Kosovo: calmo, tranquillo ma non stabile

Siamo alla vigilia della presentazione del piano Ahtisaari sullo status futuro del Kosovo. In molti sono preoccupati che possano scoppiare disordini. La nostra corrispondente ha intervistato Roland Kather, a capo del contingente KFOR

01/02/2007, Alma Lama - Pristina

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La sicurezza, in vista di quanto sta per avvenire in merito alla questione dello status, è un tema cruciale. Che misure sta adottando la KFOR per garantirla?
La situazione in Kosovo è calma e tranquilla. Non ne sono sorpreso perché abbiamo lavorato molto negli ultimi giorni, nelle ultime settimane e negli ultimi mesi per spiegare alla gente che la violenza non ha futuro. Penso che abbiano compreso il messaggio: mai più violenza in Kosovo. La gente ha compreso che nel caso di violenza il processo sullo status si bloccherebbe immediatamente. Questo non significa che non abbiamo raccolto le nostre informazioni sul campo e che non abbiamo una chiara idea di quanto avviene 24 ore su 24. Le nostre forze sono comunque in stato d’allerta e possiamo reagire rapidamente e in modo determinato. Ma non sarà necessario intervenire perché tutti hanno capito che ci troviamo nel mezzo di un processo molto democratico, serve tempo, ma è normale sia così.
La KFOR ha sotto controllo tutto il territorio kosovaro o vi sono aree che non sono sotto il vostro controllo?
Controlliamo il 100% del territorio del Kosovo.
Io conosco un villaggio che non è sotto il vostro controllo, Kamenica …
Non siamo fisicamente ovunque perché non è questa la modalità con cui operiamo. Se si ha un check point statico, un controllo statico, quest’ultimo può essere facilmente superato. Allora abbiamo mutato il nostro approccio. Quando sono arrivato lo scorso anno si era nel pieno del processo per rendere la nostra presenza una "Task Force": questo significa che ogni singolo soldato della KFOR è pronto ed addestrato per operare in qualsiasi parte del Kosovo, se necessario. Copriamo il Kosovo con i nostri strumenti di intelligence e posso assicurare che abbiamo il Kosovo sotto controllo per il 100%. Potrei farle vedere delle fotografie grazie alle quali capirebbe al volo. Vi si vedono anche i traffici di contrabbando lungo i confini del Kosovo …
Come descriverebbe la situazione nella parte nord di Mitrovica?
Sono arrivato da quattro mesi e mezzo e in questo periodo di tempo non è accaduto nulla di particolare nel nord del Kosovo. Là la situazione è esattamente la stessa del sud, dell’est e dell’ovest del Kosovo. Tranquilla ma non ancora stabile. E’ difficile fare delle previsioni, non si sa mai nei Balcani cosa possa accadere. Ed è per questo che siamo qui, ed è per questo che siamo sempre pronti.
Oliver Ivanovic, leader della Lista serba per il Kosovo, sembra aver dichiarato ad un settimanale austriaco che nel nord di Mitrovica vi sarebbero 1.000 paramilitari. Che informazioni ha la KFOR su questa questione?
Ho incontrato Ivanovic immediatamente dopo aver saputo di queste dichiarazioni perché ero preoccupato. Lui ha chiarito in modo inequivocabile che si è trattato di un fraintendimento, probabilmente di una cattiva traduzione. Si riferiva a migliaia di cittadini e non di paramilitari. E mi ha convinto dicesse il vero. Ciononostante voglio avere un mio quadro della situazione ed ho controllato attraverso le nostre fonti ed i nostri mezzi e non ho trovato alcuna prova che vi sia effettivamente una struttura parallela militare a Mitrovica. E se qualcuno conserva ancora una vecchia uniforme militare l’unica cosa che posso dire è: state attenti perché siamo pronti a reagire.
E cosa mi può dire del confine con la Serbia, a nord di Mitrovica? Lì armi e persone possono entrare dalla Serbia, e sappiamo che in questa fase la Serbia è interessata alla destabilizzazione del Kosovo…
Non sono affatto certo che la Serbia sia interessata alla destabilizzazione del Kosovo. Naturalmente poniamo speciale attenzione ai confini e controlliamo la situazione. Quest’ultima ripeto è calma, niente di significativo da riportare, vi sono scambi assolutamente normali con la Serbia. Ma siamo pronti e molte truppe sono dislocate lassù.
In questi giorni cruciali per la definizione dello status del Kosovo avete aumentato lo stato d’allerta nel nord del Kosovo?
Non è automatico. Ovviamente questo è un momento cruciale, ed aumenta il nervosismo. Questa è la ragione per cui abbiamo una pianificazione diversa dal solito, questa è la ragione per cui siamo più visibili. Aspettiamo che il piano di Ahtisaari sia reso pubblico. Ribadisco, è in corso un processo democratico e normale nel quale non c’è spazio per la violenza. Nel mio discorso per l’anno nuovo ho affermato che si deve aver fiducia nella KFOR e che la KFOR ha fiducia nei cittadini del Kosovo. Non siamo qui per raggiungere obiettivi della KFOR ma per la gente del Kosovo, a prescindere dalla loro appartenenza etnica, a prescindere dalla loro religione, a prescindere dal loro colore.
Come si prepara la KFOR ad impedire un’eventuale divisione del Kosovo?
Questa è una questione politica, e quindi va risolta dal punto di vista politico. Detto questo io non credo questa divenga un’opzione e nel caso lo fosse deve essere risolta dal punto di vista politico. Solo nel caso in cui capitasse in modo violento, da una parte o dall’altra, allora noi saremo lì.
Cosa significa?
Significa che reagiremo, che non tollereremo nessuna forma di violenza e che la fermeremo immediatamente.
Se i civili serbi decideranno di lasciare le enclave per trasferirsi nel nord di Mitrovica la KFOR li bloccherà?
Nessuno proverà a bloccarli. Al contrario li rassicureremo – come stanno facendo i loro politici, e ho appena parlato su questo con Oliver Ivanovic e Padre Sava – sul fatto che possono rimanere nelle loro case, dove sono nati, dove hanno cresciuto i loro figli. Perché possono avere futuro in Kosovo. Ma se qualcuno decidesse diversamente perché mai dovremmo bloccarlo? Si tratta di libertà di movimento.
E se la Serbia "userà" questi civili e gli spostamenti di popolazione per perseguire propri fini? Li fermerete?
Lo faremo solo se utilizzeranno la violenza. Tutto il resto riguarda la sfera della politica.
E per quanto riguarda la componente albanese? Avete informazioni su strutture che si stanno organizzando per destabilizzare la situazione?
Abbiamo sentito voci in merito ad alcuni gruppi estremisti che sarebbero pronti ad andare per la loro strada, non fidandosi della KFOR e non fidandosi della comunità internazionale.
Chi sono? Sono legati a partiti politici?
Non penso siano legati a partiti politici. La classe politica kosovara ha fatto molto. Hanno fatto una buona campagna informativa e naturalmente spetta a loro convincere la propria gente di non lasciarsi andare alla violenza. Ma se qualche estremista decidesse di scegliere questa strada noi reagiremo. Nell’ovest del Kosovo abbiamo avuto i casi di alcuni uomini mascherati che hanno fatto dei check point illegali. Abbiamo investigato immediatamente sul caso e ciò che è emerso è che si trattava di persone legate al crimine organizzato. Una volta che si procede lungo la via della definizione dello status una delle questioni chiave da affrontare è la lotta al crimine organizzato. Questo a qualcuno non può piacere. Rafforzare lo stato di diritto, questa è la sfida cruciale.
Il movimento Vetvendosje ha annunciato che se il piano sullo status non prevede l’indipendenza organizzeranno grandi manifestazioni su tutto il territorio kosovaro. Le impedirete?
Quello di dimostrare è un diritto fondamentale. Naturalmente pacificamente. La presa di posizione di Vetvendosje era sì molto critica, ma costruttiva e pacifica.
Ritiene che un ritardo sulla definizione dello status potrebbe comportare per il Kosovo dei rischi?
Dal punto di vista della sicurezza devo dire sicuramente di sì. Vorrei che si arrivasse alla definizione dello status il prima possibile, qualsiasi esso sia, perché percepisco un aumento di tensione e nervosismo. Dopo 8 anni di protettorato delle Nazioni Unite bisogna prendere delle decisioni e penso che i kosovari siano maturi abbastanza per prendere queste decisioni. Occorre concentrarsi sullo sviluppo economico, perché esiste una chiarissima relazione tra quest’ultimo e la sicurezza. Non si può andare avanti con la stagnazione attuale.
Un eventuale ritardo potrebbe far riemergere un conflitto?
Innanzitutto non credo che vi saranno ritardi. Ritengo che chi tiene in mano le redini della politica sia molto determinato ad arrivare ad una decisione. Non mi aspetto alcun problema, è un processo democratico, e la gente l’ha capito.

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