La Serbia verso le elezioni

La Serbia si avvicina all’importante tornata elettorale del 21 gennaio. Quali sono gli ostacoli per la formazione del nuovo governo? Da chi sarà composto? Quali le sfide del nuovo esecutivo? Ne abbiamo parlato con Jovan Teokarević, docente presso la Facoltà di scienze politiche di Belgrado

15/01/2007, Luka Zanoni -

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Jovan Teokarevic

Mentre si avvicina la scadenza elettorale, prevista per il 21 gennaio prossimo, i media serbi hanno ripetutamente annunciato che la decisione di Martti Ahtissari sulla definizione dello status del Kosovo, che dovrebbe essere presentata subito dopo le elezioni, potrebbe essere un ostacolo alla formazione del nuovo governo serbo. È così?

Esistono alcuni scenari. Ce ne è uno che è abbastanza diffuso tra gli stranieri, i rappresentanti diplomatici e i giornalisti di Belgrado, secondo il quale ci si aspetta che Ahtissari renda pubblica la sua decisione nel periodo che intercorre tra la data delle elezioni e la formazione del nuovo governo, che sarebbe in realtà un modo per ammorbidire o rendere più facile l’accoglienza di una decisione che per la Serbia si considera non conveniente riguardo lo status del Kosovo. Secondo un altro scenario si sostiene che la cosa non andrà così velocemente, perché fra il piano di Ahtissari e l’adozione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza dovrà passare un po’ di tempo. Non credo nemmeno che la Russia accetterà così facilmente qualsiasi tipo di risoluzione del Consiglio di Sicurezza, almeno così promettono i russi. Sicché dal punto di vista di questo secondo scenario ci si può attendere che a maggio o giugno si porterà a termine l’intero processo relativo allo status del Kosovo. E nel frattempo dovrebbe essere di sicuro formato il nuovo governo serbo.

Penso che sia abbastanza sorprendente il fatto che il tema del Kosovo non è presente nella campagna elettorale. Questo è molto strano. Nessuno di noi si aspettava una cosa del genere. In questo modo si dimostra in realtà che tutti hanno interesse ad evitare la questione…

Si tratta di una strategia comune a tutti i partiti?

La cosa strana è che siano i radicali a non insistere su questo tema. Strano perché loro da ciò avrebbero solo da guadagnarci. Per esempio, se chiedessero al premier e al presidente, che hanno le possibilità maggiori di essere i vincitori delle elezioni, cosa pensano di fare nel caso in cui il Kosovo diventasse indipendente… Ma i radicali fino ad ora non hanno posto questa domanda in modo chiaro all’opinione pubblica. E questo è molto strano. Anche se c’è ancora tempo prima delle elezioni, non credo che lo faranno.

Forse si tratta di una sorta di rassegnazione data dal fatto che per la Serbia non ci sarà un buon risultato. Ma a prescindere da ciò, credo che i radicali resteranno individualmente il partito politico più forte…

Chi formerà il nuovo governo?

Credo che il nuovo governo verrà formato dal cosiddetto blocco di partiti democratici e filo-europei, le due personalità di spicco saranno ancora Kostunica e Tadic.

Quindi non cambierà molto rispetto ad ora?

No, non ci sarà un grande cambiamento. Penso ci si possa aspettare che venga formata una qualche sorta di coalizione post elettorale tra quei partiti delle forze democratiche, cioè Kostunica, Tadic e alcuni partiti minori. Non è ancora sicuro chi entrerà in parlamento, ma è interessante il fatto che durante la campagna elettorale è diventato chiaro che molto dipenderà dai partiti minori.

Cioè pensi al LDP, G17, ecc.?

Sì, dipende dal risultato di questi partiti. Mentre per i partiti delle minoranze non è ancora chiaro, perché non devono osservare lo sbarramento del 5% per poter entrare in parlamento, possono entrarvi con qualsiasi percentuale.

Sicché esistono molte combinazioni, e penso che non esista una combinazione in cui solo Tadic sarà in grado di formare il governo coi partiti minori o solo Kostunica coi partiti minori. Sono pochissime le possibilità che accada una cosa del genere. Penso che i due maggiori attori politici, il Partito democratico (DS) e il Partito democratico della Serbia (DSS) dovranno prendere parte entrambi alla formazione del nuovo governo.

Tuttavia esiste una piccola possibilità per uno scenario scomodo. E cioè che se durante il periodo che separa i due governi si giungesse alla decisione sullo status del Kosovo in un modo sconveniente per la Serbia, esiste la possibilità che Kostunica formi il nuovo governo coi radicali. Indicativo è il fatto che nessuno del suo partito abbia mai voluto rispondere chiaramente alla domanda che gli è stata continuamente rivolta durante la campagna elettorale, in particolare da parte del Partito democratico, sulla possibilità di formare un governo tra il DSS e i radicali. Loro fino ad ora non hanno voluto rispondere, nel senso che non hanno né detto che lo faranno né che non lo faranno.

Jovan Teokarevic

Quante possibilità ci sono che venga formato un governo tra radicali e Kostunica?

Diciamo che una cosa del genere potremmo anche aspettarcela, ma la pressione delle forze democratiche e della comunità internazionale, in particolare l’Unione europea, sarà così forte che non consentiranno che ciò accada. Direi che si tratta di una sorta di vezzo di Kostunica, che vuole indicare che potrebbe anche andare diversamente da come ci si aspetta. Io penso che non ci siano problemi, nel caso in cui la Serbia ottenesse un governo democratico sarà più facile assorbire lo shock di un’eventuale soluzione del Kosovo non favorevole per la Serbia, cioè una sorta di indipendenza. A questo riguardo non credo ci si debba aspettare una crisi politica in Serbia, che possa durare per tutto il 2007 e che possa fuoriuscire dalla Serbia. Di questo possiamo essere sicuri, non ci sarà una guerra per il Kosovo, qualunque sia la soluzione. E penso che questa sia una cosa molto positiva. Questa è la novità rispetto a dieci anni fa, cioè che nessuno è pronto ad andare in guerra per il Kosovo. Tuttavia una soluzione non conveniente per la Serbia avrà sicuramente ripercussioni interne, farà aumentare il nazionalismo, anche se il governo non sarà in pericolo, il nazionalismo aumenterà tra l’opinione pubblica, e ci sarà un aumento dello scetticismo rispetto all’Unione europea e meno desiderio di fare qualcosa per entrare nell’Unione europea. Questo perché l’Unione europea sarà vista come uno degli attori che hanno contribuito all’adozione di una soluzione non conveniente per la Serbia.

Quali sono le sfide che attendono il nuovo governo?

Il nuovo governo dovrà risolvere la questione del Tribunale dell’Aja. E sarà molto più difficile farlo adesso che negli anni scorsi. Nel caso di cattive notizie in riferimento al Kosovo la pressione sul governo per quanto riguarda la questione dell’Aja sarà molto meno importante. Io penso che le possibilità di consegnare Mladic all’Aja siano molto inferiori di quanto non lo fossero prima. L’altra questione è il proseguimento dell’avvicinamento all’Unione europea, cioè il processo di riforme. Nel corso del nuovo anno non bisogna aspettarsi che vengano fatte molte cose. A meno che l’UE non sia pronta a far ripartire i colloqui per l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione, anche senza la consegna di Mladic. Se si giungesse alla conclusione dell’Accordo durante il 2007, allora questo potrebbe attivare un po’ di più l’opinione pubblica perché influirebbe positivamente su di essa. Di recente abbiamo avuto l’esempio della Partnership for Peace, che è sicuramente un obiettivo meno conosciuto all’opinione pubblica di quanto non sia l’ingresso nell’Unione europea. L’accoglienza nella Partnership for Peace ha avuto un impatto molto forte e positivo sull’opinione pubblica.

La notizia è stata quindi accolta bene?

Sì, persino da coloro che non amano la NATO e che non vorrebbero mai entrare nella NATO, perché è stato interpretato come un successo del paese, come un passo avanti della Serbia, come una sorta di riconoscimento che ciò che poteva fare lo ha fatto. Penso che la gente reagirebbe ancora più positivamente se ci fosse un ulteriore passo avanti verso l’UE. Allora si potrebbe pensare a ciò che già adesso il Partito democratico promette, ossia che all’inizio del 2008, alcuni mesi dopo la conclusione dell’Accordo di associazione e stabilizzazione, la Serbia si trovi nella stessa situazione in cui si era trovata la Macedonia nel 2005, cioè con lo status di candidato. Il che non significa che i negoziati per l’adesione inizino immediatamente ma si tratta comunque di una cosa molto importante per paesi come il nostro, affinché la popolazione veda che c’è un senso per tutti gli sforzi che vengono fatti.

Se togliessimo la questione dell’Aja e la consegna di Mladic, quanto è lontana la Serbia nel processo di adesione, rispetto a paesi come la Macedonia o addirittura Bulgaria e Romania che sono appena entrate in Unione europea?

Senza la questione dell’Aja la situazione sarebbe decisamente migliore. Suppongo allora anche senza la questione della soluzione del Kosovo perché all’incirca si tende a tenere insieme le due cose. Si tratterebbe allora di una situazione molto differente per la Serbia. Perché tutti a Bruxelles riconoscerebbero che Belgrado ha delle buone capacità amministrative, che è in grado di condurre le riforme, che ha una tradizione in ambito amministrativo che è migliore di quella che c’è in Albania, in Bosnia e in Macedonia.

Penso che come la Slovacchia sia riuscita a raggiungere la Polonia e la Repubblica Ceca qualche anno prima dell’accesso all’UE, allo stesso modo la Serbia potrebbe raggiungere la Macedonia. Di sicuro non la Croazia, ma la Macedonia sì, ovviamente in qualche anno e non subito. Sicché un’accelerazione dell’avvicinamento non è uno scenario impossibile per la Serbia, a maggior ragione perché anche la situazione economica si sta volgendo al meglio e avremo, almeno spero, un governo democratico filo-europeo anche per i prossimi anni. A quel punto non dovremo pensare se qualcuno vuole o non vuole entrare in Unione europea. Inoltre il sostegno all’Unione europea è molto alto, circa il 70%.

D’altra parte però abbiamo il problema di ciò che accade all’interno dell’Unione europea, ossia la sua capacità di assorbire nuovi membri, ciò che adesso si definisce capacità di integrazione. Perché non è più necessario che noi facciamo di tutto per essere pronti ad entrare nell’UE, si tratta anche del messaggio che giunge da Bruxelles sul fatto che loro stessi devono essere pronti per poterci accogliere. Si tratta dell’indeterminazione maggiore, cioè se si proseguirà con il processo di allargamento, se si continuerà per alcuni anni. Personalmente sono abbastanza scettico e non ho idea di come apparirà l’Unione europea nei prossimi dieci anni. Ma per noi alla fine questo non è nemmeno così importante. Perché credo che per noi dovrebbe essere importante che il paese si costruisca sulla base delle leggi e della democrazia come lo sono i paesi dell’Unione europea. A prescindere dal certificato di membro dell’UE.

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