Siamo tutti armeni

Una folla imponente ha accompagnato martedì a Istanbul Hrant Dink nel suo ultimo viaggio. Assente Erdogan. L’inchiesta della polizia, tra gaffe e dubbi sulle indagini di Trabzon seguite all’omicidio Santoro. La Turchia tra società civile e forze oscure

25/01/2007, Fabio Salomoni -

Siamo-tutti-armeni

I funerali di Dink (foto AP)

Forse erano 100.000 le persone che martedì ad Istanbul hanno sfilato per 8 chilometri, dalla sede del settimanale Agos al cimitero armeno di Yenikapi, per accompagnare per l’ultima volta Hrant Dink. Hanno marciato silenziosamente, come aveva chiesto la vedova Rakel, senza slogan e striscioni tranne uno: "Siamo tutti Hrant. Siamo tutti armeni" in turco, curdo ed armeno. C’erano tutti, comuni cittadini, alcuni rappresentanti politici, delegazioni straniere, rappresentanti della diaspora armena.

Mancava solamente il presidente Erdogan.

In quelle ore era al volante di una Mercedes presidenziale, accanto a lui Romano Prodi, per l’inaugurazione di un tunnel autostradale realizzato da una società italiana. Erdogan ha annunciato per i prossimi giorni una visita al patriarca armeno ma nessun accenno ad un eventuale incontro con la famiglia Dink*.

I funerali di Dink (Getty Images)

Un funerale "come non se ne erano mai visti prima ad Istanbul", ma soprattutto una straordinaria manifestazione di affetto e di solidarietà, uno scatto di orgoglio per quella parte della società turca che ha voluto far sentire la propria voce in favore della convivenza pacifica e della democrazia.

Il silenzio assordante della folla ha fatto da contraltare a molta retorica verbosa che ha invaso il paese nei giorni scorsi. Fatta di dichiarazioni di sdegno e di condanna per l’omicidio condite però da un gran numero di ma… Ma si è trattato di un complotto internazionale… Ma si è trattato di un "gioco" della diaspora armena… Ma l’immagine del nostro paese viene di nuovo macchiata… Ma adesso sarà impossibile fermare il riconoscimento del genocidio armeno da parte del Congresso americano… Ma non si può condannare un intero paese per il gesto dello squilibrato…

La preoccupazione per l’immagine del paese, la paranoia complottista, la ricerca dell’Altro, interno od esterno, sul quale scaricare la responsabilità per i mali del paese. E’ un vecchio ritornello che ha fatto la storia della cultura politica e della psicologia collettiva turca per decenni. Le tribolate e faticose trasformazioni innescate negli ultimi anni avevano cominciato ad incrinare una ad una queste abitudini, facendo lentamente emergere la prospettiva di una società pluralista, democratica, rispettosa, aperta. Da circa un anno però il vento aveva cominciato a cambiare. E molti di coloro che ora si sdegnano e si stupiscono per l’assassinio di Hrant Dink fingono di dimenticare il loro contributo alla grancassa nazionalista che da tempo aveva ripreso a sputare gli slogan di sempre, gli appelli a serrare i ranghi, la diffidenza verso il mondo esterno, le accuse di tradimento, le minacce e la violenza.

Di questo ritorno di fiamma del nazionalismo paranoico Dink era divenuto un bersaglio privilegiato. Era stato additato al pubblico ludibrio come traditore della patria, nemico dei turchi e della turchità, indicato come obbiettivo sul quale scatenare la rabbia.

Un dirigente dell’MHP (Partito di Azione Nazionalista) al termine di una manifestazione sotto le finestre della rivista Agos era stato sufficientemente chiaro: "Faremo di Dink il bersaglio del nostro odio".

E questo clima clima di odio e di caccia alle streghe ha dato i suoi frutti, ha prodotto quello che Ismet Berkan, direttore di Radikal, da qualche giorno protetto dalla polizia, ha definito un omicidio razzista. Ad eseguirlo un ragazzino di 17 anni, Ogun Samast, di Trabzon Trebisonda, studente mancato, disoccupato, accanito frequentatore di campi di calcio ed internet caffè. Ogun ha raccontato di aver letto alcune dichiarazioni di Dink in internet e di essersi sentito ribollire il sangue: "Ho deciso di ucciderlo".

Lo ha aiutato un oscuro personaggio, Yasin Hayal, da poco uscito dal carcere dove aveva scontato 11 mesi per aver lanciato una bomba nel Mc Donalds della sua città ("Era aperto durante il Ramadan"). Dopo aver addestrato lui ed altri coetanei all’uso della pistola, ha detto ad Ogun: "Offendono il nostro stato e nessuno fa niente, tocca a noi fare qualcosa". Poi, dopo avergli consegnato un po’ di soldi e una pistola, lo ha spedito a fare il giustiziere per le strade di Istanbul.

Nei due nessun segno di debolezza. Ogun, al momento dell’arresto, ha dichiarato di non essersi pentito ed Hayal, mentre veniva condotto dal giudice, ha trovato il tempo per lanciare un avvertimento minaccioso ad Orhan Pamuk.

In queste ore due sono le domande più urgenti.

La prima riguarda i mandanti dell’omicidio, quali ombre si agitino alle spalle di un personaggio come Hayal. Il questore di Istanbul ha però esordito con una gaffe: "La vicenda non ha risvolti politici, si è realizzata sotto gli effetti di sentimenti nazionalisti", provocando dopo qualche ora dopo l’imbarazzata smentita della prefettura: "Stiamo indagando".

L’anziano scrittore Yasar Kemal ha commentato sconsolato la notizia: "Se un dirigente della polizia ha fatto una dichiarazione simile siamo perduti".

Per il momento una serie di indizi sembrano indicare legami tra Hayal ed il Partito della Grande Unità (BBP), di estrema destra, nato una decina di anni fa da una scissione con l’MHP. Il segretario del partito, Yazicioglu, commentando le immagini dei funerali, dopo aver condannato l’omicidio, ha tenuto a precisare che lo striscione – Siamo tutti armeni – è da considerarsi inaccettabile.

La seconda domanda riguarda la città di Trabzon, da tempo alla ribalta della cronaca nera-politica. Di Trabzon era anche il giovane assassino di padre Santoro, così come sempre nella città del Mar Nero nell’ultimo anno in due occasioni migliaia di persone avevano cercato di linciare alcuni membri della associazione TAYAD (Associazione dei familiari dei carcerati), colpevoli solamente di aver distribuito volantini che richiamavano l’attenzione sulle drammatiche condizioni delle carceri speciali di tipo F.

Depressione economica, una cultura locale che esalta l’uso delle armi, conservatorismo politico, effervescenza sociale dovuta alla particolare storia della città ed alla vicinanza con i confini caucasici, rappresentano una miscela in grado di spiegare i recenti episodi.

I funerali di Dink (foto AP)

Resta la domanda di Murat Yetkin di Radikal: "Forse se le indagini sull’omicidio di padre Santoro fossero state più approfondite non saremmo arrivati all’omicidio Dink".

"L’omicidio di Hrant costituisce un esame per la Turchia". Lo ha scritto in un commosso articolo Etiyen Mahcupiyan, intellettuale armeno, fraterno amico di Dink e da qualche ora nuovo direttore di Agos. E’ tempo di verificare se la nuova Turchia sarà in grado di resistere alle tentazioni di far un passo indietro, di lasciarsi risucchiare da un passato che sembra non voler passare mai, nell’isolazionismo paranoico dello slogan "Per un turco non c’è migliore amico di un turco".

I 100.000 di martedì dimostrano che esiste una società civile forte pronta a raccogliere la sfida. A sostenerla però non ci saranno più il volto e la voce di Hrant Dink, un grande uomo ed un intellettuale coraggioso. Che riposi nella luce.

*Nella serata di mercoledì a sorpresa Erdogan è andato dalla famiglia Dink per le condoglianze, nda

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta