Srebrenica: diritto e disinformazione
La macchina della disinformazione e dell’interpretazione selettiva della sentenza della Corte di Giustizia Internazionale è già all’opera. Si rischia che la decisione della Corte venga sfruttata per alimentare le polemiche interne alla Bosnia Erzegovina
Un procedimento durato 14 anni
La Corte Internazionale di Giustizia si è finalmente pronunciata sul ricorso della Bosnia ed Erzegovina contro la Serbia per violazione della Convenzione sulla Repressione e Punizione del Crimine di Genocidio. Il procedimento è durato 14 anni ed era iniziato al tempo della guerra, quando Sarajevo era sotto assedio. Già nel 1993 il governo della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina aveva denunciato alla Corte Internazionale di Giustizia l’allora Jugoslavia per violazioni della Convenzione. La Convenzione prevede infatti la giurisdizione della Corte Internazionale in caso di dispute tra Stati firmatari della Convenzione. In base alla Convenzione quindi, la Corte può solamente determinare l’esistenza della responsabilità civile, non penale, degli stati.
Gli omissis della Serbia
L’esito della disputa era facilmente prevedibile. Alla luce della passata giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia, era chiaro che, data l’importanza e la rilevanza del caso, la Corte non avrebbe pronunciato un giudizio netto, ma avrebbe cercato di accontentare un po’ tutte le parti, il classico colpo alla botte e colpo al cerchio. In questo senso, bisogna rendersi conto che la Corte ha potuto basarsi sui fatti come sono stati presentati dalle parti e sui rapporti delle Nazioni Unite. Non ha quindi avuto accesso, a differenza del Tribunale Penale per la ex-Jugoslavia, a documenti confidenziali, in particolare alla versione integrale di verbali del Consiglio Supremo di Difesa della Serbia. La Corte Internazionale di Giustizia ha avuto accesso solamente ad una versione riveduta e corretta dei verbali del Consiglio Supremo e ha rifiutato la richiesta da parte bosniaca di richiedere ufficialmente dalla Serbia la versione completa dei verbali, che invece è in possesso del Tribunale Penale. Non è quindi escluso che, quando il Tribunale Penale per la ex-Jugoslavia esaminerà il caso Perisic, nuovi, e forse decisivi elementi possano emergere in merito a questo caso, e al momento non è chiaro se il caso possa essere riaperto o meno.
Ma le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia sono una sorta di oracolo di Delfi che vanno interpretate alla luce di quello che viene detto e di quello che non viene detto. La Corte ha confermato la precedente giurisprudenza del Tribunale Penale, il quale ha stabilito che a Srebrenica è stato commesso un genocidio, ma non ha trovato elementi sufficienti per attribuire alla Serbia in quanto tale i massacri commessi dall’esercito della Republika Srpska RS: un’"assoluzione per insufficienza di prove" quindi. E per quanto riguarda la pulizia etnica avvenuta nel resto della Bosnia ed Erzegovina, la Corte sostanzialmente non ha giurisdizione, dato che in questo caso la Corte era competente solamente per il crimine di genocidio. Ma ciò non toglie nulla al fatto che quanto avvenuto a Prijedor, Banja Luka, Zvornik, Visegrad, Foca e nelle altre zone delle Bosnia fossero crimini di guerra e crimini contro l’umanità perpetrati sulla base di un piano prestabilito e approvato dai serbo-bosniaci in stretta coordinazione con il governo di Milosevic fin dal 1992. E’ oramai giurisprudenza consolidata del Tribunale Penale per l’ex Jugoslavia (dal caso Tadic) che il conflitto tra Republika Srpska e il governo di Sarajevo era un conflitto di natura internazionale e non interna.
Paradossi e disinformazione
La Serbia quindi è stata trovata responsabile per non aver impedito il genocidio né per aver punito i colpevoli, una forma di responsabilità simile a quella che, sul piano individuale, viene definita come responsabilità di comando dei superiori nei confronti delle truppe che commettono crimini di guerra. E qui è quello che a Banja Luka non si è proprio capito: il genocidio è stato commesso dalle forze della Republika Srpska, ma la Corte Internazionale non può pronunciarsi in questo senso, dato che giudica solamente la responsabilità tra stati e la Republika Srpska non è un soggetto di diritto internazionale.
Se Belgrado ha poco da festeggiare, Banja Luka dovrebbe piangere in questo senso, perché la decisione della Corte Internazionale lascia la Republika Srpska come solo responsabile per la pianificazione e l’esecuzione del genocidio. Paradossalmente, i politici di Banja Luka si uniscono ai colleghi di Belgrado salutando con soddisfazione la decisione della Corte Internazionale e dichiarandosi pronti alla cooperazione.
La leadership del SNSD Unione dei socialdemocratici indipendenti convoca addirittura un conferenza stampa in cui Milorad Dodik giunge a negare che a Srebrenica vi sia stato un genocidio (ma solo "un crimine terribile" secondo le sue affermazioni). Il colmo dei paradossi è raggiunto dal leader dei radicali della RS, Mihajlica, che dichiara che la RS è completamente sollevata dalle accuse. Esattamente il contrario di quanto afferma la decisione dell’Aja. La solidarietà tra serbi di Bosnia e serbi di Serbia, porta la Republika Srpska a festeggiare quella che è una sentenza di implicita condanna della Republika Srpska, ma che, sulla base di quanto stabilito dal diritto internazionale, non ha necessariamente alcuna conseguenza sull’ordinamento interno della Bosnia ed Erzegovina.
E questo è proprio quello che a Sarajevo non si vuole capire. Non si vede come la sentenza dell’Aja possa imporre una modifica dell’ordine costituzionale interno della Bosnia ed Erzegovina mirante all’abolizione della Republika Srpska. Nemmeno nel caso in cui la Corte dell’Aja avesse riscontrato la colpevolezza della Serbia come tale, non avrebbe potuto imporre una modifica dell’ordinamento interno alla Bosnia ed Erzegovina. In questo senso, la sentenza della Corte Internazionale non ha valore nel dibattito politico in materia di riforma costituzionale. Continuare a sostenere il contrario, come è stato fatto sinora soprattutto da parte di Silajdzic, è un segnale di pericolosa irresponsabilità. Ma già le prime dichiarazioni di Sakib Softic, l’agente della Bosnia di fronte alla Corte Internazionale, lasciano presagire che la decisione della Corte Internazionale verrà sfruttata o meglio manipolata per alimentare le polemiche interne. Softic infatti ha prontamente detto che la decisione deve influenzare l’ordine interno della Bosnia ed Erzegovina e che c’è l’obbligo di eliminare le conseguenze del genocidio. In altre parole abolire la Republika Srpska.
Come contrastare la disinformazione?
Come si vede la macchina della disinformazione e dell’interpretazione selettiva della sentenza della Corte di Giustizia Internazionale è già all’opera. Mujo a Sarajevo e Marko a Banja Luka molto difficilmente avranno modo di leggere la sentenza che è pubblicata in inglese sul sito della Corte di Giustizia (http://www.icj-cij.org/icjwww/idocket/ibhy/ibhyframe.htm oltre alla sentenza c’è il comunicato stampa e un riassunto della stessa) e avranno modo di comprenderla solamente attraverso le parole distorte e faziose dei leader politici. Nonostante sia disponibile su internet, molto probabilmente il testo della sentenza non circolerà in Bosnia ed Erzegovina. I precedenti non incoraggiano: a titolo di esempio basti ricordare che il famoso rapporto su Srebrenica che contiene importantissime ammissioni e scuse del governo della Republika Srpska sul genocidio di Srebrenica, ha avuto scarsissima circolazione e nella stessa Srebrenica non era possibile trovarne una copia. Tradurre e diffondere il testo della sentenza, o la versione abbreviata, sarebbe un piccolo ma semplice gesto mirante a diffondere la verità e contrastare la disinformazione.