale per cui le università in Italia ti riconoscano il titolo di studio.

Inoltre, la preparazione professionale nelle università italiane è più solida e valida rispetto a quella offerta dalle università in Albania, che spesso non offrono un livello di servizi adeguatamente consono agli obiettivi dei corsi. Per me studiare nelle università italiane rappresenta una finestra per una formazione solida e riconosciuta.

È difficile l’accesso alle borse di studio per stranieri?

Prima di tutto vorrei sottolineare che il governo del mio paese (l’Albania) non prevede delle borse di studio per studenti che vanno a studiare all’estero; questo dimostra un totale disinteresse da parte delle cariche politiche per un gruppo di studenti che vanno a studiare all’estero.
Ottenere la borsa di studio presso le università in Italia dipende da tanti fattori. In alcune università il primo anno la borsa di studio è conferita in base al reddito. La difficoltà che si incontra spesso è che le aziende per il diritto allo studio hanno un termine di scadenza per fare domanda per la borsa di studio prima che lo studente (extracomunitario) entri in territorio italiano. Non lasciando così lo spazio necessario per un’eventuale domanda di borsa di studio una volta che si è informati direttamente presso questi enti. Inoltre per errate informazioni la documentazione per la borsa di studio è ritenuta incompleta da parte dell’Università. Se informazioni esatte e scadenza della domanda coincidono ottenere la borsa di studio non è difficile.

Pensavi di rimanere a lavorare in Italia dopo la laurea?

Sì, già nel momento in cui ho preso in considerazione la possibilità di studiare in Italia ho pensato che inizialmente avrei lavorato in Italia dopo la laurea. Se il mio paese d’origine, in futuro, darà segni di investimento per i neolaureati in paesi della Ue, questo per me vorrà dire che prenderò in considerazione la possibilità di ritornare a lavorare in Albania.

Quali sono le principali difficoltà che hai avuto come studente?

La principale difficoltà che continuamente si presenta durante gli anni dello studio è quella economica. Studiare e vivere in Italia rappresenta una sfida per le condizioni economiche da cui la maggior parte di noi studenti extracomunitari proveniamo. Infatti, spesso molti di noi studenti extracomunitari lavorano per poter proseguire gli studi.
La seconda difficoltà che si incontra è quella dell’integrazione con studenti italiani. (dovuto a vari fattori come esperienza personale negativa, fobie di vario genere, ignoranza, ecc).
La terza difficoltà è la scarsa informazioni da parte dell’Università sull’organizzazione e struttura. Opuscoli in cui sono descritti i principali servizi offerti dall’università in lingua diversa da quell’italiana, potrebbero diminuire drasticamente le code negli uffici dell’università, causando un minor spreco di risorse a tutti.

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