Karaula – Posto di frontiera

Si è concluso il festival Alpe Adria di Trieste. Ha vinto "Il libero arbitrio" di Matthias Glasner. Premiato dal pubblico ”Karaula – Posto di frontiera” del croato Rajko Grlic. Dal lago di Ohrid, alla tomba di Tito, alle braccia di un’affascinante donna della costa dalmata

30/01/2007, Nicola Falcinella - Trieste

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Un'immagine tratta da ''Karaula''

Un’immagine tratta da ”Karaula”

Un film tedesco sull’impossibilità di sfuggire alla propria natura, anche violenta, ha vinto la 18° edizione di Alpe Adria Trieste Film Festival. È il durissimo e senza possibilità di redenzione "Der Freie Wille – Il libero arbitrio" di Matthias Glasner, già premiato per la sceneggiatura al Festival di Berlino 2006.

Una menzione speciale è stata assegnata al polacco "Z odzysku – Il recupero" di Slawomir Fabicki, la caduta verso il basso di un giovane che vuole aiutare la sua ragazza immigrata clandestina.

Il pubblico ha premiato, tra gli otto in lizza, tre film balcanici: il preferito dagli spettatori è stato la tragicommedia "Karaula – Posto di frontiera" del croato Rajko Grlic, poi il rumeno "Cum mi-am petrecut sfarsitul lumii – Come ho trascorso la fine del mondo" di Catalin Mitulescu e l’albanese "Magic Eye" di Kujtim Cashku.

Se gli ultimi due hanno già girato diversi festival (e ne abbiamo già scritto, come anche di "Optimisti" di Goran Paskaljevic e "Hirtia va-fi albastra" di Radu Muntean), il primo era un’attesa novità, un po’ perché segna il ritorno al lungometraggio dopo 17 anni di uno dei maggiori autori ex jugoslavi, un po’ perché si tratta di una importante coproduzione fra tutti i Paesi dell’area oltre che Francia, Gran Bretagna e Austria.

"Karaula" è ambientato nel 1987 nei pressi del lago di Ohrid, dove i soldati di guardia alla frontiera albanese non aspettano che di tornare a casa. In particolare il luogotenente Pasic vuole tornare dalla bella moglie. Lei della costa dalmata, lui di Belgrado.

Quando il primo, alla vigilia di una licenza, scopre di avere la sifilide inventa un’improvvisa crisi di confine per non tornare dalla consorte: gli albanesi starebbero per invadere la Jugoslavia anche se non si vedono mai.

Un amico di Spalato, in veste di messaggero, si innamorerà dell’affascinante donna, mentre il soldato serbo si inventerà il sogno di andare a piedi fino alla tomba di Tito a rendergli omaggio. Ma la tragedia è dietro l’angolo. Il problema è che dopo uno svolgimento da commedia grottesca l’epilogo tragico arriva troppo improvviso e stridente con il resto del film.

Per il resto c’è una bella descrizione dei personaggi, bravi attori (Toni Gojanovic, Sergej Trifunovic, Emir Hadzihafizbegovic, Bogdan Diklic e Verica Nedeskla) e il ritratto di un’epoca appena prima del disastro dove si respirano irresponsabilità, fissazioni di regime e strenua difesa di un sistema già visibilmente crepato.

Il regime con i suoi obblighi affiora pure nel bell’ungherese "Feher Tenyer – Mani bianche" di Szabolcs Hajdu, storia divisa tra i primi anni ’80 e oggi di un ginnasta: allora bambino talentuoso educato rigidamente nella palestra di Debrecen e ora allenatore in Canada.

Tra i corti ha vito, sia per la giuria sia per il pubblico, il rumeno "Lampa cu caciula – Il tappo della valvola" di Radu Jude. La giornata contro il tempo di un padre e figlio che vanno alla ricerca di uno che gli ripari il vecchio televisore in modo da potere vedere un film la sera. Un film semplicissimo ed empatico che non molla un istante i personaggi, con la capacità che ricorda i cineasti iraniani di costruire storie simboliche e profondo intorno a episodi piccolissimi.

Tra i documentari ha vinto la storia di due giovanissime nel polacco svedese "Bortglomda – Dimenticate" di Agnieszka Lukasiak, con menzioni ai russi "Kanikuly – La vacanza" di Marina Razbezkina e "Pod otkrytim nebom – All’aperto" di Arman Yeritsian. Il pubblico ha invece votato il bosniaco "Karneval" di Alen Drljevic, già passato al festival di Sarajevo. Il giornalista Seki Radoncic si mette sulle tracce di persone che nella primavera 1992 cercarono salvezza alla guerra nel vicino Montenegro. Anziché la salvezza molti trovarono l’inganno e furono ceduti ai paramilitari serbo-bosniaci e uccisi in situazioni varie.

Radoncic incontra i familiari che non hanno più avuto notizie, i pochi sopravvissuti, i testimoni riluttanti ad ammettere la verità. Una ricerca che per il giornalista ha significato anche subire un attentato, fortunatamente fallito, e imbattersi nel muro di gomma di un tradimento che nessuno vuole ammettere. Il tutto stride con la sfilata di carnevale in corso nella cittadina costiera.

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