Kosovo, troppe aspettative

Ilir Dugolli è fondatore ed analista del rinomato think tank kosovaro Kipred (Kosovar Institute for Policy Research and Development). Il nostro inviato lo ha incontrato a Pristina

09/02/2007, Francesco Martino - Pristina

Kosovo-troppe-aspettative

Le proposte portate a Pristina e Belgrado da Ahtisaari significano indipendenza per il Kosovo?

Il pacchetto Ahtisaari costituisce un primo e significativo passo in quella direzione. Detto questo, non bisogna dimenticare che in Kosovo si sono create in questi anni aspettative enormi verso l’indipendenza come atto unico, definitivo, come una data in cui le speranze accumulate diventano realtà, cosa che io ritengo poco realistica. L’indipendenza sarà un processo di cui la proposta Ahtisaari è una tappa importante, ma a prescindere dagli atti formali, la comunità internazionale rimarrà ancora a lungo nella regione. Questo significa che i poteri del governo locale saranno ampliati, ma avranno ancora delle limitazioni considerevoli, anche nel caso in il pacchetto Ahtisaari dovesse essere approvato in sede Onu così com’è.

Ritiene che la proposta possa subire delle modifiche sostanziali durante la fase di negoziati che precederà la presentazione definitiva del piano al Consiglio di Sicurezza?

Le possibilità per le delegazioni di Pristina e Belgrado di influenzare l’ulteriore elaborazione del documento mi sembrano minime. Queste potranno soltanto fare proposte, esprimere pareri e prevedibilmente sottolineare riserve. Se ci spostiamo a livello del Gruppo di Contatto però, potrebbero effettivamente avvenire modifiche, con le quali i paesi occidentali potrebbero provare ad ammorbidire la posizione della Russia e a rendere accettabile il documento in sede Onu anche a Mosca. In questa prospettiva, i cambiamenti possibili possono essere soltanto negativi, se visti dal punto di vista albanese kosovaro.

Pensa che la proposta di Ahtisaari sia bilanciata? Quali sono i suoi punti più critici?

La proposta è bilanciata se analizzata dal punto di vista della comunità internazionale, che da una parte ha tolto il Kosovo dalla sovranità serba e dà alla regione la possibilità di autoregolarsi e dotarsi dei principali attributi statuali, e dall’altra prevede che la comunità serbo-kosovara sia legata e dipendente il meno possibile alle istituzioni centrali di Pristina. I punti più critici sono quelli legati alla decentramento, ma anche alla protezione dei siti del patrimonio culturale e storico della comunità serba, che, a mio parere, non è avversata dalla comunità albanese in sé, ma potrebbe portare a problemi nel caso in cui all’interno delle aree protette vengano a trovarsi anche edifici o elementi culturali e storici della maggioranza. In quel caso, come regolare l’accesso alle zone in questione?

Da parte albanese si critica il piano di decentramento per due ragioni: il controllo sul territorio che verrebbe esercitato da parte serba e il rischio che la comunità serba possa non integrarsi mai nel futuro Kosovo. Qual è la sua opinione a riguardo?

Credo che queste preoccupazioni abbiano basi concrete. La classe politica albanese-kosovara ha accettato il piano di decentramento come il prezzo da pagare per ottenere l’indipendenza, e in un certo senso, resta da vedere se si tratti di un prezzo troppo alto. Se Belgrado rimarrà sulle stesse posizioni, è probabile che userà il decentramento per rendere la vita del Kosovo, ma di riflesso anche quella dei serbi che ci vivono, il più difficile possibile. Ci sono poi una serie di garanzie, come la possibilità di ricevere finanziamenti da Belgrado per le comunità serbe che, pur essendo accettabili in linea di principio, possono bloccare sul nascere la futura nascita di un sentimento di lealtà delle stesse verso le istituzioni centrali del Kosovo. Se Belgrado e Pristina rimarranno in lotta per la lealtà dei serbi del Kosovo, per Pristina sarà molto difficile spuntarla, a prescindere dalla politica che porterà avanti nei confronti della minoranza serba.

Ma cosa dovrà succedere, e cosa dovrà essere fatto perché la comunità serba possa iniziare a sentirsi parte di un Kosovo non più sotto sovranità serba?

In questi giorni per le strade del Kosovo non si è assistito a nessuna manifestazione di giubilo da parte albanese, e questo non solo perché il pacchetto Ahtisaari non soddisfa tutte le richieste presentate, ma anche e soprattutto perché la classe politica teme che un entusiasmo eccessivo possa essere avvertito dalla comunità serba come una minaccia. Credo, però, che all’inizio una sorta di shock per i serbi del Kosovo sia inevitabile, uno shock che durerà finche non si renderanno conto che la situazione è cambiata e che, nonostante il continuare della presenza internazionale, dovranno iniziare a lottare costruttivamente con la maggioranza per difendere i propri diritti, ma all’interno di istituzioni nuove. Io credo che ci siano già persone e organizzazioni politiche tra i serbi del Kosovo pronte a farlo.

Ritiene che il rischio di una divisione del Kosovo sia reale?

Non credo possibile una divisione che venga sancita su base legale, ma il pericolo di una divisione de facto della regione non può essere escluso. Il rischio è che il fossato, soprattutto con la regione a nord di Mitrovica, possa diventare ancora più profondo, anche perché in tutti questi anni le istituzioni internazionali non hanno mostrato nessuna vera volontà politica per l’integrazione del nord, limitandosi a conservare lo status quo e a lasciare la regione in una specie di limbo.

Hai detto che le delegazioni di Belgrado e Pristina non hanno avuto molto spazio di manovra durante i negoziati. Credi quindi che le critiche rivolte da alcune frange all’incapacità della classe politica albanese-kosovara di ottenere di più siano prive di fondamento?

Penso che la comunità internazionale avesse fin dall’inizio un’idea abbastanza chiara di quello che voleva per il Kosovo, e che il processo di discussione sia in realtà stato un tentativo di portare le due parti quanto più vicine possibile a quel tipo di soluzione, attraverso un processo che potremmo definire di "negoziato arbitrale". A Vienna lo Unity Team ha portato molte proposte, anche sulla decentralizzazione, a differenza della delegazione serba che si è chiusa in posizione esclusivamente difensiva. Qui in Kosovo, però, questa stessa classe politica ha fallito nel guadagnarsi la piena fiducia dell’amministrazione internazionale, che non è ancora sicura che i principi espressi sul tavolo negoziale saranno poi effettivamente rispettati, ad esempio per quanto riguarda il rispetto delle minoranze. La fiducia è stata poi ulteriormente minata dall’alto grado di corruzione, che è probabilmente il motivo principale per la rinnovata presenza con forti poteri di un’amministrazione internazionale in Kosovo. Per finire, la classe politica non è riuscita a comunicare in modo trasparente ai cittadini del Kosovo quello che stava succedendo realmente, evitando di prendersi la responsabilità di dire alla gente che le aspettative accumulate erano troppo alte.

Da più parti è stato paventato il rischio che il Kosovo possa diventare uno stato fallito. E’ uno scenario possibile? La proposta di Ahtisaari crea le basi per un’amministrazione funzionale del Kosovo?

Di certo il pacchetto Ahtisaari crea un’amministrazione complessa e dotata di ampi poteri reali, che ha la possibilità e dovrà prendersi la responsabilità di mostrare quanto vale. Non credo che lo scenario del Kosovo come stato fallito sia possibile, almeno nel significato più profondo dell’espressione, anche perché la comunità internazionale rimarrà qui ancora a lungo, con ampi poteri per combattere la corruzione e la criminalità organizzata. Fino ad oggi molto spesso non lo ha fatto, sia per avere potere di ricatto che per paura di destabilizzare la regione. Il pacchetto Ahtisaari gli garantisce mano libera nel campo della lotta alla criminalità, e un’azione decisa in questa direzione avrebbe il pieno appoggio dei cittadini kosovari. Se non vorrà agire, allora il fallimento non sarà soltanto quello del Kosovo.

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