Il voto serbo in Kosovo
Le elezioni politiche serbe viste dal Kosovo. Reazioni e dichiarazioni di voto a Gracanica dove, attorno al monastero ortodosso, risiede un’importante comunità di serbo-kosovari. Breve reportage della nostra corrispondente
Milos è un uomo ben piantato di poco più di sessantacinque anni. Vive a Gracanica, un villaggio vicino a Pristina dove risiede una comunità serba. Non è amichevole, specialmente con i giornalisti albanesi. Sua moglie si ferma per rilasciare un’intervista, ma lui le dice con tono enfatico: "L’intervista con gli albanesi, no". Lei lo ascolta e lo segue per inserire il suo voto nell’urna trasparente del seggio elettorale. Si può scommettere che il suo voto sarà lo stesso di quello del marito.
La situazione, però, cambia pochi minuti dopo. Milos comincia ad essere più gentile quando casualmente mi ritrova a casa di alcuni suoi amici. È la casa di Dejan Zivic, un insegnante della scuola di Gracanica. Zivic apre la porta ed è pronto a parlare. "Spero che vincano le forze democratiche della Serbia", dice. Ma sa bene che non ci sono tanti serbi in Kosovo che la pensano come lui. I radicali sono ancora tra le preferenze dei serbi kosovari, e sono visti come l’unica speranza per tenere il Kosovo sotto la Serbia.
Milos si siede alla stessa tavola. "Non posso parlare perché non voglio essere identificato. Io lavoro come tassista e ho paura che qualcuno mi possa picchiare". "Allora può parlare tua moglie? – gli domando. Mi interessa sapere come vivi, cosa ti aspetti da questi elezioni in Serbia". Non glielo permette per la seconda volta. "Non c’è niente da dire, viviamo come cani". Milos ha un’adorazione per Josip Broz Tito, il leader dell’ex Jugoslavia. Ha lavorato per la TermoKos, un’azienda pubblica. Dalla Serbia prende 140 euro al mese di pensione. Una cifra ragguardevole se comparata con gli albanesi del Kosovo, che prendono solamente 40 euro. Sua moglie (ha preferito non rilasciare il nome) lavora con gli albanesi in un villaggio molto vicino. Dice che i suoi rapporti con loro sono molto buoni.
La scuola di questo villaggio per tutto il giorno è stata gremita di persone, soprattutto gli abitanti più anziani. "Sto votando per creare il nuovo Stato della Serbia", dice Milan Trajkovic, un altro abitante di Gracanica. Novica Milovanovic è più concreto: "Spero che dopo queste elezioni avremo una situazione migliore per noi lavoratori, contadini, studenti… tutti". Apertamente dice che non può immaginare un Kosovo indipendente. "Ecco perché sono andato a votare. Certo per una vita migliore, ma sotto lo Stato della Serbia". Ma qualcuno come Dejan ha anche un altro motivo per andare a votare: il sogno di entrare in Unione europea.
Tadic, Kostunica, Draskovic o Seselj. Il ritratto di quest’ultimo e gli slogan del Partito Radicale si vedono in vari luoghi. Un vecchio chiosco coperto di rosso. Sono i poster del Partito socialista della Serbia, il partito di Milosevic, che nonostante sia morto sembra esserne rimasto il leader. "Serbia, in alto la testa" c’è scritto sul manifesto. La retorica nazionalista è ovunque. Alcuni mi confidano che non credono che in Serbia ci sia un leader politico che pensi davvero alle condizioni di vita degli abitanti di qua. "Pensano solamente alla loro carriera e ai loro interessi", dice Milos riguardo ai politici della Serbia.
Attualmente Mitrovica nord è il municipio più grande abitato dai serbi. Più di 100mila serbi del Kosovo hanno il diritto di voto. Secondo le dichiarazioni ufficiali del Governo della Serbia, 250 mila serbi si sono allontanati dal Kosovo, dopo la guerra. Mentre gli albanesi kosovari dicono che non hanno mai vissuto più di 200mila serbi in Kosovo. Ma questo è un altro problema che è ritornato a galla sui media in questi giorni.
Fra qualche giorno, il negoziatore dell’ONU Martti Ahtissari presenterà la sua proposta sullo status futuro del Kosovo. L’indipendenza condizionata sarà la probabile soluzione. La domanda per i serbi del kosovo è la seguente: restare in Kosovo oppure andarsene. Per Dejan, che ha due bambine piccole, l’importante è la situazione economica. "Non andrò in Serbia, anche dopo la definizione dello status", dice Dejan. Perché anche là le condizioni di vita degli sfollati non sono migliori che in Kosovo.